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25 Ottobre 2021

Gran Zebrù: la via Confortola in sicurezza

Il Gran Zebrù è una delle più famose montagne della catena alpina, alta 3857 metri, è la seconda vetta nel gruppo Ortles-Cevedale, ed è anche la seconda cima più alta del Trentino-Alto Adige.

Per gli alpinisti è un piccolo grande mito e per gli appassionati di avventura, viene un po’ ricordato come il giardino di allenamento di un certo Marco Confortola
Pochi giorni fa mi è capitato di parlare con Marco in riferimento alle tematiche solitamente a lui care: l’amico mi raccontava i suoi dubbi e le sue perplessità in fatto di sicurezza e nello specifico proprio sul Gran Zebrù. Ho pensato di intervistarlo miscelando questi due aspetti, in riferimento alla divulgazione di una sua linea, che limiti gli incidenti sulla montagna. La via Confortola ha due decenni, ma è di fatto una linea nuova rispetto alla normale, sconosciuta ai più.

Perché vuoi far conoscere questa via sul Gran Zebrù, che hai aperto 20 anni fa?
Perché purtroppo con l’innalzamento delle temperature, la via normale è cambiata completamente: con la diminuzione dello spessore del ghiaccio, il terreno di salita sulla spalla, è diventato molto più ripido e molto più pericoloso. A ciò aggiungiamo che le scariche di sassi ora sono davvero inarrestabili.

Prima esisteva una sorta di spalla glaciale che faceva da scudo: permetteva di ostacolare la caduta dei sassi, ma adesso i detriti che partono dalla cima arrivano fino in fondo al canale. La mia via, l’ho aperta venti anni fa, e ogni anno vado a pulirla e sistemarla, sta diventando la linea più sicura per salire sulla montagna.
Ricordiamoci che si tratta della cima simbolo della Valfurva: è un piccolo K2, ne ricorda molto la forma, e per gli alpinisti è una menta ambita, che molti sognano di salire. Ed è per questo che è giunto il momento di far conoscere una linea di accesso alternativa. Sta accadendo un po’ in tutte le montagne in cui c’è del ghiaccio, non solo sulle nostre Alpi, ma anche in Himalaya.

Ci sono ripetizioni della via?
Si, benché sia sconosciuta al grande pubblico, perché soprattutto alle guide alpine, ai miei colleghi, ai professionisti della montagna, ho dato istruzioni per seguirla, in modo da poter garantire un’alternativa alla via normale. Fondamentalmente una volta raggiunto il classico canalino, sale sulla sinistra. Le sue caratteristiche la rendono più sicura: è roccia e una porzione di misto e non presenta il solo ghiaccio della via normale. Ogni trenta metri ho messo un fixe, nei punti chiave: questo per aver sicurezza, perché per me è uno stile di vita. Nella parte superiore è lo stesso: una volta la via normale andava verso destra, dove il pendio ora è diventato molto più ripido; con il disgelo tutto diventa molto rischioso.
A sinistra, dove si sviluppa il mio itinerario, si passa bene e ho messo anche dei fittoni con la collaborazione di Olaf Reinstadler, che allora era il capo delle guide alpine di Solda e ora è il capo del soccorso alpino, anche lui guida alpina. Mi aiutò con il trasporto materiali in elicottero. In discesa è possibile fare delle calate!

Esiste una relazione della via?
Non ci sono relazioni, ma ho fatto un piccolo schizzo di indicazione che permette di individuare la linea e dove sono posizionati i fittoni. Inoltre per la parte di avvicinamento, suggerisco una salita a destra, una variante, rispetto al canale di ingresso, che permette di evitarlo quando non è in condizioni. Il punto più difficile è situato sopra l’uscita del canale, una trentina di metri su roccia abbastanza sana di terzo o quarto grado. Esiste una seconda sezione “ostica” nella parte finale, appena prima della spalla, di circa 25 metri, sempre sul terzo o quarto grado.

Hai avuto riscontro tra colleghi e appassionati?
Si alcuni erano disponibili, ma la persona che mi è stata più vicina e che mi ha ascoltato più di tutte, è il collega e amico Ciro Sertorelli. Formatore delle guide alpine e istruttore del soccorso, istruttore dei maestri di sci e tecnico di elisoccorso. Lui mi ha dato una mano quando ho chiesto un aiuto per chiodare la linea.

Hai detto che per te la sicurezza è uno stile di vita: ce ne parli?
Sono oramai 23 anni che lavoro in elisoccorso e 32 anni che faccio la guida alpina e per me la sicurezza è al primo posto, ma non solo in montagna, anche nella vita normale. Che siano gli sci o la mountain bike o la moto, è lo stesso! Alle volte quando andiamo a raccogliere persone con l’elisoccorso, hanno un tasso alcolemico piuttosto alto ed è ovvio il perché hanno fatto disastri. Perdono il sentimento della paura e sciano in velocità andando poi a fare incidenti.

L’ultima volta che ti ho intervistato mi raccontasti del tuo gioco da tavola, mi sembra che abbia anche in quel caso lo stesso tema. Cosa puoi dirci?
Si tratta di un gioco a domande che ho inventato insieme all’amico Dario; ho ideato in maniera completamente nuova la dinamica rispetto alla prima versione, in modo che sia più accattivante, e ora é in italiano e in inglese. Si chiama “8000 the mountain game”: stimolo la conoscenza e la cultura della montagna sotto tutti i punti di vista.

Flora e fauna, storia dell’alpinismo e dei parchi, comportamento nei rifugi, primo soccorso, materiali ed equipaggiamento… Ciò che un appassionato e frequentatore dell’ambiente outdoor dovrebbe conoscere. Tutto questo perché con l’esperienza del soccorso, mi sono trovato più e più volte a recuperare persone in difficoltà, magari semplicemente perché erano scivolate non avendo le scarpe con la suola antiscivolo.

Cosa reputi sia ancora importante da dire?
Il bravo alpinista …muore nel suo letto! Mi è capitato un po’ di tutto. Mi è capitato di allenarmi sulla mia via al Gran Zebrù e non trovare la montagna in condizioni e così ho deciso di ripiegare e mi sono trovato a incontrare dei ragazzi in difficoltà e li ho portati a valle, incolumi. Altri invece purtroppo sono saliti lo stesso e sono morti verso Solda… Alle volte la gente non ascolta chi è del mestiere; è importantissimo quell’istinto che io ho e che tengo ben caro. Mi ha salvato sul K2, mi ha salvato quel giorno sul Gran Zebrù, e forse mi ha salvato quest’anno sul Gasherbrum I, quando a 7700 metri, a 350 metri dalla cima, ho preferito tornare. Perché la mia situazione era quella di pericolo! Son quelle cose che senti dentro e spero che questo istinto non mi abbandoni mai e sia sempre al mio fianco, perché io voglio morire da vecchio! Un bravo alpinista muore da vecchio …nel suo letto.

Christian Roccati
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