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18 Aprile 2013

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A PIEDI, IN CILE. LA FINE DEL VIAGGIO Report di Nadia Barbero

L’Isola di Chiloè è la seconda isola per superficie del Cile; la bellezza dei paesaggi, i pittoreschi villaggi (palafitos), le caratteristiche chiese in legno dai colori vivacissimi, alcune delle quali dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, la rendono un posto unico.

Anche se Puerto Montt è una grigia città risulta un crocevia necessario per visitare la regione dei laghi e l’isola di Chiloè. Affittiamo una macchina per visitare l’isola seguendo i nostri tempi e non quelli imposti dai mezzi pubblici. Partiamo al mattino di buon’ora e dopo una cinquantina di km arriviamo a Pargua, dove ci imbarchiamo sul traghetto diretto a Chacao, primo paese dell’isola. Viaggiare in macchina ci consente finalmente di respirare un’aria di libertà che prima non avevamo fermandoci dove vogliamo, senza preoccuparci degli orari e delle condizioni climatiche. Ci dirigiamo verso Chepu, che costituisce la parte nord del Parque National Chiloè, uno dei paesaggi naturali più belli dell’isola.

Abbandonata la strada principale (Ruta 5 Panamericana) ci avventuriamo su una strada sterrata tutta sali e scendi con paesaggi idilliaci; colline verdeggianti, mucche e pecore che pascolano tranquillamente e ogni tanto qualche casetta di legno colorata con il tetto in lamiera e la cisterna per raccogliere l’acqua piovana.

Non esistono cittadine, ma poche case sparpagliate lungo la strada sterrata. Tentiamo di arrivare al parco, ma la strada si fa sempre più impervia; il paesaggio cambia totalmente, ci troviamo di fronte ad una strada in discesa, dissestata e piena di buche.

La vegetazione lussureggiante ricorda una foresta tropicale e alla fine della strada ci aspetta un’altro cambio repentino di paesaggio: finiamo in un sentiero di sabbia, assolutamente impraticabile con un’utilitaria. Proseguiamo a piedi, in un paesaggio con dune di sabbia e pochi arbusti, dove confluiscono più fiumi. Siamo gli unici esseri umani, circondati da una fauna e flora incredibili.

Il parco conta numerose specie di uccelli e si estende su una superficie di 43.000 ettari lungo la costa pacifica dell’isola con un’ampia distesa di conifere autoctone. L’ingresso principale del Parco è nel paese di Cucao. Charles Darwin in “Viaggio di un naturalista intorno al Mondo”, ci lascia una vivido ricordo del suo passaggio descrivendo una natura incomparabilmente bella. Una parte importante del suo racconto è dedicata agli usi e costumi degli indios Huilliche con i loro “grossolani abiti di lana fatti in famiglia, tinti con indaco in un colore azzurro scuro”.

Un altro grande scrittore, Bruce Chatwin ci lascia un saggio su Cucao e i suoi abitanti, nella raccolta “What am I doing here?” del 1990.

Dopo qualche ora di cammino sulle dune di sabbia, facciamo un incontro alquanto curioso; un uomo affaccendato a cavallo; si dirige, con mucche e cani al seguito, verso la distesa di sabbia e ci chiediamo dove possa andare in quella zona totalmente priva di foraggio, ma la nostra curiosità rimane inappagata. Decidiamo di ritornare per cercare una sistemazione per la notte e ci dirigiamo verso Quemchi, che si trova dalla parte opposta dell’isola sul golfo di Ancud.

Tranquillo paesino di pescatori è formato da un agglomerato che si sviluppa lungo due strade a senso unico; una costeggia il mare e l’altra passa nell’interno del paese. La possibilità  di alloggio è molto scarsa ed essendo bassa stagione scegliamo quella più consona alle nostre esigenze.

Dopo poche ore dal nostro arrivo assistiamo al fenomeno della variazione di marea: al nostro arrivo le barche galleggiavano normalmente in acqua e nel giro di poche ore si trovavano all’asciutto, in bilico sulla sabbia sostenute da sacchi.

Scopriamo così la caratteristica di questo piccolo villaggio, unico posto dell’isola dove il dislivello dell’acqua varia di 7 m.

La bassa marea dura tutta la notte, fino a mattina inoltrata e solo allora le barche possono rimettersi in mare, perdendo però’ le ore migliori del mattino per la pesca.

Al mattino esploriamo il paese e ci imbattiamo in una caratteristica chiesa, una delle più antiche dell’isola; è completamente in legno con una singola torre nella parte anteriore, con l’ ingresso sormontato da ricche decorazioni.

Non ci sono turisti, ma nemmeno locali e la pace e la tranquillità ci contagiano e ci lasciamo trascinare dal dolce far niente.

Passeggiamo lentamente alla ricerca di un locale dove gustare il Curanto, piatto tipico dell’isola , composto da una zuppa di crostacei, carne di maiale e di pollo, foglie di nalca (pianta tipica dell’isola) e stoffe umide, il tutto cucinato per ore; essendo bassa stagione viene cucinato solo una volta alla settimana, e oggi non è il nostro giorno, ma forse è meglio così (soprattutto per le stoffe).

Riprendiamo il nostro viaggio per dirigerci verso il capoluogo dell’isola, Castro. Situata centralmente è caratteristica per le sue “ palafitos”, tipiche case di legno costruite su palafitte, che emergono dalle acque degli estuari e delle lagune; oltre alle palafitte è possibile ammirare la sgargiante Iglesia San Francisco in Plaza de Armas, progettata dall’architetto italiano Eduardo Provasoli all’inizio del secolo scorso e ultimata nel 1912.

La facciata vivacemente colorata, dove il giallo si alterna al viola e al rosso, contrasta con l’interno in legno monocromo completamente decorato.

L’atmosfera all’interno è davvero particolare e i soffitti a cupola in legno, intervallati da rosoni di vetro colorati neogotici trasmettono calore e distacco nello stesso tempo.

Dopo questo intervallo culturale decidiamo di ripartire.

Il viaggio sta quasi per finire e vorremmo trascorrere alcuni giorni di mare a nord di Santiago.
Restituiata la macchina all’agenzia di Puerto Montt, saliamo su un altro comodo autobus che in 16 ore ci porta a Valparaiso. Arriviamo al mattino presto e cerchiamo una sistemazione per la notte.

Valparaiso è la seconda città del Cile, capitale culturale e importante porto sull’Oceano Pacifico. Luogo particolarmente amato da Pablo Neruda, si sviluppa su ampie colline detti “Cerro”, che costituiscono i vari quartieri cittadini della parte alta. Sono collegati da ripidi sentieri o scalinate alla parte bassa della città e alla fine dell’800 per migliorare l’accesso a questi quartieri vennero costruite una serie di funicolari. Serpeggianti strade acciottolate, incroci irregolari ed edifici caratteristici, hanno fatto si che anche il centro di Valparaiso venisse dichiarato “Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO” nel 2003.

Ci dirigiamo verso quello che, si dice, essere uno dei quartieri più affascinanti della città, il “Cerro Bella Vista; dopo aver affrontato la ripida scalinata, ci ritroviamo in un tranquillo quartiere residenziale con case dai colori vivaci, botteghe di artisti di ogni genere, taverne dai nomi fantasiosi, murales in ogni dove: pare un museo all’aperto.

Ogni Cerro ha una sua particolarità: ad es .il “Cerro Concepción” è raggiungibile con un ascensore che risale al 1883, il più antico della città, un tempo azionato a vapore.

Dopo aver visitato la città in lungo e in largo ed esserci immersi nella cultura Cilena, proseguiamo per l’ultima tappa del nostro viaggio che ci porterà a Maintecillo, circa 30 km a nord di Valparaiso.
E’ un tranquillo paesino di villeggiatura, ma non essendo ancora iniziata la stagione balneare (Novembre in Cile coincide con l’inizio dell’estate), troviamo praticamente tutto chiuso, con molte persone che stanno ancora risistemando le “cabãnas”.

L’autobus ci posa sull’unica strada del paese che costeggia l’Oceano. Proviamo a suonare ad alcuni campanelli senza risposta, finchè troviamo una gentile signora che ci affitta una “cabãna” sulla spiaggia, con tanto di vecchia stufa a legna che si rivelerà provvidenziale,dato il freddo e l’umidità.

Ci informiamo dove andare a comprare la legna. Spira un vento gelido, in spiaggia indossiamo il piumino.

Di fronte a noi l’immenso mare e km di spiaggia deserta da esplorare; a farci compagnia unicamente pellicani, cormorani e stormi di piccoli uccelli che si riposano sulla sabbia, inseguiti ogni tanto da qualche cane giocherellone.

Ci togliamo finalmente i fedeli scarponi, che ci hanno accompagnato per tutto il nostro viaggio, dai territori più impervi alle distese più amene.

Dopo molte avventure, di fatica, di emozioni, di imprevisti anche piacevoli, pensiamo che anche loro abbiano diritto ad un meritato riposo.

Nadia Barbero

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(foto dell’archivio Nadia Barbero)

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