MENU

8 Marzo 2010

Memorie · Racconti

KHALI GANDAKI, ADDIO

5-gallery-zandonella-il-dhaulagiri-dal-passo-dei-francesi-5360-m.jpgMarpha è un bellissimo paese adagiato in quota nell’unico tratto pianeggiante della immensa valle della Khali Gandaki. Una valle famosa perché rappresenta uno dei solchi più profondi della terra e si incastra fra il Dhaulagiri e l’Annapurna, giganti di oltre 8000 metri. Le viuzze del villaggio sono lastricate e l’acqua di un torrententello corre sotto le piastre regolari mantenendo il luogo lindo e caratteristico. Fermarsi qui per un po’ è quanto mai piacevole, specie a novembre quando la stagione offre i suoi gustosissimi frutti: piccoli mandarini dolci e ben maturi, nonostante la quota sfiori i 2700 metri. Alto sul colle fa bella mostra di sé un bellissimo monastero buddista che subito diventa meta di una mistica e piacevole visita.Ero già stato qui nel 1998 quando tutto sembrava ancora vergine o quasi. Allora scendevo la valle provenendo dall’alto Thorong La, il passo che divide l’Annapurna dal Dhaulagiri, cioè la Kali Gandaki dalla Marsyangdi Kola, con la mente immersa nei racconti dell’orientalista Giuseppe Tucci (1894-1984), il più grande esploratore italiano dell’Asia e portavoce di Mussolini in Giappone. Ma ricordavo anche il bel libro di Olga Ammann e Giulia Barletta con gli interessanti studi sulla “terra degli dei” (1982), nonché antesignane dell’italica voglia di fare trekking.

Oggi per le vie dell’antico borgo scorazzano le moto; qualche trattore con rimorchio fa servizio di taxi tra un villaggio e l’altro e la parte superiore della valle si offusca entro un velo di pulviscolo. Tanta polvere che il vento, mai assente da queste parti, disperde sui declivi. Ma c’è dell’altro, qualcosa di vivace e di palpabile come la stessa polvere che ci turba. Un movimento strano che attira la nostra curiosità. Qua e la uno sparo, gente che corre, nuvole di terra che si alzano nell’aria fresca.

7-gallery-zandonella-verso-il-passo-dhamphus-5258-m.jpgNella Khali Gandaki stanno costruendo una strada.
Vari lotti sono già ultimati e nei luoghi dove è già possibile far “girare le ruote” si vedono veicoli strani, almeno per questi posti. Veicoli che gli elicotteri hanno portato fin quassù appesi alle loro pance di lamiera e che ora vanno sbuffando qua e là su due o su quattro ruote.
Altri lotti, divisi per villaggio, sono in opera; è tutto un lavorio faraonico a colpi di spranghe, di mazze che fanno fori per le mine, di rotolar di massi per le scarpate, di griglie e barricate, di muretti fatiscenti, di ponti e ponticelli. Il tutto in condizioni di sicurezza da quinto mondo. Non ci sono altri lavori da queste parti e l’unico che si presenta pare sia proprio il benvenuto perché permette di mangiare un po’ di riso in più. In barba ai sindacati che non ci sono, ai controllori della sicurezza che devono ancora essere inventati, agli ingegneri che se ci sono non vigilano, ai compensi che immaginiamo da fame… In barba a tutto. Non c’è in giro un casco, un paio di scarpe sicure, un guanto di protezione, una tuta da lavoro, un qualche segnale di pericolo, una mascherina per la polvere. Nulla. La testa è nuda, i piedi sono nudi, la bocca è nuda. Tutto è nudo in termini di sicurezza.

Oggi da Marpha si sale in moto o con un trattore fino a Jomson dove si stende, a quota 2715 metri nella breve piana che dopo le 10 del mattino è frustata dal vento, il piccolo aeroporto che lo collega a Pokhara. Ma il “taxi-trattore” giunge anche fino a Kagbeni alle porte del Mustang o alla santa Muktinath ai piedi dell’Annapurna. Muktinath è il luogo mistico delle centouno fontane dove si recano in pellegrinaggio, tassativamente a piedi, buddisti e induisti per pregare i loro dei e dove ho pregato anch’io, seppur cristiano.
Unica, sola, piccola soddisfazione per i nostalgici escursionisti amanti della natura incontaminata resta questa: nella parte medio-bassa della valle la nuova strada seguirà il corso destro orografico del fiume mentre il vecchio e glorioso tratturo dei portatori è inciso sulla sponda sinistra. Dunque chi lo desidera, chi vuole fare un tuffo nel passato, chi preferisce il profumo dei porter a quello della nafta potrà continuare a salire o scendere per la Khali Gandaki come ai vecchi tempi. Ma sarà impossibile far finta di non vedere e di non “sentire” la strada che scavalca e ferisce irrimediabilmente i dossi rocciosi sull’altro versante!

C’è di più: negli intenti del governo nepalese, come ci ha informato la guida, la nuova arteria dovrebbe raggiungere il Thorong La a quasi 5500 m, ben sopra Muktinath, per poi scendere nella splendida conca di Manang dell’Annapurna e quindi, per la stupenda valle del Marsyangdi Khola, raggiungere Besi Shahar sulla strada per Kathmandu. Naturalmente quando neve e slavine lo permetteranno. Conoscendo i tempi biblici di queste regioni, ci vorranno cinquant’anni. Ma ci arriveranno, eccome. Specie se dovesse giungere il possibile e probabile aiuto della Cina, sempre molto attenta alla creazione di nuove strade presso i suoi confini )perché potrebbero tornare utili un domani, non si sa mai …). Non è una novità.

4-gallery-zandonella-sul-ghiacciaio-del-dhaulagiri.jpgIo vivo nella Valle del Piave che fino all’Ottocento era come la Khali Gandaki. In quei tempi un tratturo per uomini e armenti collegava Belluno al Cadore e da lì, lungo mulattiere oggi impensabili, i “portatori” e i “signori” giungevano nell’idilliaco isolato Comélico, o ad Auronzo che ancora non aveva il lago, oppure nella valle del Bòite chiusa a San Vito da un confine, o nelle altre oasi dolomitiche. La vita degli uomini si svolgeva sulle sponde di quelle valli selvagge, percorse da impervi itinerari di collegamento. Poi qualcuno pensò che era bene costruirvi una strada e portare lassù, a quei quattro montanari barbari e incolti, un po’ di civiltà. Poco importa se quegli indigeni ne avevano già una di civiltà, tutta loro, dignitosa e millenaria; se già possedevano una cultura di prim’ordine; se le loro tradizioni tramandate da tempo erano gelosamente salvaguardate. La moderna via di comunicazione la fecero lo stesso; la fecero piano piano, tenacemente, in barba a tutte le critiche.
Anche allora l’operazione non passò inosservata. Molti illuminati profeti, specie inglesi e tedeschi (quelli del “Gran Tour”, per capirci), che in casa loro conoscevano i lussi e le comodità dei tempi e che per diletto frequentavano i trekking – i tour – delle Dolomiti in cerca di emozioni e di avventure, gridarono allo scandalo …
Che vergogna”! La montagna delle loro scorribande e del loro diletto era stata violata.

Indubbiamente preferisco la Khali Gandaki di una dozzina di anni fa a quella di oggi e di domani, ma non mi sento di criticare i nepalesi. Altrimenti dovrei scagliarmi anche contro chi ha costruito la Strada d’Alemagna …
C’è solo da meditare. Nel nome della civiltà si è fatto questo e tanto altro si farà ancora di peggio. Nei nostri ricordi resterà solo la favola, i bei ricordi.

C’era una volta una valle grandiosa, bella, interessante, la più profonda della terra, protetta da due montagne-madri altissime e coperte di nevi lucenti. Il suo nome era Khali Gandaki, il nome di una dea, o quello delle fiabe nepalesi. Era abitata da gente laboriosa e mite che viveva felice e contenta, cibandosi di riso e patate senza conoscere le sardine in scatola; lieta quando aveva un fardello di 50 chili da portare sulla schiena con l’aiuto della fronte perché quel peso significava “mangiare”; allegra in mezzo a un rosario di figli chiassosi e rubicondi con le pezze sul di dietro (e anche sul davanti) e il naso da pulire. Sereni !
Poi un giorno giunsero lassù parecchi manovali mal vestiti e mal nutriti, armati di spranghe di ferro e sacchi di dinamite; uomini buoni e affamati mandati da uomini cattivi e sazi per ferire la montagna e fare una strada. E poi … bla, bla, bla.

Per conoscere l’epilogo che dice “… e vissero a lungo felici e contenti” dovremo aspettare qualche generazione. Come è successo a noi!

Italo Zandonella Callegher