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23 Marzo 2010

Memorie · Racconti

ROUND DEL DHAULAGIRI

1-dhaula.jpgDopo i due contributi precedenti, entrambi usciti su Mountainblog, dedicati alla conoscenza di quello che è probabilmente il più grande e remunerativo trekking nepalese, chiudiamo il ciclo dedicato al Dhaulagiri. Questo round, per dirla con gli inglesi, ha sempre destato grande interesse, ma anche parecchie perplessità dovute alle scarse e imprecise notizie in merito alla percorrenza e alle effettive difficoltà che si incontrano sul “terreno di gioco”.

Spero di essere riuscito a dare un’idea precisa in merito alla “circumnavigazione” dello stupendo colosso himalayano alto 8167 m, ottavo in ordine di altezza dei 14 ottomila, salito la prima volta esattamente 50 anni or sono da Kurt Diemberger con cinque compagni. Era il 13 maggio del 1960. Queste tre “puntate” vogliono anche essere un omaggio al grande Kurt che, con un criterio del tutto personale – senza offesa e senza sminuire le capacità degli altri -, considero il più caro e il più “umano” dei “quattordicimilisti”.

1° giorno:   Partenza dall’Italia
2° giorno:   Arrivo a Kathmandu, 1340 m, capitale del Nepal.
3° giorno:   Giorno libero per la visita di Kathmandu.
4° giorno:   In auto o bus da Kathmandu a Beni; ore 8,30 per un viaggio tranquillo attraverso le colline nepalesi. Nell’ultimo tratto prima di Beni la strada è sterrata e mal ridotta.

5° giorno:  Da Beni, grosso centro un po’ caotico sorto all’incontro di due grossi fiumi, il Khali Gandaki e il Myagdi Khola, inizia il trekking vero e proprio che porta a Babiyachaur (o Babychor 950 m) in 5 ore di facile cammino fra risaie, paesaggi quanto mai bucolici, lindi villaggi distesi lungo il fiume Myagdi Khola. Pernottamento in tenda (sarà sempre così, tranne nella discesa lungo la Khali Gandaki).

6° giorno:  Lasciata Babiyachaur si sale dolcemente attraverso risaie e piccoli agglomerati fino alla confluenza del Myagdi con il Ritham Khola, provieniete da est. Nei pressi si stende il villaggio di Darbang a 1180 metri. Ora si prosegue a nord, sulla riva destra orografica del Myagdi (si scorge sulla sinistra or., in alto, un sentiero che risale quel versante). Qui facciamo la conoscenza con un gruppo di maoisti, ossia i noti ribelli al governo centrale. Per passare dobbiamo pagare una royalty in dollari; cosa seccante, non tanto per i pochi soldi, quanto per l’assurda pretesa a carico dei trekker che già hanno pagato l’entrata … La tappa si chiude a Dharapani, 1400 m, dopo 5 ore di comodo cammino.

7° giorno: Il buon sentiero continua sulla destra or. del fiume, passa alcuni gruppi di misere casupole e infine sale decisamente al villaggio di Muri a 1850 m che si raggiunge dopo 6 ore di marcia. Muri è un grosso paese, il maggiore della valle, alto sulla costa, disteso entro un catino naturale fra le montagne circostanti e dove si coltiva abbondantemente la patata.

8° giorno: Da Muri si scende decisamente, a lungo,si tocca il fondo della valle, si passa un torrente e si riprende a seguire la sponda sinistra or. del Myagdi fin dove un’interruzione costringe a salire per circa 1000 metri di dislivello e quindi scendere, ormai di notte, al misero villaggio di Baghar, 2080 m; è una tappa dura, con circa 8 ore di cammino faticoso. Si devono vincere molti saliscendi e salire una «parete d’erba» con conseguente lunga discesa su sentiero fangoso fino al villaggio. Qui c’è una scuola che pare “disoccupata” e gli abitanti non hanno un bel aspetto, seppur pacifici con noi. Baghar è l’ultimo paese della valle ed è anche il più misero.

3-dhaula.jpg9° giorno: Quella del dopo Baghar non è una tappa difficile; si tratta in pratica di una lunga marcia di 6 ore dentro la fitta foresta. Si devono vincere alcuni saliscendi, stando sempre nei pressi del fiume che si fa sempre più stretto e rabbioso. Non ci sono più villaggi e la fermata viene fatta in una piccola radura attraversata da un rigagnolo. Subito a lato c’è una capanna, una specie di “trattoria” medioevale dove una donna, salita apposta, prepara la cena. Il luogo si chiama Dobang a 2520 m e qui piantiamo il campo ai lati della bella radura. Il Dhaulagiri appare parzialmente per la prima volta.

10° giorno:
Si procede per la foresta che si fa via via meno fitta aprendosi a belle vedute sul gigante. Dopo 4 ore di salita non faticosa, ma a saliscendi e sempre nella foresta di grossi cedri, si giunge ad un’altra radura dove si trova una misera capanna di cacciatori a pochi metri dal fiume impetuoso. E’ abitata da un giovane armato di vecchio fucile che offre ai portatori della carne di muflone, per cena e per il viaggio. Così la baracca diventa cucina e dormitorio insieme e i nostri porter si contendono i brevi spazi per la notte. Il luogo si chiama Sallagari e si trova a 3200 m di quota; incombe la mole occidentale del Dhaulagiri. Il campo viene piantato nella piccola e bella radura e il sonno è cullato dal rumore del fiume.

11° giorno: Lasciata Sallagari si sale per l’ultimo tratto della foresta fra gli enormi sempreverde, si traversa un bosco ceduo e infine si risale una costola magramente erbosa fino a giungere, dopo 4 ore non faticose, all’Italian Base Camp a 3660 metri. È un posto molto bello, aperto, solare, fra l’erba e i bassi cespugli, proprio sotto la parete ovest del Dhaulagiri, con eccellente vista sulla cerchia dei monti che svettano bianchi oltre la valle. In un breve ripiano c’è una costruzione di sassi irregolari, lunga e stretta, alquanto povera. Sembra una vecchia malga delle Alpi, ma per i porter è una preziosa “casa” e loro ci vanno a cucinare e passeranno la notte al riparo. Il nome “Campo Base Italiano” è dovuto alla spedizione italiana al Dhaulagiri nel 1976 effettuata dalle Aquile di San Martino di Castrozza e Guide del Primiero. Furono loro a installare questa base logistica che, in realtà, chiamarono “Campo Deposito” perché qui i 370 portatori, viste le difficoltà per scendere sul ghiacciaio che si trova poco oltre questo luogo, si fermarono rifiutandosi di proseguire. Il luogo divenne un grande magazzino: oltre 100 casse di materiale vario, viveri, tende e quant’altro. La spedizione, partita da Kathmandu il 28 febbraio 1976, iniziò il cammino direttamente da Pokhara e impiegò 13 giorni ad arrivare all’Italian Base Camp. Dopo l’ “ammutinamento” dei portatori restarono al servizio degli italiani il sirdar (capo dei portatori), 20 portatori d’alta quota, 9 sherpa e 4 sherpani (forti ragazze addette, oltre che a portare pesi, alla ricerca di legna per la cucina; oggi il fuoco è proibito.) Attrezzata la discesa sul ghiacciaio, ma anche la parte opposta dove c’era del ghiaccio vivo, salirono fino a quota 4100 m dove posero il “Campo Intermedio” dopo giorni di trasporti faticosi; nevicava ogni pomeriggio; di notte si scatenavano tremende bufere e rombavano le valanghe. Poco più in alto sorgeva, sulla morena laterale, sotto il Tsaurabong, quel poco che rimaneva del Japanese Base Camp del 1971. I giapponesi avevano tentato invano il Dhaulagiri V, 7618 m; vi rinunciarono lasciando tre morti causa valanga. Qui furono visti molti mufloni che i magars (popolazione della valle) venivano a cacciare. Finalmente il 23 marzo sorge il Campo Base vero e proprio a 4780 m di quota. Una squadra (dove c’è anche Sergio Martini) sale in perlustrazione fino al French Pass, un’altra costeggia l’Eiger (grande parete antistante il Dhaulagiri che assomiglia all’Orco del Bernese), risale il corridoio nevoso e si porta verso il Colle Nord Est dove inizia la via di Diemberger & C. del 1960 (spedizione svizzero-austriaca), oggi considerata la via normale. Sceglieranno questo itinerario rinunciando alla idea originale di salire la “Pera”, cioè la diretta al centro della parete nord, spazzata da valanghe. Il tempo è pessimo per tutto marzo, fino al 3 aprile. La vetta verrà raggiunta da Gian Paolo Zortea e Silvio Simoni il 4 maggio 1976. Luciano Gadenz si fermò poche decine di metri prima della cima causa congelamento. La spedizione restò assente dall’Italia per circa tre mesi.

12° giorno
: Giorno di riposo e di acclimatazione al comodo, ma freddo Italian Base Camp.
13° giorno: Poco sopra il campo si apre una voragine immensa dove si scaricano le valanghe dalla parete ovest del Dhaulagiri (è successo anche durante le due notti passate lì). Questa voragine è ghiacciata e pericolosa e va discesa fino alla base per un centinaio di metri circa (scivolare qui sarebbe la fine; sotto ci stanno dei brutti crepacci e un torrente impetuoso). Questo tratto è il più difficile e tecnico del giro e va attrezzato con corde fisse. Dal fondo si prende a salire la parte opposta, prima facilmente, poi per il ghiacciaio del Dhaulagiri, molto crepacciato, non banale, passando sotto le grandi pareti ovest e poi nord del Dhaulagiri. Il Japanese Base Camp viene sorpassato (non conviene fermarsi, è un posto squallido). E’ già buio quando arriviamo sotto l’Eiger del Dhaulagiri dove piantiamo il campo su ghiaccio e neve fresca: siamo al Dhaulagiri Base Camp a 4780 m, raggiunto dopo 8 ore di salita. Fa freddo e tira un po’ di vento; i portatori arrivano alla spicciolata; tappa durissima per loro, visto che si sono sobbarcati circa 1100 m di dislivello in salita con carichi non da poco conto.

2-dhaula.jpg14° giorno: Dal Campo Base vero e proprio si risale il ghiacciaio sulla destra orografica con parecchi saliscendi, quindi si entra in una valle larga, molto panoramica e sicura (mentre dalla nord del Dhaulagiri scendono paurose valanghe) e infine si sale per una costa innevata fino al French Pass 5360 m che ci accoglie con il suo vento rabbioso proveniente dal Tibet e dal Mustang che è a due passi. Al di la si apre la Hidden Valley (la valle nascosta, com’è in realtà), mediamente sui 5100 m; si scende verso questa traversando a destra fino a raggiungere il fondo dove si pianta il campo a 5100 m accompagnati nel lavoro da un vento freddo e impetuoso, davvero preoccupante. La tappa è lunga, un po’ faticosa causa la quota e ci si impiega circa 8 ore. Il campo viene piantato sulla neve in zona non protetta dal vento fortissimo; il freddo è pungente, ma secco e non pare proprio di aver toccato i -20°.

15° giorno: 
Dalla Hidden Valley dapprima si traversa poi si sale al Dhampus Pass, 5258 da dove si gode di una veduta immensa e straordinaria sul gruppo dell’Annapurna. Da qui si traversa a lungo, ma con numerosi saliscendi sempre sopra i 5000 m, verso sud est fino a un promontorio dove non c’è più neve e da dove appare la parte alta della valle Khali Gandaki, con Kagbeni e il Mustang e, più discosto, Muktinath. Da qui inizia la picchiata (famigerata) su Marpha che sta a quota 2670 metri. Questo vuol dire che dal Dhamphus Pass ci sono quasi 2600 metri di dislivello in discesa. È una cosa da ”spaccagambe”, eccessiva. Consiglio una fermata a Yak Kharka, 3680 m, dove c’è una “malga” abbastanza decorosa. A noi però, tanto per chiarire il dilemma, è capitato questo: la guida è letteralmente “fuggita” verso il villaggio e a noi non restò altro da fare che seguire lei e i portatori che avevano la nostra sacca (soprattutto con il sacco-pelo). Nella discesa “perdiamo” cinque porters che, furbi e mica tonti, si erano fermati a dormire nella malga di yak e scenderanno il giorno dopo. Il nostro arrivo a Marpha a 2670 m è poco trionfale; è già buio da tempo e sono passate circa 10-12 ore dalla partenza.

16° giorno: Giorno di riposo a Marpha per “leccarsi le ferite” e in attesa dei porters. Interessante visita al monastero e alle curiosità del luogo. Marpha, come già detto in un precedente blog, è un villaggio molto bello, lastricato, pulito dove è piacevole fermarsi un po’.

17° giorno: Ora si deve percorrere in discesa tutta la Khali Gandaki e la cosa è leggera e
piacevole. Dopo 6 ore si giunge a Ghasa, 2010 m, per un meritato riposo.

18° giorno: Da Ghasa si scende a Tatopani, 1190 m, impiegando altre 6 ore. Tatopani significa “calda acqua” ed è proprio così; infatti facciamo un doveroso (e doveroso) bagno ristoratore nelle sue terme a cielo aperto sotto lo sguardo curioso di una piccola folla di “villeggianti” locali.

19° giorno: Si rientra a Beni, 950 , con circa 4 ore a piedi e un tratto in jeep, chiudendo così il Meraviglioso giro o round del Dhaulagiri.

20° giorno: Beni-Kathmandu-Hotel in bus; 294 km in 8 ore circa.
21° giorno: Giornata libera per visite a Kathmandu e dintorni.
22° giorno: Giornata libera per visite a Kathmandu, templi e cittadelle.
23° giorno: Partenza da Kathmandu.
24° giorno: Arrivo in Italia.

Italo Zandonella Callegher