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1 Maggio 2020

La via più breve non è sempre quella più sicura

Io non ho mai avuto una gran fretta nella vita. Come alpinista, ho seguito con pazienza e anche per anni le condizioni di alcune linee di salita invernali che mi sarebbe piaciuto realizzare. Salite che sono sfuggite ai fuoriclasse e ai cacciatori più “intransigenti” che circolavano dalle mie parti. Non sono stato per nulla più bravo, magari più fortunato, ma sicuramente paziente. Come appare spesso dai miei scritti, poi, non ho amato mai la velocità in montagna sia in salita sia in discesa, anche quando le condizioni fisiche giovanili me lo rendevano certamente più agevole che adesso. Sono stato veloce quando la necessità lo richiedeva, altrimenti ho sempre dato maggiore importanza ad altri aspetti. Anche durante le discese da molte ripetizioni e prime ascensioni, ho spesso scelto la via più lunga: quella più breve non è sempre quella più sicura. Questa nuova situazione di vita dettata dalla pandemia ci ha obbligato a rinunciare a molte libertà, tra queste la possibilità di praticare liberamente la montagna secondo le nostre passioni. E’ stato difficile per chi come me vive in montagna, di fronte a giornate splendide come quelle che questa primavera ha inusualmente proposto, e lo è stato ancora di più per chi è stato costretto in città. Molti di noi hanno subito dei lutti in questo periodo, anche negli affetti più cari, come il sottoscritto. Non sarà un periodo facile quello che ci aspetta e riprendere la normalità nel nostro modo di frequentare la montagna è probabilmente impensabile. Saremo forse facilitati perché, con un po’ di buon senso, potremo disperderci in luoghi poco frequentati o abbandonati del tutto, rinunciando a fare le “code” sulle vie famose che magari abbiamo in progetto da una vita, nei gruppi montuosi più frequentati d’estate. Sarebbe poco accorto rispondere solo all’irrazionale richiamo dell’ego o alle aspettative narcisistiche. Vi sono mille modi di vivere la montagna e mille cime o luoghi diversi per incontrare l’avventura, senza inseguire necessariamente la prestazione o il prestigio. Forse questa necessità ci insegnerà a trovare la felicità nel “piccolo” mentre finora l’abbiamo ricercata nel “grande”. Assisto in questi giorni a decine di petizioni, iniziativa di molti appassionati o associazioni, che chiedono con insistenza di tornare liberamente in montagna, fin da subito, indipendentemente dalle singole situazioni ancora critiche in alcune aree. Le posso comprendere fino a un certo punto, perché poi, leggendole con attenzione, vi colgo spesso una scomposta e anche un po’ egoistica enfasi che contraddistingue il mero fruitore. Non ho nulla ovviamente contro il fruitore, lo sono anch’io, e nemmeno sono contro chi manifesta una chiara difficoltà alla rinuncia. Anzi, comprendo benissimo. Tuttavia mi piacerebbe che queste pressioni che talvolta non denotano lungimiranza, lasciassero spazio a quegli insegnamenti che la montagna dovrebbe aver impartito a molti di noi: cioè che il frequentarla con passione può essere una via – seppur lunga e difficile – verso la saggezza e la “liberazione”. Questo, ovviamente, se pensiamo che l’attività in montagna possa essere per noi un qualcosa in più che un semplice sport, e soprattutto quando ci riempiamo la bocca di belle frasi fatte come: “la montagna è maestra di vita”. Citazioni che poi disattendiamo nei fatti alla prima difficoltà. La scalata o l’alpinismo soprattutto, potranno essere una via di “liberazione” se non porteranno ad alcuna schiavitù o dipendenza. Alcuni articoli come quelli letti su certe pagine web di titolate “riviste del settore”, non vanno certo in questa direzione. Semmai in quella opposta, alimentando in alcuni soggetti ancora più intolleranza verso la propria rinuncia e nascondendola dietro la parola  “libertà”. Sono convinto che la montagna, soprattutto quella che vive di turismo non possa aspettare a lungo e che servano risposte chiare e definite per superare un’estate che si  preannuncia comunque “anomala”, difficilmente gestibile senza strumenti idonei. Quella che si continua a evidenziare come un’opportunità economica, considerati i grandi numeri delle frequentazione di prossimità che tutti si aspettano, se gestita senza preparazione e buon senso rischia di trasformarsi in un problema serio. E nella buona gestione rientra anche la nostra “pazienza”, per non precipitare in un nuovo lockdown proprio nel cuore della stagione estiva. Mantenere il giusto equilibrio tra l’attenzione alle libertà dell’individuo (e dell’alpinismo) e il bene comune, è l’arma migliore che possiamo usare. Spero che di questo la comunità alpinistica – che finora si è e espressa per lo più in petizioni – possa farsi carico. Il buon senso che tanto s’invoca, quando si criticano maldestramente sui social certi escursionisti vittime d’incidenti, dovrebbe adesso essere la nostra guida, quando è in gioco il futuro della montagna e della nostra “libertà”. E la via più breve, non è sempre quella più sicura.