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11 Giugno 2019

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Resto del Mondo

Tomas Franchini e la sua mitica “Wild Blood”

Tomas Franchini in cima al Lamo She (6.070 m). Foto: arch. T. Franchini

Intervista di Massimo Dorigoni

A poche ore dal suo arrivo in Italia abbiamo incontrato un raggiante ed entusiasta Tomas Franchini, forte alpinista e Guida Alpina di Madonna di Campiglio, che ci ha parlato della sua nuova e “mitica” avventura verticale in territorio cinese.

I componenti la spedizione all’inviolata parete Est del Lamo She Shan (Ta Tsien Lu Shan 6070 metri) inizialmente erano due, ma il giovane alpinista valdostano di Courmayeur Pietro Picco, dopo venti giorni passati al campo base sotto la pioggia e nella nebbia aveva deciso, ormai demotivato, di rientrare anticipatamente in Italia. Tomas invece, nonostante i continui temporali nella zona, era rimasto nel massiccio del Minya Konka per tentare di salire la parete vergine di 1500 metri di altezza, in solitaria. E ci è riuscito.

La parete Est del Lamo She. Foto: arch. Tomas Franchini

Tomas, cosa ti ha spinto a salire una parete ancora una volta in solitaria?
La mattina in cui io e Pietro Picco ci siamo salutati, mentre lui è tornato a valle, io sono partito per andare a cercare un approccio alla parete. La mia, inizialmente, voleva solo essere una perlustrazione alla base della montagna per poi tornarci in autunno e scalarla. In quel momento non avevo minimamente idea di mettere le mani sulla parete. Poi, inaspettatamente, ho individuato una linea diretta di salita, difficile ma che mi sembrava fattibile. Stavo fisicamente e mentalmente bene, il tempo quel giorno era favorevole. Ho deciso così di salire.

Tomas Franchini con Pietro Picco al Campo Base. Foto: arch. T. Franchini


Una salita veloce e leggera quindi?
Sicuramente sì. Le corde erano nel deposito del campo avanzato, quindi ne ero sprovvisto. Con me avevo solo piccozze e ramponi. Ho dovuto così in brevissimo tempo prendere una decisione importante: salire ugualmente la parete ed effettuare una progressione veloce e “leggera”, anzi “leggerissima”. Partito in tarda mattinata che erano all’incirca le 12.30, sono arrivato in vetta alle 19.30.

La barra rocciosa. Foto: Tomas Franchini

Cresta finale. Foto: Tomas Franchini

Arrivato in vetta, il ritorno. Quale decisione?
Se fossi tornato dalla via normale sull’altro versante della montagna, il meteo sarebbe stato sicuramente dalla mia parte, ma la lunghezza da percorrere sarebbe stata eccessiva. Avrei dovuto camminare per troppi chilometri. Una cosa impensabile. Così ho deciso di ritornare alla base della parete disarrampicandola. Senza corda e di notte la discesa è stata sicuramente più impegnativa della salita.

Puoi darci qualche numero, qualche nome?
La parete Est del Lamo She Shan (Ta Tsien Lu Shan 6070 metri) è alta 1500 metri e ho nominato la mia via, ad ora l’unica sulla parete, “Wild Blood”, tradotto in italiano “Sangue selvaggio”.
Nella zona ho poi salito un’altra vetta inviolata che ho dedicato al mio compagno di spedizione: “Picco’s Pietro”.

Tomas Franchini e la “Wild Blood”. Foto: arch. T. Franchini