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21 Gennaio 2017

La retorica degli angeli

img400Questa foto immortala un “attimo” che forse è sconosciuto alla maggior parete di coloro che oggi si spendono attraverso media e i social nella consueta retorica dell’ “angelo soccorritore”. E’ Alfred Hellepart, che dopo aver raggiunto Claudio Corti – unico superstite della tragedia avvenuta sull’Eiger nel 1957 – calandosi per 300 metri nel cuore dell’Orco, viene lentamente recuperato con l’argano dalla squadra di vetta. Sì è attaccato a un cavo di acciaio giuntato in più punti, meno grande di un mignolo, andando incontro a una serie d’incognite e a dei rischi enormi. Nessuno ha mai fatto nulla del genere prima di quel momento. Alfred, però, è un forte alpinista, membro della Bergwacht e si sente moralmente in dovere di mettersi in gioco per salvare Corti che è prigioniero da giorni di una delle più “terribili” pareti nord delle Alpi. Sono passati tanti anni da quegli eventi. In ogni occasione tragica ci sono stati e ci sono puntualmente, per i media, gli angeli del fango, gli angeli delle macerie, gli angeli della neve… Leggo in questi giorni i commenti su Facebook e, di là della solita retorica, scopro che vi sono addirittura i supporter delle categorie di “angeli” con tanto di commenti del tipo: “onore ai soccorritori del…”, ove ciascuno, rispondendo alle sue simpatie, appartenenze o legami di vario genere ne fa quasi una questione di “divisa”. Civile o militare che sia. E addirittura, fatto ancora più increscioso, in qualche post si scorge una non proprio velata sorta di concorrenza, laddove il merito del primo intervento o di procurata salvezza, spetterebbe a un corpo piuttosto che a un altro. Qualcuno poi, fotografando una nuvola dalle indecifrabili fattezze, s’inventa che dopo la tragedia a Rigopiano è comparso in cielo un “angelo”. In questo delirio collettivo che va dallo stucchevole salotto della Barbara d’Urso (Pomeriggio 5) ad alcuni Tg, sono contaminate addirittura piattaforme d’informazione della montagna che non riescono a resistere al fascino evocativo dell’“angelo soccorritore”. Eppure, anche se non ce ne accorgiamo o non ne parliamo con cotanta enfasi celebrativa, di questi “angeli” è pur pieno il nostro sventurato mondo, egoista nell’intimo e altruista soltanto di facciata. Sono coloro che ogni sera portano un pasto o una coperta ai clochard in inverni freddi come questo. Sono tutti quelli che, ogni giorno, si adoperano gratuitamente per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati sociali, senza discriminazione di razza o di religione di sorta. Prestare soccorso e aiuto è un fatto intimo, di slancio, che non cerca i riflettori né tanto meno epiteti identificativi. Come ha detto Wim Wenders: “Gli angeli dei nostri tempi sono tutti coloro che si interessano agli altri prima di interessarsi a se stessi”. Questa foto di Winkler, tra le più famose della storia dell’alpinismo, non farà di Hellepart un angelo. Neppure la stampa dell’epoca lo definirà tale. Nessuno gli dirà su Facebook che è un eroe, che merita una medaglia, che è unico. Ad Alfred non frega nulla a dire il vero. E’ un uomo normale, seppure altruista, e tanto gli basterà per tutta la vita.