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17 Dicembre 2010

Senza categoria · Alpinismo e Spedizioni · assoluto · CAI · GISM · metafisica della montagna · sentimento della vetta · tradizioni

IL SENTIMENTO DELLA VETTA

Nella recente tavola rotonda tenuta dal GISM alla sede centrale del CAI, presente il presidente generale del Club Alpino Italiano, Umberto Martini, è stata sottolineata tra l’altro la pluralità di chiavi interpretative che possono essere usate per l’alpinismo: da quella tradizionale – ed esatta – di ascensione, alle materializzazioni di sport e di divertimento, a quelle profonde suggerite da dottrine etiche e filosofiche.

In realtà desidero chiarire come in genere quasi tutte – a parte proprio le forzature agonistiche – siano valide ed esatte; nessuna annulla praticamente un’altra, ma semmai stanno a dimostrare nella loro differenziazione i loro limiti e l’evidente incompletezza.

Perché l’alpinismo si distingue appunto dalle attività sportive – e così annulla questa interpretazione – proprio per il fatto di offrire a chi lo pratica varie modalità – tante facce di un cristallo. Il che porta all’indubbia conclusione che la sua autentica essenza, la fonte da cui hanno preso vita quelle definizioni sia un’altra, di livello superiore, che tutte le dottrine congloba e contiene. E questa, proprio per il livello superiore, va ricercata non nella prassi dell’attività – l’esercizio della scalata – ma nel soggetto che la pratica. Cioè l’uomo.

Questi nasce infatti con il senso, la questua dell’elevazione: che allo stato genuino dell’infanzia, ancora non coinvolta nel materialismo e nell’utilitarismo della società contemporanea, si esprime cercando istintivamente l’arrampicata ove possibile: un masso erratico, un albero… E tale sentimento in realtà gli rimane, magari inconscio per tutta la vita. L’alto viene identificato col cielo, sede del Paradiso, della Divinità, sia nella fede religiosa che nelle tradizioni sacre dell’umanità (Induismo, Taoismo, Buddismo, Ebraismo, Cristianesimo.) Ma essendo appunto l’uomo composto da spirito e materia, se la religione e in altro senso l’arte offrono l’elevazione spirituale, proprio per la sua completezza l’essere umano ricerca – ripeto, per lo più istintivamente – l’elevazione totale. Che gli verrà suggerita e offerta quale mezzo di effettuazione proprio dalla terra stessa, la Madre-Terra, su cui in apparenza irrazionalmente è stato immesso (Flammarion: ”D’ où venons-nous ? Qui sommes-nous? Où allons-nous?” ): e cioè la montagna.

La Montagna con cui il pianeta sembra tendere direttamente al cielo (Montagna, preghiera della terra). Per sui l’uomo, salendo lungo i fianchi o gli spigoli di un monte, per via difficile o per sentiero, insieme si eleva ed insieme si conforma in questa prassi etica alla stessa terra cui appartiene. E non solo materialmente, come ovvio, ma anche spiritualmente: perché l’ascensione è ritorno alla natura, concentrazione in essa ed in se stesso, quindi liberazione dai coinvolgimenti della vita cosiddetta civile, immedesimazione nella wilderness, gratuità dell’azione tesa e suggerita soltanto da slancio ideale.

Per cui il raggiungimento della cima genera quel “sentimento della vetta” che, nella sua pienezza apparentemente irrazionale, non può essere spiegato con la logica.
Perché appartiene ad un’altra, dimensione. Una dimensione superiore.
Meta dell’uomo, creatura terrestre.

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