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26 Settembre 2019

Alpinismo e Spedizioni · Vertical

Intervista a Krzyzstof Wielicki, Piolets d’Or alla Carriera 2019

Krzysztof Wielicki,2018. Foto: Ralf Lotys. Fonte: Wikipedia

Premiato nei giorni scorsi con il Piolet d’Or alla Carriera 2019, il polacco è stato il primo a scalare alcuni Ottomila in inverno, compreso l’Everest.  In un’intervista rilasciata a Rock&Ice, l’alpinista parla delle sue salite e di cosa ha imparato dopo una vita in montagna

Nell’ambito dei Piolets d’Or, gli oscar dell’alpinismo, dal 2009 ne viene assegnato uno alla carriera. In passato sono stati insigniti di questo Premio  nomi leggendari, tra cui Walter Bonatti, Reinhold Messner, Doug Scott, John Roskelley, Chris Bonington, Wojciech Kurtyka e Jeff Lowe. Quest’anno il vincitore del Piolet d’Or alla Carriera, è l’alpinista polacco Krzysztof Wielicki, 69 anni,  una vita trascorsa in alta montagna.

Wielicki ha fatto parte degli alpinisti polacchi che negli anni ’80 e ’90 erano soprannominati “Ice Warriors” per aver monopolizzato, in quel momento, le prime salite invernali degli Ottomila. Wielicki e il connazionale, Leszek Cichy, furono i primi a vincere un 8.000 in inverno con la scalata dell’Everest il 17 febbraio 1980.

La spedizione invernale all’Everest prese vita da un’idea di Andrzej Zawada, leggendario alpinista dell’epoca. Fu uno dei primi a superare quota 8000 metri in inverno, con la salita del Lhotse, nel 1974. Nel 1980, Zawada e altri 19 polacchi lavorarono duramente per quasi due mesi, spingendosi sempre più in alto, sull’Everest. Alla fine, furono il  29enne Cichy e il 30enne Wielecki a raggiungere la vetta.

L’Everest è stato il primo Ottomila di Wielecki, l’inizio di una lunga carriera nelle montagne più alte e fredde del mondo, a cui seguirono – nel decennio successivo – diverse salite.

Nel 1984  realizzò la prima scalata in solitaria  di un Ottomila, il Broad Peak. Nel 1986,  firmò un’altra ambita prima salita invernale di un Ottomila, quando con Jerzy Kukuczka conquistò il Kangchenjunga.
Nel 1988, scioccò tutti con la prima salita invernale in solitaria del Lhotse, dopo essere stato vittima di un incidente in montagna pochi mesi prima. Dalla biografia sul sito web dei Piolets d’Or: “Tentò, in stile alpino, l’inviolata parete Ovest  di 1.200 m del Bhagirathi II nel Garhwal indiano. Circa a metà della parete la squadra fu investita dalla caduta di massi, che uccise uno dei membri del team e ferì gravemente Wielicki, che riportò fratture alla spina dorsale. Si stava ancora riprendendo da questo infortunio sul Lhotse, quando – indossando un corsetto ortopedico – raggiunse la vetta, senza ossigeno supplementare, in una sola spinta da Campo III a 7.400 metri”

Otto anni dopo l’invernale al Lhotse, Wielicki realizzò quella che oggi ritiene la sua impresa più audace: la scalata del Nanga Parbat, in solitaria, attraverso la via Kinshofer, nel 1996. Era il suo ultimo Ottomila e con questo vertice  divenne la quinta persona al mondo  ad averli scalati tutti.

Wielicki continuò a scalare per altri 20 anni, diventanto un punto di riferimento nella comunità alpinistica polacca,  stimolando l’attività delle nuove generazioni di scalatori polacchi. Nel 2002 dichiarò: “Sei vette non conquistate ci stanno aspettando, ma i volontari non si vedono da nessuna parte. Lasciamo che il soprannome di “Ice Warriors”, dato dagli inglesi, rimanga nella storia dell’alpinismo dell’Himalaya per sempre. ”
Un gruppo di giovani polacchi rispose alla chiamata, firmando le prime salite invernali di alcuni dei rimanenti 8000 ancora non saliti nella stagione più fredda. Fu coinvolto anche Wielicki. Nell’inverno del 2003, guidò una spedizione per tentare di vincere in inverno l’ottomila più duro di tutti: il K2. La sua squadra non ci riuscì. Wielicki è recentemente tornato al K2 alla guida di un team di alpinisti polacchi nell’inverno 2018,  ma ancora una volta, nulla di fatto.

Ad oggi, il K2 è l’unico ottomila a non essere ancora stato scalato in inverno. Molte altre squadre ci torneranno quest’anno per tentare l’impresa.

Nell’intervista rilasciata a Rock and Ice, Wielicki dice aver ricevuto il Piolet d’Or alla Carriera 2019 a nome di tutta la sua generazione. “Gli anni ’70, ’80, ’90, è stata l’età d’oro degli alpinisti polacchi. Ho avuto il piacere di essere uno di loro. Alcune persone sono morte. Quindi questo onore non è solo per me….. Sono felice di unirmi a tutti gli altri che hanno vinto questo premio,  come Bonatti, Jeff Lowe, Roskelley. È bello essere in questo gruppo.”

Dall’intervista di Michael Levy/Rock&Ice

Come ti sei avvicinato all’alpinismo?
Non avrei mai pensato di diventare uno scalatore… Un giorno sono andato a Sokoliki (zona di arrampicata su granito in Polonia vicino al confine con la Repubblica Ceca) e ho visto arrampicare e quindi ho deciso di provare. Senza una corda, in quel primo viaggio! Ho scalato una roccia di 8-10 metri. Quando sono arrivato in cima, ho pensato: “Bene!”
Continua il polacco:La passione  non la puoi comprare. La famiglia di mio padre proveniva dalla pianura e quindi non aveva mai avuto esperienze in montagna, e nemmeno io. Ma quel giorno a Sokoliki ho deciso che l’arrampicata  sarebbe diventata la mia passione. Credo che ognuno di noi cerchi qualcosa a cui appassionarsi nella propria vita. Io ho trovato questo nella scalata.

Sono andato subito nella sezione di Breslavia del club alpino polacco. Studiavo a Breslavia. Ho imparato molto da loro. All’epoca non esisteva un altro modo per imparare: ho imparato dagli anziani.

E’ stata un’esperienza molto importante per me: ho imparato ad avere più empatia, a relazionarmi e a collaborare. Non c’erano soldi in gioco – cosa molto importante – tutti erano lì per pura passione.
Da lì ho seguito un percorso di base: aree rocciose, poi i Monti Tatra, poi le Alpi, le grandi montagne , e così via… Poco alla volta…
Oggi, a volte, vedi persone che tentano subito le grandi montagne, io penso che sia molto importante fare un passo alla volta..

A proposito di una delle sue prime esperienze sugli 8000, Wielicki dice: “Quando sono andato all’Everest non pensavo di scalarlo. C’erano persone più vecchie di me, più esperte, nella spedizione. Non avevo mai scalato un 8000. Solo tre o quattro vette di 7.000 metri. Quindi ero certo che sarebbero arrivate in vetta persone più esperte di me e che le avrei semplicemente aiutate. Ma ho scoperto di essere un alpinista piuttosto veloce. Sono sempre stato in testa.”


L’invernale all’Everest  è la salita di cui sei più orgoglioso?
No, penso sia  il Nanga Parbat. Sull’Everest, eravamo in team, non ero da solo. Ma sul Nanga Parbat ero completamente solo. Nessuno era sulla montagna, soltanto io. Tutte le altre spedizioni erano andate via….Tutto era contro di me: non ero mai stato lì, non sapevo dove fossero le vie. Quando sono arrivato a Chilas, ho scoperto che i miei amici polacchi erano partiti – ero appena arrivato dal K2 – perché c’era stato brutto tempo. Ma quando sono arrivato il tempo è migliorato. È stato molto difficile decidere di scalare in solitaria, senza una buona conoscenza. Una parte di me pregava che il tempo cambiasse, in modo di avere una scusa per tornare indietro e non scalarlo da solo. Ma ogni giorno c’era bel tempo, quindi ho deciso di tentarlo.

Krzysztof Wielicki dopo la conquista del Nanga Parbat. Foto: arch. Krzysztof Wielicki. Fonte: ktg.pl

Perché ti piaceva scalare in solitaria?
Di solito, non andavo mai da solo. Sono sempre andato con un gruppo, partner, amici. Ma a volte durante le spedizioni, sai, ero molto veloce, quindi volevo scalare qualcos’altro o qualcosa di più difficile.,, Un anno ho scalato il Dhaulagiri dalla via normale e ho dovuto aspettare perché ero troppo veloce. Quindi mi sono trasferito anche nella parete Est. Sul Lhotse, i miei amici non sono stati molto bene, quindi è per questo che sono andato da solo. Non ho mai lasciato casa pensando di andare a scalare in solitaria. Ho sempre voluto mettermi alla prova, però…

Cosa ti ha insegnato l’alpinismo in solitaria?
 A volte devi solo prendere la situazione in mano. Spesso dipendi dagli altri, ma a volte no.
Quando fai queste salite, fai di più… Cresci. Sei da solo. Dopo aver scoperto che puoi fare ancora di più senza aiuto, impari quali sono i tuoi limiti.
È divertente però, perché per me l’alpinismo è tutto basato sulla collaborazione. C’è  una corda e un partner. Ma a volte non riuscivo a trovare un partner o a volte non volevo assumermi la responsabilità per il partner. Se sei solo, può essere più facile.

Tornerai al K2?
Quest’anno daremo la possibilità a Denis Urubko e ad altri. Ma se non saranno in grado di farlo, andremo l’anno prossimo. Nel 2021.
Il problema ora è trovare gli “Ice Warriors”. Sono morti tutti. Molti uomini più giovani non rischieranno tanto. Pensiamo di poter organizzare alcune spedizioni test quest’ inverno in Pakistan per trovare alcuni alpinisti più giovani e vedere se riescono a scalare in condizioni difficili. E poi forse scegliere 4 o 5 di loro da portare con noi. Dobbiamo trovare giovani in grado di scalare in caso di maltempo.
40 anni fa non avevamo soldi se non 30 o 40 Ice Warriors. Ora abbiamo soldi, sponsorizzazioni, ma non Ice Warriors. Ma se non troviamo Ice Warriors, la mia idea è quella di coinvolgere i migliori al mondo e  formare un super team, per compiere uno sforzo comune. Ragazzi come Simone Moro, Denis Urubko. Forse si rifiuteranno! … Se non riusciremo a trovare il team polacco, forse faremo così.

Pensi che Denis Urubko avrà successo quest’anno?
Penso cinquanta e cinquanta.. Denis è l’unico Ice Warrior.

Fonte e approfondimento

Wielicki e Cichy dopo la prima invernale dell’Everest, nel 1980 Fonte: Wikipedia. Foto: Bogdan Jankowski

 

Vai alla video-intervista di Mountainblog a Krzyzstof Wielicki, 2019