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3 Maggio 2021

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Resto del Mondo

COVID al campo base dell’Everest. Parla un medico

Iñigo Soteras. Fonte: Exweb

Il parere di Iñigo Soteras, capo medico della Federazione alpina spagnola e  professore di Wilderness Medicine

Il 23 aprile il team medico di volontari dell’Himalayan Rescue Association ha rivelato per la prima volta  possibili casi  COVID al campo base dell’Everest. Ma dopo quella prima segnalazione è calato, per lo più, il silenzio.

Uno dei medici dell’International Society of Mountain Medicine (ISMM), attualmente al campo base dell’Everest, ha recentemente confermato che “molte persone” sono state evacuate dal CB con sospetti sintomi COVID e successivamente sono risultate positive a Kathmandu. “Presso la struttura medica al CB di Himalayan Rescue Association seguiamo i protocolli per il trattamento di pazienti con sospetta infezione COVID – spiega – Dal Ministero della Salute ci è stato negato il permesso  di eseguire i test PCR. La tosse del Khumbu e altri disturbi respiratori possono sembrare sintomi COVID, quindi in pratica trattiamo tutti i casi come se fossero COVID … Molti alpinisti sono isolati nelle loro tende al momento. Anche le spedizioni si stanno isolando, riducendo al minimo le interazioni con altre spedizioni. A Kathmandu gli ospedali  le unità di terapia intensiva si stanno riempiendo rapidamente.”

“Il governo sembra deciso a non chiudere la stagione alpinistica, ma la situazione potrebbe cambiare in qualsiasi momento. Concordo con i miei colleghi che, per coloro che non sono già qui, ora non sarebbe un buon momento per venire in Nepal “.

The Himalayan Rescue Association clinica attiva (medici volontari) al CB dell’Everest Base Foto: Everest ER

Everest CB: la ‘clinica’ di di Himalayan Rescue Association. Fonte: Facebook HRA

ExplorersWeb ha contattato il dottor Iñigo Soteras, capo medico della Federazione alpina spagnola e  professore di Wilderness Medicine. Il dottor Soteras non è attualmente al campo base dell’Everest ma è in contatto con i colleghi che lo sono. Ha anche collaborato con l’HRA per anni e conosce bene il Campo Base.

“L’alta quota aggraverà i sintomi perché il virus attacca corpi già indeboliti, in condizioni di disidratazione, minore saturazione di O2, stanchezza e forse un sistema immunitario indebolito. La situazione è simile a coloro con disturbi preesistenti che contraggono il COVID: il rischio di sviluppare sintomi gravi è maggiore.”, spiega Soteras,  in merito agli alpinisti che si sono affrettati a lasciare il CB per i C2 nella speranza di evitare il contagio. Inoltre la loro evacuazione sarebbe ancora più complicata.

Stare all’aria aperta dovrebbe garantire  più sicurezza, tuttavia il medico spagnolo afferma:  “Il CB dell’Everest è il peggiore di tutti i campi base. Anche in montagna non esiste il rischio zero. Le tende collettive di solito sono poco ventilate a causa del freddo e la distanza sociale non è affatto rispettata. Sono sicuro che i medici della clinica dell’HRA non sono rimasti sorpresi quando sono comparsi i primi casi.”

Continuare le spedizioni è troppo rischioso, secondo Soteras:  “È una decisione difficile ma come medico devo dire che il rischio è troppo alto. Nonostante gli elicotteri, la tecnologia e le comunicazioni, il campo base dell’Everest è ancora un luogo remoto e isolato. A capo di una squadra, sarei andato solo se avessi potuto essere completamente  autosufficiente, senza avere contatti con altre persone. Diversamente, è davvero difficile controllare tutti, ovunque e in ogni momento – non solo gli alpinisti stranieri ma anche il personale locale del campo base, eventuali visitatori, lavoratori e fornitori che supportano varie spedizioni, ecc. Anche se avessi guidato un gruppo di trekking, non avrei continuato la spedizione:  contatti nei lodge, con gente del posto e altri escursionisti, ecc. Il rischio di infezione o di contagiare altri è troppo alto, secondo me. Inoltre, la situazione in Nepal è davvero preoccupante e presto gli ospedali saranno pieni.”

Intanto in Nepal i casi Covid-19 conclamati sono quasi 40.000. Si tratta di un numero enorme in un paese con risorse mediche limitate e con la vicina India investita da un’ondata devastante che non da segni di rallentamento.