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21 Febbraio 2013

Senza categoria

FREDDO. [25/12/2013]

Il vecchio si sedette su quel ceppo di legno, il solito su cui si sedeva da ormai molto tempo.
Le mani gonfie di freddo e fatica, rotte dal tempo, si chiudevano con pungente dolore intorno al suo bastone. Gli piaceva pensarlo più come un simbolo di qualcosa – saggezza forse – che come un reale strumento sul quale appoggiarsi.

Il solito posto. Quella parte di bosco leggermente diradata, quanto bastava per dare uno sguardo un po’ più in là, un po’ più a valle.

Era freddo. Un freddo puro, pulito, semplice. Quel freddo che è bello respirare.
Quello che si crea quando è appena passato il tramonto ed in cielo si forma quella strana mistura di luce ed ombra.
Azzurro e nero; con una punta di rosso come a testimoniare l’eterna lotta tra il giorno e la notte.

Quando è quel freddo a calare nel bosco, è in quel momento lì che i pensieri si fanno più semplici, lineari. Cristallini.

Per quello il vecchio si sedeva su quel ceppo, a quell’ora. Un ceppo forse appartenente ad un albero che avrebbe avuto la sua stessa età se non fosse stato abbattuto tempo prima.
Ci pensava il vecchio, a volte; ci pensava che sarebbe potuto essere lui ad essere abbattuto, invece di quell’albero.
Chissà se avrebbe fatto lo stesso sordo rumore nel cadere.

Guardando in giù, tra i rami degli alberi, riusciva a scorgere alcune luci provenienti dalla valle e gli parevano essere più brillanti del solito. Gli parevano più vive.
Probabilmente era il periodo delle feste. Probabilmente era natale, ancora una volta.
Il vecchio in cuor suo lo sentiva; ma da troppo tempo ormai era là, lontano. Da troppo tempo aveva deciso di non badare più a che giorno fosse e, a che mese fosse, nemmeno.

Come avesse fatto a ridursi così non lo capiva bene.
Pur essendo consapevole di aver ricercato spontaneamente quella condizione ora, guardandosi dall’esterno, si compativa. Non si riconosceva.

Come si era ridotto ad avere così tante cose da raccontare e nessuno che le ascoltasse?
Come poteva aver preferito la vita in solitudine piuttosto che la compagnia delle altre persone?

Semplicemente era fuggito.
Il pensare di dover dimostrare qualcosa a qualcuno gli impediva di vivere, di pensare, di respirare.
Solo ora, dopo così tanto tempo, si rendeva conto di quanto si fosse sbagliato, di quanto avrebbe dovuto fregarsene di tutto; di quanto probabilmente quelle fossero state solo supposizioni.
Di quanto stesse rimpiangendo proprio quello da cui aveva deciso di fuggire.
Ma ormai era andata così, quella la sua scelta. Quella la sua condizione.
Davvero ironico il destino, perlomeno il suo – pensava.

Una lacrima prese forma – pesante – al lato di uno dei suoi occhi socchiusi.

Una lacrima pesante come la paura; così pesante da staccarsi dolorosamente dal suo occhio, attraversare la fredda aria della solitudine fino a farsi strada nella folta barba grigia del vecchio e lì, sparire per sempre.