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9 Ottobre 2018

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Insight · Resto del Mondo

Edurne Pasaban tenta il Saipal (7.031 m) con quattro donne nepalesi. Guarda il video

Edurne Pasaban. Foto: Dario Rodriguez/Desnivel

Il progetto di Edurne Pasaban ha un duplice scopo, sportivo e sociale: scalare il Saipal (7.031 m) insieme a quattro ragazze nepalesi che in questa regione subiscono forti discriminazioni

Edurne Pasaban, la prima donna al mondo a completare tutti  i 14 ottomila, torna in Himalaya per una missione dal duplice scopo: sportivo e sociale. Durante questi ultimi anni, Edurne non ha abbandonato le montagne, tanto meno l’Himalaya, ma è stata occupata con il progetto più importante della sua vita, la nascita del figlio Max, nell’aprile 2017.

L’obiettivo di questa spedizione, che inizia il 13 ottobre, è quello di scalare il monte Saipal e far luce sulla disuguaglianza tra uomini e donne  e dimostrare alle donne che avere il ciclo mestruale non le rende inferiori.

In altre zone del Nepal, le donne subiscono meno discriminazioni, alcune di loro hanno infatti conquistato alcuni ottomila, persino l’Everest. Ma nella regione di Saipal alle donne non è permesso scalare le montagne perché, secondo le credenze locali, sono dimora degli dei e pertanto bandite alle donne. L’obiettivo di Edurne è aiutarle a superare questa discriminazione.

Edurne tenterà l’impresa con quattro donne nepalesi.  Il monte Saipal (7031 m) è la seconda montagna più alta del Nepal nord-occidentale, e per la gente locale è considerata la casa di  Bishnu. Nella mitologia indù, sono  tre le principali divinità: Brahma, Bishnu e Shiva. Brahma rappresenta il creatore, Bishnu il salvatore e Shiva il distruttore.

Edurne Pasaban. Foto: Dario Rodriguez/Desnivel

Di seguito, vi proponiamo l’intervista all’alpinista spagnola, realizzata da Dario Rodriguez:

Come è nato questo progetto?
Alcuni anni fa ho realizzato un documentario con alcune ragazze nepalesi che giocavano a calcio; il produttore del film è colui che ha avviato il progetto. Viene da una regione in cui il ruolo delle donne è piuttosto arcaico, non hanno diritti, e gli è venuto in mente di realizzare una spedizione femminile sul Monte Saipal. L’obiettivo è sollecitare un cambiamento sociale nell’area, dimostrando che le donne possono anche fare altre cose.

Come è la situazione delle donne lì?
Le donne nella regione meridionale di Saipal soffrono di gravi discriminazioni, dovute a norme e tradizioni sociali che le considerano “impure e incapaci”. Vengono ritenute impure durante il ciclo mestruale. In quei giorni vengono allontanate dalla loro casa e sottomesse ai Chaupadi. Questa tradizione consiste nell’isolare la donna nel periodo mestruale,  in una baracca sperduta fuori dalla città in condizioni deplorevoli e spesso mettendo a rischio la sua vita. Si pensa anche che se a quattordici o quindici anni non si sono sposate non valgono più nulla. Sono tradizioni profondamente radicate. Sono discriminate anche se non hanno figli…

Quali donne hai selezionato per il progetto?
Quattro donne della zona: Sangita Rokaya, Laxmi Budha, Pabitra Bohora e Saraswati Thapa. È stato difficile trovarle; a causa delle credenze che hanno loro inculcato, le donne hanno paura di parlare. Queste quattro donne sono molto convinte: vogliono vivere questa esperienza e favorire un  cambiamento sociale, con me e con altre tre ragazze americane che ci accompagneranno. L’obiettivo è scalare questo settemila, proibito alle donne. Alle donne non è permesso scalare le montagne, le montagne sono la dimora degli dei e, a causa di tali credenze, in quanto impure non possono calpestare luoghi sacri. Sono convinti che le donne portino sfortuna in montagna.

Edurne Pasaban, sull’Annapurna nel 2010. Foto: arch. E. Pasaban

È una bellissima storia quella che realizzerai …
Sì, è per questo che vado. Sapevo che per tornare in Nepal dovevo avere una motivazione forte. Questa spedizione mi piace perché dietro c’è molto di più di un’imprea alpinistica, ha un obiettivo sociale e possiamo fare la nostra parte. Realizzeremo anche un documentario che faremo girare per i festival cinematografici. Inoltre, questa è un’area in cui  quasi nessuno va a fare trekking e in futuro vorrebbe aprirsi al turismo. Vogliamo che le quattro ragazze nepalesi guidino la prima agenzia di trekking nella zona. E’ molto importante che la donna abbia un’attività e non lavori solo a casa.

Da quanto tempo non vai in montagne così alte?
Dall’Everest senza ossigeno che ho tentato nel 2011. Sono stata in Nepal per scalare l’Island Peak e qualche cima simile, ma da allora non ero più tornata su una grande montagna

Quello che ti costa di più è dover lasciare tuo figlio ...
Mio figlio avrà 18 mesi quando sarò via. È quello che più mi ha fatto dubitare. La mia prospettiva verso le montagne è completamente cambiata… Prima andavo con il pensiero che potesse accadermi qualcosa, ora il pensiero principale è quello di tornare indietro perché mio figlio ha bisogno di sua madre. È una paura diversa. La mia preoccupazione è come mi sentirò lì. In Nepal ci sono molti bambini e tutti quelli che hanno l’età di mio figlio me lo ricorderanno. Non ho paura della montagna. “Ora sono una madre, e ci sono cose più importanti che raggiungere una vetta.”

Che percorso seguirai?
L’organizzatore della spedizione voleva che affrontassimo la parete Sud perché la città di una delle ragazze è più vicino al campo base, ma quasi certamente faremo la Nord, da cui sappiamo essere saliti alcuni svizzeri, e da lì seguiremo la cresta fino alla cima. Ci sono molte incognite sulla montagna.

Con noi ci sarà anche il medico Jorge Egocheaga accompagnato da Martin Ramos che monterà diversi campi medici per aiutare la gente.

Il Saipal non è stato salito molte volte …
Sì, ha pochissime salite, è anche un obiettivo ambizioso.

Quanto durerà la spedizione?
Un mese o giù di lì.

Cosa rappresenta per te questo ritorno all’Himalaya?
Non vedevo l’ora di tornare su queste grandi montagne, ma mi rendo conto che se ora fossi al mio quattordicesimo Ottomila, potrei rinunciarvi senza alcun dubbio per mio figlio. Ora, per me esiste altro di molto più importante della vetta. Ma è bello poter tornare in Nepal con un progetto così importante, per aiutare le donne in una zona piuttosto remota.

Il trailer del documentario “Misión Saipal”

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