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23 Ottobre 2016

Noi loro, loro noi

Domenica di pioggia, domenica di calma, una di quelle giornate in cui ti avvolgi in una coperta di coccole, mentre il ticchettio delle gocce é talmente leggero da farti perdere il conto dei giorni di vita.

Il tamburellare dell’acqua sugli abeti e sulle foglie di magnolia è allegro e inneggia all’esperienza, alla vita. Mangio i frutti del bosco che Elena ha colto, leggo il libro di un amico, sogno, scrivo. L’aria è meno eterea e odora di pelle, ha il suono della seta sulla cute, quando carezza e strappa sorrisi.

Penso alle prossime scalate, ai recenti allenamenti e progetti, immagino i voli in cielo e le immersioni, e ricordo gli ultimi momenti verdi. Penso a qualche giorno fa, un altro dì strappato per poche ore al temporale: prima una passeggiata nei boschi, con un ricordo per ogni passo.

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L’allenamento poi: una maratona di movimenti di scalata, a ripetizione, senza freno.

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Ogni centimetro di queste pietre è un’immagine, un frammento di ciò che è stato. E infine la ricerca dei funghi, senza una meta, scoprendo un’altra parete quasi persa tra i pini.

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Smette di piovere ed è già sera; arriva sempre troppo presto.
E’ solo un inizio nero, non una fine; ho voglia di dipingere.

Penso al quadro che farei ora, diverso dal solito. Lascerei scorrere il pennello con colori acrilici forse impastati con un poco di sabbia fine; mi piacerebbe disegnare una di quelle belle casette in pietra valdostane che ho visto anno dopo anno, quando a piedi scendevo dallo chalet fino ad Augusta Praetoria, prima e dopo una scalata.

Ricordo quel tepore caldo sulla pelle, la luce del sole così vivida e il vento immobile, presente ma fermo, come se il tempo non pensasse, come se quella carezza luminosa durasse per sempre. Penso alle tegole nere scaldate nei meriggi e ai sorrisi ricambiati di ragazze mai conosciute, mentre tiravo dritto sotto alle tettoie per studiare l’avventura del giorno dopo, tra cartine, moschettoni e bussole, sognando di elfi e cavalieri, con il cuore lontano, in attesa trepidante di libertà e magia.

Ora dipingerei con inchiostro acquoso un’ombra che insegue un gatto rosso che si stira, senza riuscire ad acciuffarlo con le mie setole, placido e morbido. Disegnerei di “saggi ignoranti” di montagna adagiati al bar, da qualche ora o da molti anni, con un rosso in mano attraverso cui guardare una vita più rosea, con occhi velati di commozione pensando alle creste di stracciatella, pur avendole di fronte. Rappresenterei porte di quercia sfasciate che sorridono memoria e foglie in movimento, tra il tiglio cavo di Sant’Orso e i laterizi romani, tra la brezza ghiacciata del Rutor e l’eco delle risate di bimbi ora uomini.

Un tempo scrissi una poesia.
“Noi loro loro noi, un attimo e sentiranno grida di bimbi”.

Dipingo un quadro invisibile con setole invisibili.

Christian Roccati
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