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22 Luglio 2020

Stefano Ghisolfi intervistato da Christian Roccati

Cari amici e compagni di avventura, dopo un po’ di tempo passato a fare perlustrazioni in montagna, rieccomi qui, per chiacchierare e approfondire un grande personaggio del pianeta scalata!

Oggi parliamo con Stefano Ghisolfi, uno dei più forti climber al mondo di ogni tempo. Stefano, eminente atleta delle Fiamme Oro, è nato a Torino il 18 febbraio del 1993, dove a vissuto sino ai suoi 23 anni e risiede ad Arco da quasi un lustro. Al contrario di molti altri atleti non ha un soprannome particolare, ma gareggiando fuori dall’Italia, praticamente in tutte le competizioni, viene storpiato nel nome: lo chiamano Stefàno! Ogni tanto anche Sara, la sua compagna, lo chiama così, per ridere… Si tratta di una persona profonda e determinata, scherzosa e alla mano, qualità che lo rendono molto amato dal pubblico, al di là delle sue incredibili performance. Proviamo a scoprire insieme la grande persona oltre il grande personaggio.

Come hai cominciato a scalare e quando?
Ho iniziato ad arrampicare nel 2004; ho provato sulla parete artificiale di una diga: alcuni miei amici mi hanno fatto provare dopo una gara di bicicletta. Mi sono trovato subito bene e mi sono innamorato di questa disciplina, così ho iniziato un corso a Torino alla palestra Sasp, al Palavela, si erano svolti i primi campionati italiani, tra l’altro. Quando ho iniziato, al Palavela stavano organizzando le Olimpiadi invernali e quindi la sala di arrampicata era stata spostata in un capannone limitrofo.

Nel 2007 hai iniziato a gareggiare nelle competizioni internazionali giovanili nel 2007, in Coppa Europa: come arrivasti a questa partecipazione che per molti sarebbe già un successo?
Dopo il corso base iniziai a fare delle garette regionali, poi nazionali e poi arrivò il 2007. Iniziavo a piazzarmi nelle competizioni italiane e la federazione prendeva i primi tre o quattro di ogni categoria, per partecipare alla Coppa Europa giovanile. Per sei anni sono state alcune tra le gare più importanti per me.

Nel 2009 iniziasti a partecipare alla coppa del Mondo: praticavi tutte le discipline?
All’inizio ho partecipato più come esperienza che come ricerca di un risultato. Ero ancora nella categoria giovanile quindi “arrivavo indietro in classifica”… il mio obiettivo principale era più che altro vincere la categoria giovanile e fare esperienza con i Senior. Facevo ogni disciplina, ma mi sono reso conto che la mia principale sarebbe stata la lead.

Campionato del mondo giovanile: medaglie di bronzo nel 2010 a Edimburgo e nel 2011 a Imst: cosa provasti allora?
Mi rendevo conto di cosa stava accadendo: nella mia categoria, che durava due anni, capivo di essere uno dei più forti. Anche se poi nel 2012 a Singapore, l’anno in cui ero più in forma e considerato il favorito, fui primo in qualifica, ma poi sbagliai in semifinale, terminando in maniera negativa il mio ultimo mondiale giovanile. Col senno del poi mi rendo conto che allora erano molto importanti quelle competizioni, ma alla fine, furono in realtà solo una preparazione per ciò che sarebbe venuto dopo.

Quali sono state le tue migliori performance in coppa del mondo? E cosa ricordi di quei momenti?
Raggiunsi il mio primo podio nel 2012, ma la prima vittoria solo nel 2014 e poi altre quattro volte… Quella che ricordo meglio è Chamonix del 2018. Un momento davvero intenso: partii deciso e raggiunsi il top di fronte alla piazza strapiena. Dopo di me gareggiavano Alexander Megos e Jakob Schubert che caddero a un passo dal top, tenendomi col fiato sospeso fino all’ultimo momento! Essendo relativamente vicino a Torino c’erano anche i miei genitori, Sara, c’era il mio allenatore… e una parte del pubblico era italiano!

Sei stato campione italiano sia nella speed sia nella lead. Hai mai sentito su di te la pressione?
Ho vinto un campionato di speed, ma sicuramente tengo di più alla lead, dove mi sembra di averne vinti sei. Soprattutto nell’ultimo campionato italiano ho sentito la pressione. Anche se ce la si gioca sempre e non puoi dire di essere proprio il favorito, però le persone magari si aspettavano la mia vittoria. A volte c’è più pressione in una gara del genere, dove il livello è più basso, ma c’è molta più aspettativa, piuttosto che in una gara come la coppa del mondo, dove entrare in una finale è già un bel risultato. Ai Campionati Italiani c’è la vittoria o la sconfitta: dopo aver vinto alcune volte, se arrivo primo il risultato è stato raggiunto, ma se arrivo secondo è una sconfitta.

Cosa ami e cosa odi del gareggiare?
Mi piace molto l’adrenalina: quando scali in una gara, sei completamente isolato dal mondo, come se entrassi in una bolla e a volte si scala in maniera perfetta e inconsapevole, quasi in automatico. Sulla roccia si può ottenere lo stesso, ma è più difficile, in gara hai solo un tentativo e sei concentrato al cento per cento.
Non mi piace l’attesa dell’isolamento pregara: tre o quattro ore di attesa dopo il riscaldamento, per fare poi magari cinque minuti di gara. È un po’ noioso e lungo e aumenta la pressione.

Hai un tuo rito scaramantico o un modo per concentrarti?
No, non ne ho mai sentito il bisogno.

Come e quanto ti alleni?
Complicato. Durante il lockdown mi son allenato in garage e in casa, sei giorni su sette. Ora invece sto prediligendo un po’ più la scalata su roccia, che comunque è allenante in ogni caso. Nei periodi più intensi faccio due allenamenti al giorno per tre giorni, più altri due o tre giorni con un solo allenamento al dì. Quando scarico comunque scalo almeno cinque volte la settimana, anche nei periodi più tranquilli.

Cosa hai di diverso da chi gareggia contro di te?
Bella domanda! …non lo so. Cosa fa la differenza tra uno che riesce a vincere una gara da uno che non riesce? Forse la determinazione, capire al volo alcune situazioni e improvvisare. Non credo che sia una questione fisica di aver più forza di altri o resistenza. Credo che la differenza tra arrivare in finale in Coppa del Mondo o non arrivarci per esempio, la faccia la testa.

Poco tempo fa, dopo aver letto “60 Milioni”, la biografia sulla vita di Alberto Gnerro, hai trovato un profondo parallelo e delle connessioni: cosa puoi dirci al riguardo?
Mi è piaciuto molto e mi sono trovato molto connesso alla storia di Alberto perché, soprattutto all’inizio, quando mi trovavo a Torino, ho scalato molte vie che ha chiodato e liberato Gnerro. Ripercorrendo la sua storia, mi son reso conto che ho fatto lo stesso viaggio, partendo da gradi più facili e poi cercando il limite. Al tetto Sarre e al Cubo… Il mio primo 7a, 7b, 7c, li ho fatti a Sarre, il mio primo 8a è stato Faith ai Biellesi, il primo 8b …Ira al Cubo!

Hai vinto la Coppa Italia lead per cinque volte consecutive: perché?
Da uno o due anni non faccio più la Coppa Italia, ma quando partecipavo vincevo con un buon vantaggio. Non è mai stato il mio obiettivo specifico. Prima c’erano le giovanili, poi la Coppa del Mondo, e la Coppa Italia non ha lo stesso peso del Campionato Italiano, quindi forse c’era anche meno pressione. Scalando tranquillo e controllato, magari sono riuscito a vincere parecchie tappe.

Perché arrampichi?
Arrampico perché mi piace! Non si potrebbe farlo come lavoro se non mi divertissi ogni volta. Ci sono quei pochi giorni in cui lo vedo come un dovere… capita raramente che non ho voglia di scalare ma lo faccio lo stesso perché è il mio mestiere, ma succede una volta ogni dieci. Cercare il mio limite, allenarmi e riempirmi gli avambracci è proprio una cosa che mi piace! Sono fortunato che dal 2012 appartengo al gruppo sportivo delle Fiamme Oro, da quel momento la mia passione è diventata anche il mio mestiere.

Com’è una tua tipica giornata?
In questi giorni c’è il sole e l’emergenza si sta tranquillizzando quindi alla mattina faccio stretching e allenamento e al pomeriggio andiamo a scalare, quando le falesie vanno all’ombra. Una parte della giornata è dedicata a Sara e poi ci spostiamo dove ho qualche via da provare io. Non è facile trovare delle falesie con tiri duri e altri leggermente più facili. Sara scala sul 7c/8a e io provo cose molto difficili in settori isolati, quindi ci dividiamo in questo modo la giornata e va bene a tutti e due.
Avere una compagna che scala è fondamentale per poter vivere le proprie passioni con chi si ama. È un modo per condividere il tempo e le vacanze …anche se ogni tanto mi chiede di andare al mare e magari quest’anno ci andremo…(forse!)

In falesia hai raggiunto il livello confermato di 9b+ con Perfecto Mundo a Margalef: ci puoi raccontare questo grande sogno?
Alla fine del 2017 ho iniziato a cercare un progetto particolarmente duro. Ne ho provati un po’ e alla fine ho trovato questo che non era mai stato liberato, si adattava al mio stile, ma era veramente difficile. Era il passo successivo ai precedenti… sarebbe stato più che 9b… Sapevo anche che l’avrei dovuto provare per tanto tempo. Ho impiegato circa un anno e sono dovuto tornare più volte, sei viaggi, alcuni in aereo e alcuni in macchina. Alla fine del 2018 sono tornato in forma e alla fine ho salito la via dopo un totale di 32 giorni di tentativi. È il progetto che ho provato di più nella mia vita.

Quando hai iniziato a scalare il limite delle difficoltà era ben altro, cosa è cambiato?
In realtà quando ho iniziato, scalavo molto in palestra e quindi seguivo poco il mondo della roccia. All’epoca avevano liberato gradi fino al 9a+ e credo nessun 9b, perché il primo mi pare sia nel 2008. Sicuramente l’arrampicata si è sviluppata tantissimo: sono nate tantissime palestre e quindi è cresciuto il bacino delle persone che scalano e di conseguenza si è alzato il livello medio. Quindi si è alzato anche il livello delle alte prestazioni, cosa che sta ancora accadendo. Il livello medio si alzerà ancora e quindi anche i livelli massimi e ci saranno gradi che ora ci sembrano impossibili.

Qual è il tuo prossimo progetto?
Ora si può viaggiare in Italia, non è ancora molto possibile all’estero: abbiamo deciso di stare più tranquilli a casa ma non nei gradi. Quindi sto provando delle cose qui intorno. Ho un progetto a Padaro in una falesia che potrebbe aver difficoltà tra il 9a+ e il 9b da liberare. Ho un altro progetto all’eremo di San Paolo sempre ad Arco: è stata la prima via che ho chiodato, quindi qualcosa di ancora più interessante per me. Sembra possibile, ma è ancora più dura. Potrebbe essere tra il 9b e il 9b+…

Hai anche scalato Fish Eye 8c a vista a Oliana. Trovi questa prestazione più o meno importante, a tuo parere, rispetto a Perfecto Mundo?
Non mi piace molto scalare a vista perché è una cosa che puoi fare una volta sola su una via e mi mette una tensione paragonabile a quella di una gara! Ma per affrontare una tensione così allora preferisco fare una gara. Sulla roccia prediligo provare una via per arrivare alla perfezione del gesto o alla massima difficoltà possibile. Scalare a vista… non l’ho mai fatto tanto! Fish Eye non rappresenta una prestazione particolare, lo decisi un po’ per caso, non è stato come per Perfecto Mundo che invece è stato studiato e progettato. Nella situazione di adesso fare una via a vista è sicuramente difficile e discutibile, perché ci sono tanti video su internet che uno può guardare… ma poi non sarebbe più a vista… È perfino difficile determinare se veramente una linea è stata fatta a vista. Anche per questo non mi piace molto.

A tuo parere dove sta andando l’arrampicata oggi?
Con l’arrivo delle Olimpiadi sicuramente si è fatto un passo avanti. Da uno sport di nicchia sta diventando uno sport conosciuto. Forse non sarà mai mainstream, ma è uno sport che sta crescendo forse più di tutti gli altri.

Come hai vissuto questi mesi di quarantena e isolamento? Sei riuscito ad allenarti?
Mi sono allenato quasi tutti i giorni, perciò quando sono uscito mi sono trovato in forma. Non è stato facile passare questi mesi a casa, ma avendo un muro in casa ho potuto sfogarmi e mi ha aiutato tantissimo!

Tempo fa girava un video simpatico: “Adam Ondra Vs Stefano Ghisolfi – Champions Challenge” in cui vi sfidavate come due cowboy. Com’era nata questa idea?
Era un evento del Garda Trentino che abbiamo fatto nel 2017-2018 perché siamo entrambi ambassador. Era una sfida amichevole che prevedeva più appuntamenti. A esempio su roccia a vista e poi sul lavorato veloce e poi sulla parete del Rock Master. Ma sempre molto tranquillamente, amichevole, senza l’ansia. Era aperta al pubblico e potevano farci delle domande da pubblico. È stato molto divertente! Peccato che nel 2019 non sia stata ripetuta e ovviamente non nel 2020, ma magari l’anno prossimo mi piacerebbe riprovare!

Che messaggio vorresti dare a un ragazzo che inizia a scalare?
Gli direi di provare e divertirsi! Scalare è sicuramente divertente: è soprattutto divertimento. Provare in palestra e se poi la passione cresce, andare su roccia. Molto spesso in questi anni chi parte in palestra rimane in palestra, come se facesse un’attività di fitness o un hobby, ma scalare su roccia è tutta un’altra realtà e per chi inizia ad arrampicare, questo trasferimento consiglio di farlo, perché è come se fosse un altro sport …ancora più bello!

Christian Roccati
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