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24 Aprile 2020

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Europa

Sir Chris Bonington: “Il Coronavirus è un’allarme lanciato dalla natura”

Chris Bonington. Fonte: facebook

Il celebre alpinista britannico è stato intervistato dal blogger Stefan Nestler

La sua carriera conta diciannove spedizioni in Himalaya, tra cui quattro sul Monte Everest e la prima salita della parete Sud dell’Annapurna.

Sir Chris Bonington è stato nominato cavaliere dalla regina Elisabetta II  nel 1996 per il suo grande servizio all’alpinismo britannico.

Nel 2015 ha ricevuto il Piolet d’Or alla carriera.

Nonostante i suoi numerosi successi come alpinista (comprese le prime salite dell’Ogre (7285 metri) in Pakistan, il Kongur (7649 metri) in Cina e il Changabang (6864 metri) in India) e come leader di spedizioni (comprese le prime salite della parete sud dell’Annapurna nel 1970 e la parete sud dell’Everest nel 1975), Bonington è rimasto fedele a sé stesso.

Il blogger Stefan Nestler lo ha intervistato in questi giorni di emergenza sanitaria, causata dalla pandemia da Covid-19. Nestler ha raggiuno Bonington, 85 anni, a casa sua a Caldbeck, in Cumbria, nell’Inghilterra nord-occidentale. Qui l’intervista completa

Chris, in questi giorni di emergenza sanitaria da Covid-19, la prima domanda è: come stai?

Finora molto bene. Se hai più di 70 anni e hai altre malattie, sei bloccato completamente; per noi va bene. Siamo nella nostra bella casa nel Lake District, e immagino che vi staremo fino a quando non sarà trovata una cura per la malattia.

Hai 85 anni, quindi fai parte della categoria a rischio Covid-19. Sei preoccupato o spaventato?

Sicuramente non voglio prendere il Coronavirus. Ho avuto un lieve infarto e ho tre stent. Quindi se fossi colpito dal virus, probabilmente morirei. Tutto ciò non mi preoccupa troppo, ma è  un modo particolarmente brutto di morire. Ho anche una donna adorabile che è un po’ più giovane di me e sicuramente non voglio lasciarla. Voglio vivere per almeno altri 15 anni.

Chris Bonington durante un’escursione. Foto: ©Chris Bonington/facebook

Come trascorri le tue giornate a casa in Cumbria?

Facendo escursioni nelle colline della zona. Siamo molto, molto fortunati che la nostra casa confini direttamente con loro. Quindi devo solo uscire dal mio giardino e camminare in collina per chilometri. Usciamo tutti i giorni, quindi mi tengo molto in forma. E’ un posto davvero carino dove vivere durante il lockdown. E abbiamo anche degli amici. Quindi siamo abbastanza rilassati e ci divertiamo.

Come valuti l’attuale situazione in Gran Bretagna?

Interessante. In un certo senso, il coronavirus è una specie di allarme lanciato dalla natura a noi, all’Homo sapiens… Penso che dobbiamo imparare qualcosa da questo. Se viene trovato un vaccino, il coronavirus scomparirà. Ciò che non scomparirà è il riscaldamento globale. Se non facciamo nulla per il riscaldamento globale – e il mondo intero deve fare qualcosa – sarà un disastro. Non per la mia generazione, forse nemmeno per la tua, ma certamente per i nostri figli e nipoti… La nostra società deve davvero imparare da questa crisi, deve cambiare il suo comportamento.

Bonington a Kala Pattar – sullo sfondo il Monte Everest, che Chris ha scalato nel 1985. Foto: ©Chris Bonington/facebook

Sei un alpinista e capo spedizione leggendario, sei stato molte volte in Himalaya e in Karakoram. Cosa pensi dell’emergenza Covid-19 fra quelle genti?

Penso a tutti i poveri del Terzo mondo, ad esempio in Africa o in India. La situazione è drammatica. I miei pensieri vanno anche alle popolazioni del Nepal, ma in realtà sono vicino alle genti che soffrono gravemente la crisi in tutto il mondo

Negli ultimi anni si è discusso molto degli eccessi dell’alpinismo commerciale sull’Everest e negli altri ottomila. Secondo te, questa pausa forzata potrebbe anche offrire la possibilità di trovare una nuova etica nell’arrampicata in montagna o di tornare a quella vecchia?

Penso che le spedizioni commerciali all’Everest non abbiano assolutamente nulla a che fare con il vero alpinismo….
Per fortuna sono  riuscito a scalare l’Everest nel 1985. Fu l’ultimo anno in cui il governo nepalese permise una sola spedizione sulla montagna…
E’ stata una spedizione meravigliosa con alcuni dei miei amici norvegesi.

A causa del lockdown per il Covid-19, abbiamo molto tempo per ricordare le nostre avventure in montagna. Quest’anno si celebrano gli anniversari di due delle tue straordinarie spedizioni. Cominciamo con la prima salita dell’Annapurna II, quasi ottomila metri, nel maggio 1960. Cosa significa questa avventura per te oggi, 60 anni dopo?

Ancora molto. Era la prima volta che andavo in Himalaya. L’Annapurna II è una vetta laterale dell’Annapurna I. Ma ci sono più di dieci miglia in mezzo, ed è una bellissima montagna. Facevo parte di una piccola spedizione militare composta da membri britannici e indiani. È stata una montagna difficile e una salita impegnativa, molto impegnativa. Riuscire a scalare l’Annapurna II è stato abbastanza eccezionale.

Ma anche in questa spedizione, non ricordo la scalata o il momento in cui ho raggiunto la vetta lucidamente, ma un momento dopo…

Dieci anni dopo, nel maggio 1970, una spedizione guidata da Don Whillans e Dougal Haston scalò per la prima volta la parete sud dell’Annapurna. All’epoca era la via più difficile su una vetta di ottomila metri. Come valuti questa spedizione 50 anni dopo?

Nel 1970 era un’impresa difficile da immaginare per l’epoca: scalare una parete delle dimensioni della Sud dell’Annapurna, in stile alpino. È stata una spedizione affascinante, da cui ho imparato molto. Abbiamo lavorato bene come squadra…
Con una spinta notevole Don Marillans e Dougal Haston riuscirono finalmente a raggiungere il punto più alto.

In queste grandi spedizioni dovevi lavorare in team. E’ stata la prima spedizione che ho guidato. Ho imparato molto da questo. Allo stesso tempo, è stata l’ultima spedizione davvero grande da leader. Le spedizioni successive che ho condotto, sono state più piccole e le cime più basse

Verso la fine della spedizione all’Annapurna, Ian Clough morì cadendo da un seracco. Molti dei tuoi amici sono morti in montagna. Qualche giorno fa, è deceduto un altro amico, il leggendario Joe Brown, anche se in età molto avanzata e non in montagna. Pensi molto alla morte?

Quaranta o cinquanta anni fa,  amici morivano in quasi tutte le mie spedizioni. È triste perdere un amico. Ma se raggiungi il limite estremo, devi accettare in qualche modo il fatto che sia parte di un gioco molto, molto pericoloso. E se giochi ancora e ancora molte volte, in una certa misura ti esponi a quel rischio. Sono stato molto, molto fortunato, almeno dieci volte, a sopravvivere a una caduta o a qualunque cosa mi sia successa. Sono rimasto vivo – come il mio buon amico Doug Scott (con il quale fece la prima salita dell’Ogre nel 1977).

Ian Clough è stato uno dei primi a morire e uno dei miei migliori amici. Insieme abbiamo effettuato la prima salita del pilastro centrale del Frêney e ulteriori salite sul Monte Bianco nel 1961. Ma penso si debba accettare la morte, fa parte del gioco.

Loreto e Chris Bonington. Foto: ©Chris Bonington/facebook

Nel frattempo, miei cari amici muoiono anche per malattie naturali. Joe (Brown) aveva quasi 90 anni, una persona meravigliosa, con una vita meravigliosa alle spalle… Cinque anni fa mi hai detto: “Non ho paura della morte, ma amo la vita”. È cambiato qualcosa? Adesso è esattamente lo stesso. Ho anche vissuto tragedie personali. Ho perso il mio primo figlio in un incidente. Una cosa del genere non si  può mai superare. Ma sono stato molto fortunato ad avere altri due figli che ora sono adulti e sono loro stessi genitori. Ho perso mia moglie Wendy dopo oltre cinquant’anni. È stato un matrimonio meraviglioso di profondo amore. Successivamente, sono stato molto fortunato a trovare un nuovo meraviglioso amore – Loreto – che in precedenza era stata sposata con uno dei miei amici più cari (Ian McNaught-Davis, uno dei primi scalatori della Torre Muztagh (7276 m) nel Karakoram nel 1956), morto tragicamente di cancro. Loreto e io facciamo molte cose insieme. Se riesco a rimanere fisicamente e mentalmente in forma come prima, voglio vivere il più a lungo possibile. Sarebbe fantastico. Amo la vita e amo vivere.

Chris Bonington in breve

Alpinista, scrittore, fotografo e docente, Chris Bonington iniziò a scalare all’età di 16 anni nel 1951. Da allora l’alpinismo è diventato la sua passione. Sua la prima salita britannica della parete Nord dell’Eiger;  guidò la spedizione che realizzò la prima salita della parete Sud dell’Annapurna, la scalata più difficile in Himalaya in quel momento. Ha continuato a guidare  spedizioni di successo compiendo la prima salita della parete Sud-Ovest dell’Everest nel 1975. Successivamente ha raggiunto nuovamene la vetta dell’Everest nel 1985 con una spedizione norvegese. Ancora attivo in montagna, scala con lo stesso entusiasmo che aveva all’inizio della sua carriera alpinistica.

Ha scritto 17 libri, ha partecipato a numerosi programmi televisivi e ha tenuto conferenze in pubblico e in aziende di tutto il mondo. Ha ricevuto il titolo di cavaliere nel 1996 per i servizi all’alpinismo, è stato presidente del Consiglio per i parchi nazionali per 8 anni ed è attualmente presidente non esecutivo di Berghaus.