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18 Settembre 2017

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Alpi Occidentali · Aree Montane · Italia · Valle d'Aosta

Due fiamme sul ghiacciaio – Parte 1

“Un evento emozionante interrompe improvvisamente la quiete. Nel silenzio sepolcrale della montagna sale, sempre più sonoro, il rombo di un motore. Ed ecco comparire nel cielo, verso Chamonix, un puntino scuro che il sole a tratti fa brillare come una stella. è un elicottero e punta deciso verso di noi. Ricordo che un amico sarebbe venuto a cercarci da lì a qualche giorno. E ha mantenuto la promessa. Fatte alcune evoluzioni per studiare le correnti d’aria, ecco la minuscola libellula di acciaio avvicinarsi alla parete fino a dare l’impressione di sfiorarla. Riconosciamo sotto la cupola di plexiglas il nostro amico che ci fa cenni di saluto. Questo incontro ci fa anche capire quanto separati ci troviamo ormai dal resto del mondo. Ora provo disagio per la solitudine, che diventa quasi sollievo nel vedere l’elicottero allontanarsi. Riprendo la scalata, ma non posso evitare di cercare con lo sguardo i nostri sci, quei pezzi di legno rimasti conficcati laggiù alla base della parete. Sono, con noi, le sole cose estranee a questa natura spietatamente indifferente all’uomo. D’inverno la parete nord delle Jorasses ha la prerogativa di non lasciare mai intravedere all’orizzonte un minimo segno di vita. Quassù non giunge altro suono che quello della bufera, altro movimento se non quello delle tempeste e delle valanghe. Chi la scala in questa stagione potrebbe benissimo immaginare di trovarsi per magia nella vuota Antartide o su un pianeta senza vita.”

È su queste parole di Walter Bonatti che affiorano i pensieri legati a quei giorni passati sul Bianco. Ricordi vividi e ancora carichi di emozioni.

Giorno 1

Siamo verso fine luglio del 2016 quando noto insieme a Gianni una finestra di bel tempo nel fine settimana. Partiamo decisi e di buon ora venerdì mattina mentre fuori è ancora buio. I chilometri di asfalto si susseguono veloci, così come il paesaggio che per gran parte del tempo si mantiene pianeggiante, per poi iniziare a trasformarsi alle porte della Valle d’Aosta. Prima d’ora il Bianco mi è sempre apparso come un puntino lontano, sia quando lo vidi per la prima volta dal massiccio del Rosa così come quando potei ammirarlo dalla zona della Grivola. Un puntino destinato a rimanere tale nei miei pensieri, fino a quando all’uscita di un’infinita serie di gallerie che portano a Courmayeur mi si mostra in tutta la sua maestosità. Mi pare subito curioso pensare che fra poche ore ne tenterò la scalata dal versante italiano.

Raggiunta Courmayeur e poco dopo la Val Veny, lasciamo l’auto a quota 1650 metri e iniziamo la lunga camminata verso il rifugio Gonella. Questo primo tratto si snoda dapprima su strada asfaltata e poi su un sentiero che permette di raggiungere la morena sulla sinistra orografica del ghiacciaio del Miage. Lo percorriamo in compagnia delle tante persone presenti in questa bellissima valle che durante l’estate si dipinge di verde e di azzurro. Una visione quasi fiabesca che si interrompe non appena mettiamo piede sul ghiacciaio del Miage, un vero e proprio ghiacciaio completamente ricoperto da rocce di ogni forma e dimensione.

Percorriamo questa infinita lingua di ghiaccio che si nasconde sotto i nostri piedi attorniati da montagne che si fanno sempre più alte e sempre più verticali. A cadenza irregolare siamo accompagnati dal fragore delle rocce e degli enormi pezzi di ghiaccio che si staccano dalle pareti, precipitando per centinaia di metri prima di schiantarsi al suolo. Continuiamo a camminare quasi in piano, scherzando e ridendo del fatto che la nostra sveglia suonerà tra meno di 12 ore.

È soltanto quando la lunghissima pietraia lascia spazio al ghiacciaio scoperto che abbandoniamo quest’ultimo per iniziare a salire lungo le pareti che portano verso il rifugio Gonella. Iniziamo finalmente a guadagnare altitudine, riuscendo quindi ad ammirare l’infinita distesa di massi che abbiamo appena percorso. Saliamo ancora, tra corde fisse e piccole scalette, arrivando così ai 3071 metri del rifugio. Da qui godiamo di una spettacolare vista sul tormentato ghiacciaio del Dome, un vero e proprio “inferno” di ghiaccio sul quale metteremo piede domani.

Ci concediamo un leggero riposo prima di cenare e di tornare nuovamente in camerata. Puntiamo le sveglie, anche se sappiamo che non ce ne sarà realmente bisogno.

Clicca qui per leggere la seconda parte del racconto.