MENU

6 Agosto 2021

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Resto del Mondo

Mario Vielmo racconta la conquista del suo 12° Ottomila: il Gasherbrum I

Gasherbrum I. Foto: Mario Vielmo: facebook

Vielmo: “Abbiamo rischiato oltre l’impossibile…”

“Sono appena rientrato ad Islamabad, ora posso raccontare come è andata questa lunga e difficile spedizione al Gasherbrum 1, 8068m. Credo sia stata per me una delle salite più complicate e impegnative sia dal punto di vista mentale ma soprattutto fisico. L’abbiamo scalata solamente in cinque: Marco, Flor, Ali Musa, Fida ed io. Tutti gli altri alpinisti presenti al base, una sessantina di persone, hanno preferito rivolgere gli sforzi al più facile Gasherbrum II.”

Verso il Gasherbrum I

Fino a quota 6400m anche il G1 non presenta alcuna difficoltà se non il fatto di dover percorrere dal base un ghiacciaio lungo circa 15 km che conduce a un’immensa e contorta seraccata non priva d’insidie con enormi crepacci da raggirare e spesso da superare con salti quasi circensi.
Il fatto di trovarsi in pochi alpinisti su una delle montagne considerate tra le più difficili fra gli 8mila, come scrive nel suo libro uno degli alpinisti più forti del mondo il polacco K.Wielecki, da un lato è un’occasione rara di vivere una forte esperienza alpinistica dall’altro diventa uno sforzo di energie assai impegnativo. Il tratto più impegnativo della salita che parte da Campo 2 (colle dei Gasherbrum) fino alla sommità è tutt’altro che facile.

Mario Vielmo, C2 facebook

Il couloir dei giapponesi rappresenta il punto chiave: sono 700 metri quasi verticali su terreno misto roccia e ghiaccio, impegnativi, rischiosi e difficili. Questa parete va attrezzata con corde fisse se si vuole tenere un margine di sicurezza soprattutto nella fase di rientro dalla vetta. Tutto questo duro lavoro è stato eseguito in tre ripetizioni da me, Marco [Confortola] e da Ali Musa. È stato un lavoro assai difficile ma necessario, abbiamo utilizzato chiodi da roccia, qualche fittone e tanti metri di corda statica di ottima qualità. Dopo tre settimane dal nostro arrivo al campo base tra giornate di brutto tempo e difficoltà nel tracciare il lungo ghiacciaio che dal C1 porta al C2, ancora non avevamo terminato il lavoro fino al C3, mancavano ancora 100 metri prima di arrivare al c3 a 7100m. Lavoro che abbiamo completato quando siamo partiti per il tentativo di vetta.

L’occasione dell’ultima finestra di bel tempo si è presentata la settimana dal 23 al 28 luglio. Finalmente il terzo giorno dalla nostra partenza dal base completiamo la salita del J. Couloir e arriviamo a montare il C3 nel tardo pomeriggio. L’idea di partire la notte seguente per l’attacco alla vetta viene scartata, siamo stanchi dopo il il duro lavoro della giornata, approfittiamo della lunga finestra di bel tempo per posticipare il summit push, così decidiamo di alzarci un altro pò e montare il C4 a quota 7400 sotto la parete sommitale. Nel frattempo al nostro gruppo si aggiungono il rumeno Justin e il tedesco Maurice. Siamo in cinque. La partenza per la vetta è fissata alle ore 24. Io e Marco siamo gli ultimi a lasciare il campo.
La salita in piena notte si presenta subito impegnativa. Il ripido pendio del primo canale risulta molto ghiacciato e tecnico, in più non ci sono corde fisse a rendere la salita sicura.
Conta solamente la propria personale esperienza nella tecnica di salita, nel giusto utilizzo della progressione affidata a buoni ramponi, a una piccozza su una mano e un bastoncino sull’altra. Sinceramente nessuno si aspettava un terreno così ghiacciato che in alta quota di notte risulta ancora più duro e disagevole. A un certo punto vedo un alpinista retrocedere, è Marco. Gli chiedo cosa sta succedendo, perché sta scendendo? La sua risposta è immediata e precisa: “È troppo pericoloso! Se qualcuno degli alpinisti che ci precede dovesse scivolare trascinerebbe tutti gli altri in un volo senza fine!”. Prosegue dicendo che ha una strana sensazione di pericolo, sente che c’è qualcosa che non va!

Rifletto un attimo, in effetti non ha tutti i torti. La situazione è complicata, poi il mio pensiero va subito al ritorno: scendere quasi 700 metri su un terreno così ghiacciato dopo aver raggiunto la vetta diventa molto impegnativo e rischioso. Discuto un attimo con Marco sulla situazione che si è creata. Lui è convinto che qualcosa succederà e scende per tornare al Campo 4. Io mi fermo, dubbioso se continuare la salita o scendere. Aspetto e rifletto e decido cosa fare: aspetto circa mezz’ora che il gruppo a monte esca dal primo canale per poi dirigersi verso destra sul secondo canale. Poi riprendo a salire.

Scoprirò più tardi che la scelta di aspettare perdendo del tempo prezioso mi penalizzerà e non poco. Nel salire cerco di essere veloce e quando arrivano le prime luci dell’alba mi trovo sul canale sommitale a circa 250m dalla vetta. Il pendio da ghiacciato ora si presenta con abbondante neve trasportata dal vento. Mi rendo conto che la traccia fatta poco prima dai miei amici sfortunatamente a causa del vento si è nuovamente ricoperta di neve. Questo significa che ad ogni passo devo rintracciare nuovamente. Una fatica in più e tanta energia consumata. Alla fine non sono riuscito a raggiungere il gruppo in testa, ma ricordo bene la fatica dell’ultimo ripido pendio prima della cima stracarico di neve e con l’ansia – scoprirò più tardi anche di Justin, che era in testa al primo gruppo – nel percorrere l’ultimo tratto. Abbiamo rischiato oltre l’impossibile e non so se ringraziare la buonasorte, il buon angelo o Dio se quel pendio è rimasto in piedi.

Mario Vielmo in vetta al Gasherbrum I (8068 m), 2021. Fonte facebook

L’arrivo in vetta alle 12.20, dopo 10-15 minuti rispetto gli altri è stato il premio di un sogno durato 10 anni dal primo tentativo del 2011, fallito a 150m dalla cima e poi nel 2018 sempre non riuscito per varie cause. In cima non sono riuscito a godermi il momento perfetto, ero agitato, mi preoccupava il pensiero di ripercorrere il pendio sommitale, anche se ero felice di aver raggiunto la vetta del mio dodicesimo Ottomila. Ho pregato. Piano piano ho iniziato a scendere con Flo e Ali.

La discesa e il salvataggio

Avendo portato con me nello zaino 40m di corda abbiamo fatto due doppie sotto la cima ma poi abbiamo continuato a scendere arrampicando in libera faccia a monte sul tratto come prevedevo di neve ghiacciata. Abbiamo impiegato ben 7 ore per scendere 680 metri per finalmente arrivare al tramonto esausti al campo 4.

Per la fatica e per la tensione di una interminabile giornata ho vomitato due volte, non so cosa perché non mangiavo da 2 giorni. I due giorni successivi non sono stati per nulla facili, eravamo tutti stracarichi per il fatto che dovevamo smantellare e portare a valle tutti i campi con il vario materiale. Il ghiacciaio, dopo sei giorni in parete, era diventato, a causa del caldo, pericolosissimo con fuoriuscita di numerosi crepacci e ponti di neve instabili, spesso sprofondavamo con l’intera gamba. Scendendo tra C1 e il base all’improvviso sento l’urlo di Corin, mi volto e la vedo per terra in una strana posizione rannicchiata a faccia in giù, vedo solo lei ma non il suo compagno.
Capisco immediatamente che Maurice è caduto nel crepaccio. Dico agli altri di lasciare gli zaini e corriamo in su verso i nostri amici per prestare soccorso. Per fortuna Maurice caduto in un profondo crepaccio è sano e salvo, la corda ha retto il volo di 8 metri e Corin è riuscita a fermarsi in tempo. Grazie al nostro intervento e dopo 40′ Maurice esce fuori dal crepaccio. L’arrivo di tutti al campo base finalmente conclude la nostra incredibile avventura al G1. Stanchi ma felici ora possiamo riposare.

La scelta coraggiosa di Confortola

Una riflessione sulla scelta di Marco di rinunciare alla salita finale.
Marco che stimo moltissimo, a mio avviso ha fatto quello che io considero una scelta molto coraggiosa sicuramente più della mia nel continuare la salita. Io spesso mi sono ritrovato a simili scelte di rinuncia nonostante la vicinanza alla vetta. Sono momenti in cui segui il tuo istinto ed è una cosa strettamente personale che va assolutamente ascoltata e rispettata. Dispiace solo per tutto il duro lavoro che abbiamo fatto insieme. Siamo stati un’ottima squadra, cosa rara in quota.
Grazie Marco.

Mario Vielmo

Mario Vielmo e Marco Confortola. Foto: Marco Confortola:facebook, luglio 2021