MENU

30 Gennaio 2015

Senza categoria

Cristalli

“La felicità?” disse il bell’uccello e rise con il suo becco dorato,
“la felicità, amico, è ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli”.
Herman Hesse – Favola d’amore. Le trasformazioni di Pictor

Ricordo bene la prima volta che ho colpito un cristallo di ghiaccio con la lama di una piccozza. Era l’8 dicembre del 1984, un giorno freddissimo di un fine anno altrettanto freddo. A novembre il “maestro”, Gian Carlo Grassi aveva imperversato nelle valli piemontesi scalando una quantità innumerevole di zampilli d’acqua gelata ancora inesplorati. A pochi metri dalla strada, con un amico che mi aveva convinto della bontà della piolet – traction, anch’io mi cimentavo goffamente nel mio debutto sul cristallo, scoprendo l’inadeguatezza della mia piccozza da scialpinismo e del mio martello da “misto” dopo pochi swing. Avevo anche scoperto quanto antipatico fosse trovarsi in cascata con altre cordate impegnate. In particolare, quel giorno, un noto “accademico” di quella stagione esplorativa (e istruttore di una scuola d’alpinismo della zona) aveva deciso di superarci a tutti i costi per non averci sulla testa nel proseguimento dell’ascensione. Il talebano aveva dunque incrociato la mia corda mitragliandomi nel maldestro sorpasso con plafoniere di cristallo. Rimasto a malapena appeso ai miei insufficienti attrezzi e con i ramponi a dodici punte che raspavano sulla superfice gelata, avevo apostrofato in modo colorito il sedicente alpinista per bene che,noncurante, proseguiva imperterrito nell’ascesa verso la su gloriuccia giornaliera. Anche durante la discesa continuò l’educazione alle gioie del ghiaccio che quella giornata aveva in serbo per il curioso diciottenne. La corda singola da 11 mm doppiata, ovviamente lungi dall’essere “idro”, si era gonfiata d’un botto per poi gelarsi tra le spire del mio discensore “robot”, lasciandomi bloccato sotto uno strapiombo a penzolare. Avevo infine sbloccato corde e situazione dopo aver ciucciato per un’ora la corda gelata, mentre le labbra si attaccavano pericolosamente al robot per il freddo. Mi ero allora detto che scalare sul cristallo non faceva per me, smentendomi però dopo una sola settimana e ripetendo quell’esperienza su una cascata poco distante. Da quel giorno molto cristallo è passato sotto le mie picche, in alta quota come a fondo valle. Un amore-odio che è fiorito tra una voglia spasmodica del “nuovo” alternata a periodi di totale abbandono dell’attività, favorendo altre discipline come lo scialpinismo per esempio. Gli inverni, ormai da un po’, non sono più come quello favoloso del 1984, ed è difficile oggi giocare a lungo e in tranquillità con il mondo di cristallo. A me peraltro, piace poco dividere la magia del ghiaccio con frotte di arrampicatori che aspirano alle condizioni migliori. Non è raro quindi che io vada alla ricerca dei terreni più lontani e nascosti, talvolta da solo. Ieri sono salito a vedere la situazione del ghiaccio in una valle vicino a casa, ben sapendo che avrei trovato condizioni poco remunerative. Al cospetto di un fragile sipario di cristalli gelati ho esitato a estrarre gli attrezzi dallo zaino. Poi, la magia ha preso il sopravvento e con movimenti delicati ho inaspettatamente raggiunto la cima di quel castello. Dunque, sono anch’io a modo mio un “talebano” del verticale? Un aspirante suicida che non può fare a meno di salire anche quando le condizioni sono proibitive? Qualcuno guardandomi dal basso avrebbe potuto sostenere di sì. Là, una volta aggrappato ai cristalli, tutto è divenuto di nuovo semplice e chiaro. Nessun affanno, nessun eccesso di adrenalina. Solo una magnifica simbiosi con l’ennesimo miracolo della natura.

"Talebani"?

“Talebani”?