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22 Dicembre 2021

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Verso il “green pass” della montagna

L’obbligo di dotarsi di APS dal primo gennaio sembrerebbe a prima vista una “legge” di buon senso, e come tale è plaudita da molti praticanti della montagna e no. Certo, per uno scialpinista o un alpinista dotarsi di APS rientra nella normalissima scelta dell’attrezzatura da portare al seguito. Quante volte ci siamo detti: magari i coltelli non servono, ma li porto, forse la piccozza e i ramponi nemmeno, ma, hai visto mai… Chi frequenta un certo tipo di ambiente sa cosa deve prendere con sé e cosa no. Il problema di questa “novità” è l’obbligo. Forse ai più sfugge questa parola, magari proprio agli stessi che gridavano ai quattro venti che la montagna è libertà quando eravamo costretti al chiuso, o che mal sopportano ora in tempi di pandemia le limitazioni e gli obblighi. Ebbene, allora si rifletta. Si rifletta sul fatto che la montagna è e sarà sempre più regolamentata, per far piacere a una società che deve decidere ogni cosa per la nostra sicurezza. Un obbligo che fa leva sul senso di colpa e sul conseguente biasimo collettivo quando qualcuno finisce sotto una valanga, ogni qual volta è necessario chiamare i soccorsi. Perché i soccorritori rischiano la vita, perché il soccorso costa, perché nessuno, tanto meno gli amministratori locali, vuole essere chiamato in causa. Meglio mettere nero su bianco.  Non è più il buon senso dell’individuo, che può esserci o no, com’è sempre stato. E’ decidere per tutti che è così e basta. E non sono distanti i tempi in cui, per ovvie ragioni sarà obbligatorio avere un patentino di qualche genere per praticare la montagna nelle sue pieghe. A maggior ragione lo sarà per usare l’APS, perché è facile pensare che una marea di gitanti poco più che “della domenica”, si troveranno a fare i conti con un’attrezzatura che non ha mai visto, con dei livelli di pericolosità numerici che non sa interpretare, e che per come sono concepiti dalla legge attuale sono fuorvianti, ambigui, assurdi e totalmente pericolosi. Anche l’esperto, però, quello che la montagna la conosce a fondo, dovrà adeguarsi ai prossimi “super green pass”. E se da un lato i bacchettoni, quelli che gioiscono per le multe, i divieti, hanno un motivo in più per esultare, qualcuno ha già fiutato il business. Una montagna sempre meno libera e sempre più spalmata sull’omologazione della società del “controllo”, una montagna che si adegua inesorabilmente alle regole di uno “sport”. “Regole” che non c’entrano nulla con la libertà, il buon senso, la maturazione progressiva. Del resto si sono fatti continui proseliti per attirare sempre più persone a cimentarsi con la montagna, con spot accattivanti, con modelli culturali sempliciotti, con lo sdoganamento dei miti contemporanei. Adesso però bisogna metterci una pezza a suon di regolamentazioni! Personalmente continuo a rivendicare la montagna come uno degli ultimi spazi di libertà, di esplorazione dell'”io” e di crescita consapevole dell’individuo, e cito Thomas Jefferson: “Preferisco una libertà pericolosa a una schiavitù pacifica”. Non si tratta solo di una questione “amministrativa” come qualcuno tende sempre a ridurla. E’ in gioco un valore morale ed etico ben più complesso.