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21 Agosto 2017

Hiking e Trekking · Walking · Ambiente e Territorio · Aree Montane · Europa

Mulhacén e la leggenda dei tre Diamanti.

Solo. Ho bisogno di solitudine in un periodo davvero difficile della mia vita. Ora che ho trovato quella solitudine che cercavo ho paura. E’ assurdo a volte come l’essere umano è sempre alla ricerca di quello che non ha: quando trova quella cosa tanto sperata, tanto desiderata spesso improvvisamente non gli basta più. Scrivo dalla Sierra Nevada in Spagna dove sto facendo il trekking per il Mulhacén che con i suoi 3.482 metri è la cima più alta della Spagna continentale e della Penisola iberica.

Come quadro ho davanti agli occhi l’infinito: un orizzonte fatto di tante vette e una leggera foschia che non fa percepire dove finiscono i monti. Aspetto il suono della campana di cena perdendomi in pensieri che assillano la mia mente.

vista dal rifugio Poquira

Sono partito a piedi da Capileira per il rifugio Poqueira nonostante tutto il tragitto iniziale si possa fare in macchina fino a raggiungere un parcheggio e una sbarra che vieta ai turisti di proseguire se non a piedi ( loc. Hoya del Portillo quota 2200 m ).  Ho bisogno di camminare, di mettermi alla prova, diciamo in qualche modo di stancarmi a fondo. Dopo aver percorso la lunga strada ghiaiata tra polvere e un caldo davvero impegnativo arrivo dove incomincia un vero sentiero. Sono in mezzo ad un bosco ma nonostante i rami degli alberi il caldo continua ad essere un fedele compagno di viaggio e non si allontanerà più da me fino a sera.

Avrei sete ma non ho voglia di fermarmi. Cammino, cammino spedito senza accorgermi del paesaggio che mi circonda: sono altrove con la testa e solo la suoneria del cellulare mi riporta al momento presente. Ho già camminato quasi 4 ore. Sorrido: è mio cugino che vuole far due chiacchiere e sapere come sto ma poco dopo avergli risposto non ho più campo e torno nella mia solitudine. Il telefono non prenderà sino al rifugio. Ora mi accorgo del paesaggio che mi circonda, un misto collinare montano e mi rendo conto di essere l’unico ancora in giro a camminare. E’ già quasi sera ma per fortuna in Spagna a fine luglio il sole tramonta intorno alle 22. Dovrei avere ancora qualche ora di luce e riprendo a camminare mantenendo il passo lento vedendo in lontananza davanti a me quello che scoprirò essere il rifugio.

 

Una leggera brezza mi accarezza e tutto intorno tace. Ciò che appare davanti a me è un ambiente molto monotono ma nonostante ciò mi piace far perdere il mio sguardo in lontananza dove una leggera foschia avvolge quasi con tono misterioso.  Improvvisamente un piccolo stambecco attraversa il sentiero davanti a me e si ferma a qualche decina di metri a bere in un ruscello. Ci guardiamo e come spesso capita quando sei in totale solitudine ti senti in armonia con la natura. Mi aspetto che da un momento all’altro inizi a correre ma continua a fissarmi negli occhi come a dirmi non ho paura. Non mi abbandonerà più fino a qualche centinaia di metri dal rifugio dove impaurito dall’abbaiare dei cani scappa.

Sono l’unico italiano al rifugio e questo mi rallegra. Non ho tanta voglia di parlare. Prendo la mia birra e aspetto fuori dal rifugio la campana di cena.

A tavola con me c’è un gruppo di amici spagnoli che stanno raccontando una storia. Dicono che tra queste montagne aleggia una leggenda sull’ultimo Re di Granada Abu-I-Hassan Alí, detto Mulay Hacen, padre di Boabdil e i tre diamanti neri nascosti.

Boabdil si innamorò di Isabel de Solis, una bellissima ragazza Cristiana ed era intenzionato a farla sua sposa. Ma anche il Padre Mulay si innamorò di Isabel e la portò via al figlio. La ragazza si innamorò perdutamente di quest’ultimo e si convertì all’islamismo prendendo il nome di Sōrayā.

La leggenda narra che quando Mulay fu spodestato da suo figlio Boabdil, si ritirò lontano da tutto e tutti nella cittadella di Mondujar. Come unica compagnia tra tutte le sue donne si portò Sōrayā, la sua preferita. Il vecchio Re visse con lei e i suoi bambini rinchiuso nella torre più alta della fortezza da dove poteva ammirare le alte vette di Xolair, ( nome antico dell’attuale Sierra Nevada ). Così, sognando quelle vette alte quasi a toccare il cielo, concepì il desiderio di essere sepolto li, con la sola compagnia del cielo infinito.

Sul punto di morte raccontò a suo figlio la storia di come un ricco agricoltore di nome Al Hamar divenne re di Granada.  Fedele praticante della sua fede, Al Hamar preoccupato delle vittorie cristiane, un giorno pregava Allah e lo supplicava di inviargli i mezzi per fermarli, quando improvvisamente udì una voce profonda. Gli apparve uno spettro, che gli donò tre diamanti neri di incomparabile bellezza. Gli fece quindi promettere che al momento della sua morte li avrebbe lasciati in eredità al suo successore, ripetendo questo di generazione in generazione. Solo allora la bandiera dell’Islam avrebbe sventolato in questa terra per sempre. Finito il suo racconto, Muley disse a suo figlio che, a causa dell’instabilità che si respirava nel suo regno e la minaccia di una possibile guerra, aveva nascosto i diamanti in una profonda caverna in cima alla Sierra Nevada. Ma egli, mentre gli consegnava una pergamena con le indicazioni per trovarla, spirò. Il figlio ebbe la sfortuna di cadere in un’imboscata, perdendo il rotolo nella battaglia. Fu mortalmente ferito e dopo pochi giorni morì tra le braccia di suo figlio Abu Abd Allah, senza passare l’eredità di suo nonno. Così iniziò sulla Sierra la ricerca dei tre diamanti, ma senza la pergamena non riuscì a trovare la grotta. Venne l’inverno, la ricerca continuò, ma una terribile tempesta di neve lo seppellì e morì nella neve ghiacciata. Si dice che il giorno della sua morte, Granada cadde in mano ai Cristiani e nessuno trovò più i diamanti, che rimangono ancora nascosti nelle profondità della Sierra Nevada.

 

Sono le 8.55 e sono solo in cima. Al rifugio avevo sentito altri che avrebbero fatto la cima e ho deciso di partire prima di tutti per poter essere solo a gustarmi il mare di montagne che ora ho davanti ai miei occhi. Guardo l’orizzonte. C’è forte vento in cima. Non una nuvola all’orizzonte e i deboli raggi del sole incominciano a scaldare il mio corpo che stando fermo sudato come sono si è infreddolito. La luce del sole abbaglia i miei occhi e sembra far luccicare qualcosa un po’ ovunque. Sorrido: la leggenda dei diamanti mi torna alla mente: dove saranno nascosti i diamanti? Se non fosse solo una leggenda? Trovarli sarebbe bello no?

 

Perché cercare i diamanti? Non ha senso Fra. Un pensiero chiaro appare nella mia mente: tu i tuoi diamanti li hai già trovati.

In questo momento così particolare della mia vita, difficile, dove una persona cara lotta per la vita ho scoperto e trovato persone uniche, fantastiche che mi sono al mio fianco e senza che io chieda aiuto nei momenti di sconforto sono già li, pronte a tendermi la mano e starmi accanto.

Ancora una volta la montagna mi ha insegnato a guardare la vita con occhi diversi, nuovi, e a capire che i diamanti, quelli veri, non sono solo pietre di un valore economico inestimabile ma anche persone uniche con cui condividiamo la vita ogni giorno.

Riprendo a camminare col sorriso e in cuor mio dico grazie alla montagna per l’ennesima lezione di vita.