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28 Novembre 2018

ANDREA VALLONE: sopravvivenza, volo e scalata oltre l’ultima frontiera

Volare, scalare, sopravvivere…  Sono tanti i protagonisti di questo mondo incredibile fatto di natura e avventura. Alcuni fanno molto rumore e perciò la gente li conosce, altri preferiscono il “fare” al “dire” e per questo spesso passano più in sordina. Diceva Mauro Corona durante un famoso festival qualche anno fa “siamo qui per vanità, se era per la montagna, sarei andato in montagna”.
Oggi vorrei parlare con Andrea Vallone, giovane esploratore, scalatore e …molte altre cose! Nato a Torino nel dicembre del 1985 e sulla carta ancora oggi residente nella città, ma sovente giramondo in cerca di luoghi unici e selvaggi, oltre l’ultima frontiera. Andrea è uno di quelli che ama sognare e realizzare i propri sogni, senza mezzi termini. Lui parte …e ci penserà la vita a fluire.

Se ti chiedessi da dove vieni, cosa risponderesti?
Sono praticamente cresciuto in Valle D’Aosta a Gressoney ai piedi del Monte Rosa e fin da piccolo sentii un attrazione ancestrale, atavica per Lei, la Grande Signora.
Ho ricordi vividi di quando pioveva e con un vecchio nylon mi costruivo un riparo …stavo lì… Ho ancora nelle narici l’odore della terra bagnata e quello delle rocce coperte da licheni …si, quelli che sembrano morti e si sbriciolano.

Di quale montagna sei innamorato?
Be’, ovvio che per me il Monte Rosa e la cultura Walser che ne copre ogni singola foglia con un velo sottile ma uniformemente intenso; rappresenta l’incipit di un amore mai finito, ma nel corso degli anni mi son reso conto che riesco ad innamorarmi molto facilmente dei posti tanto da sopprimere, a volte, la mia indole esplorativa. Questo sentimento mi ha riportato più volte su passi già fatti, pur sempre finendo per capire che tutto ciò che sembra statico in realtà, col suo dinamismo , riesce ogni volta a donarti qualcosa di nuovo.

Cosa significa essere un istruttore di sopravvivenza?
Essere un istruttore di sopravvivenza, ma sopratutto essere un istruttore, significa per me avere delle capacità legate, prima ancora che all’aspetto tecnico delle attività, alla consapevolezza di saper usare e modulare i diversi codici di comunicazione.
Come si può pensare di insegnare una tecnica di accensione del fuoco, un nodo in arrampicata, l’utilizzo di un pezzo di Ripstop con quattro cordini qual’è fondamentalmente il parapendio, se il tuo allievo non ti vede come punto di riferimento umano? Non è inoltre da sottovalutare la rarissima capacità che un istruttore deve avere nel diventare “allievo del suo allievo” e assorbirne emozioni ed esperienze pregresse.

Come hai iniziato a scalare?
Ho iniziato a scalare sulle falesie della Valle D’Aosta, ancora ricordo il giorno che andai ad acquistare in ferramenta una di quelle corde da materiale con le righine nere o blù e 12 moschettoni da materiale non omologati di cui uno più grosso da usare col”mezzo barcaiolo” come assicuratore.
Con quel materiale scalai praticamente quasi tutte le vie della Corma di Machaby. Avevo quasi 13 anni e uno di quei giorni fui pesantemente redarguito da una Guida Alpina, che con calma e pazienza mi spiegò un po’ di cose. Qualche mese dopo, fiero e orgoglioso, riuscii ad acquistare il mio primo materiale “serio” e mentre sistemavo lo zaino sul treno Torino-Aosta, una signora con una dolcezza infinita mi si avvicinò con un sorriso che mal celava i lucidi occhi su di un viso segnato da una vita di esperienze, una mappa sul quale vi erano valli e promontori, neve e foglie; una mappa lasciata su un tavolo a impolverarsi. Lasciata lì e mai più guardata dal 1998, data della morte del grande alpinista Gabriele Beuchod. Lei si era avvicinata a me, perché vide corde e moschettoni; lei era Mary Chiara, donna eccezionale e moglie del grande alpinista …iniziai a ingurgitare libri come un bambino al quale per troppo tempo son stati negati dolciumi.

Come ti alleni per i tuoi exploit?
Mi alleno lontano dalle palestre, lontano dalla resina. Scalo, volo, vivo l’ambiente, qualsiasi esso sia; affrontare le cose in questo modo ti allena sopratutto la mente; caricare la testa di cose “reali”, ti permette poi di scaricare tutto te stesso sul giorno dell’ “impresa”, senza badare a dover dare un numero o un grado a ciò che fai. Me ne tengo ben lontano.

Quali sono i tuoi exploit più importanti?
Se dovessi rispondere di istinto direi “…ogni volta che son tornato a casa con lo spirito contento, stanco di quella fatica che ti rende riposato, ogni volta che mi son sentito cresciuto…” , ma credo che vogliate sapere che cosa di importante sia accaduto durante le mie attività (per quanto l’importanza sia relativizzata nel mondo dell’outdoor).
– Sicuramente una delle esprienze più intense è stata la traversata di nove giorni di un tratto di savana in Kenya, ai confini della Tanzania, in totale autonomia senza ausilio di equipaggiamento complesso; avevo un po’ d’acqua e un machete, le notti erano lunghe e il loro silenzio era rotto solo da i versi degli animali …(si tutti quelli che possono venirvi in mente, erano particolarmente incuriositi da me) e dai pensieri che inevitabilmente fanno capolino nella testa.
– Un altra esperienza per me formativa quanto probante e stupenda, fù il concatenamento dei 4000 del Monte Rosa in solitaria in tenda. In tre giorni, senza appoggiarmi a rifugi di sorta.
– Così come rammento la traversata della Turchia a piedi e in Kayak sempre in solitaria e con scarno equipaggiamento.

Cos’è l’hike and fly?
L’hike & fly è un termine elegante e moderno per dire “…..ca …spita, oggi non c’è la navetta che mi porta in decollo per volare col parapendio!!!” Scherzi a parte credo che sia stata un ulteriore purificazione dell’aspetto più romantico dell’alpinismo, quello legato alla componente emozionale. L’alpinismo inteso come purezza della risalita e il volo come suggello liberatorio dopo la fatica. E’ davvero bello potersi sedere comodamente su un seggiolino e librarsi in aria come un Icaro 3.0 per venir giù.
Le location dove usualmente pratico questa attività sono site in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria in maniera tale da poter venire a contatto con situazioni aerologiche sempre differenti.

Qual’è stata la tua ultima spedizione?
L’ultima spedizione ha visto aprire i sipari in territorio Kenyota nel 2017, nell’ ambito del progetto “Kenya Flying Expedition” il progetto è composto da due coprogetti:
– L’apertura di una nuova via di arrampicata su una parete vergine (2017)
– Il primo decollo al mondo in parapendio dalla Kasigau Mountain in Kenya (2019)

Nel 2017 dopo quattro giorni di avvicinamento in savana, riuscii con l’appoggio del mio team, a raggiungere la vetta, ma il giorno del tentativo di decollo un mix di casualità dettate da condizioni meteorologiche avverse e paura, mi fecero desistere.
Ripartiremo nel 2019, tra il 14 gennaio e il 2 febbraio, con l’appoggio dei miei sponsor e il mio Team che con dedizione e pazienza hanno creduto alla visionarietà di quest’ operazione per completare quanto prefissatoci, decollando dalla Kasigau Mountain.

Non sarebbe stato possibile organizzare tutto ciò senza il loro appoggio logistico e nel ringraziarli metterò davanti prima i loro nomi anziché i loro brand:
– Carlo, Giorgia ed Enrico del Salewa Store Torino
– Marco, Chiara e lo staff del Salewa Store di Genova
– Arno Hofer per la possibilità di usufruire del circuito Salewa
– Danilo Guido di Radio GRP, che ci seguirà in diretta nelle dirette radio per tutto l’arco della spedizione
– Davide Cardona per i parapendio Mac Para.
– Mattia Furlan e paolo Bioletti della Gipix Videomaking

…e inoltre: mia moglie Annaleigh, Manuel Bonafede, Bichiri Giovanni ,Giuliano Buratti, Federica Ferracino, Vladimiro Giuliani, Mauro Dadaglio, Barbara Balagna; tutti trekker e viaggiatori di lungo corso e organo fondamentale del team.

Quale sarà il tuo prossimo progetto?
Il mio prossimo progetto? Oh guarda, la mia testa viaggia più di quel che dovrebbe; lascerò che l’onda degli avvenimenti mi accompagni nella pianificazione di progetti: di solito pongo ordine al cumulo di sogni, li schematizzo in idee; a questo punto inizio a prendere mappe e a scrivere, da qui la parte più complessa; trasformare il tutto in azione.
Per esempio dopo la spedizione di gennaio andrò con Davide Cardona e mia moglie in Tanzania, senza programmi, ma con zaino e vele, voleremo dove ci piacerà, assorbiremo quel che il luogo ci darà e se ci darà da pianificare un progetto, la sintonia col posto è importante e una spedizione non può essere finalizzata a un obiettivo e basta. Questo è quello che proverò a trasmettere ai mie figli quando mi chiederanno che lavoro faccio.
Prima vi dissi che mi tengo lontano dalle palestre e dalla resina non perché io le disprezzi, anzi; il problema che l’evoluzione dell’ arrampicata moderna, soprattutto per retaggio agonistico, relega sempre più a non uscire fuori a non vivere l’ambiente.

Cosa diresti a un ragazzo che si approccia al mondo della montagna?
Se mi è concesso vorrei ribaltare un pochino queste domanda, proponendo una risposta su che cosa augurerei a un ragazzo che si approccia a una qualsiasi attività outdoor, a una passione, a un sogno. Gli direi innanzitutto di credere in qualcosa perché è l’unica benzina necessaria al riuscire, di non sprecare tempo ad ascoltare i detrattori di sogni, ve ne sono a ogni angolo, di far si che il fatto che stà vivendo oggi gli comporti una qualche differenza nel suo futuro, di non star dietro a numeri e lettere quando va a scalare, ma di scalare, del resto la pietra e pietra, senza falsi animismi, di avvicinarsi a chi ne sa più di lui, con la giusta dose di criticismo, ma sempre pronto a stuprargli la mente per assorbirne ogni cosa, di non mitizzare nessuno perché tutti vivono la paura, non ricordo una sola situazione “vera” nel quale non l’ho provata.
Già …la paura …amica, nemica, compagna sempre presente, ingestibile a volte e controllabile in altre …nome femminile; così come montagna, aria, terra, avventura ma sopratutto come “rinuncia” , capacità necessaria per diventare vecchi.

 

Christian Roccati
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