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3 Febbraio 2020

Escursionismo e “roccette”

Ricordo bene perché, ormai tantissimi anni fa, ho iniziato ad arrampicare. Ero un quattordicenne che faceva gite escursionistiche da qualche anno e, avendo iniziato a uscire dai sentieri tracciati e segnalati, mi era capitato di affrontare un semplice passaggio di cresta, difeso da alcune “roccette”. In quell’occasione mi erano certamente tornati utili i movimenti che, per gioco, nel 1970 ero solito fare su piccoli massi disseminati della Val Ferret, qualche volta dietro i preziosi insegnamenti della guida alpina Luigino Henry. Quel giorno però, su quella cresta, mi resi conto che avevo bisogno di acquisire maggiore sicurezza nei brevi passi esposti dove bisognava far ricorso alle mani.  M’iscrissi così nell’estate a un corso per ragazzi organizzato dalla guida alpina e amico di famiglia Cosimo Zappelli. Certo non potevo immaginare che quell’esperienza mi avrebbe portato a innamorarmi dell’arrampicata e dell’alpinismo, pur continuando in seguito ad apprezzare l’escursionismo come una parte integrante dell’alpinismo stesso. A distanza di tanti anni, oggi, mi capita spesso di avere tra gli allievi dei miei corsi d’arrampicata indoor degli escursionisti che vogliono acquisire un maggiore bagaglio motorio, proprio per sentirsi più sicuri in situazioni in cui la “quadrupedia” diventa necessaria. Ora, io insisto sempre nel dire che le abilità motorie si possono acquisire, sviluppare, allenare, in un ambiente artificiale, addirittura su una “spalliera”, avendo ben chiaro però che in ambiente naturale vi sono una miriade di fattori oggettivi e soggettivi di cui bisogna tenere debito conto. Tuttavia, migliorare la propria consapevolezza corporea attraverso il potenziamento del bagaglio motorio è un passaggio fondamentale e necessario per muoversi in sicurezza in ambiente di montagna con difficoltà oggettive, e su diversi tipi di terreno, roccioso innanzi tutto. Vediamo ora di dare qualche piccolo consiglio pratico, tenendo presente che si sta parlando di situazioni che rientrano nell’escursionismo impegnativo e non di “arrampicata” vera e propria.

Iniziamo con il dire che se ci troviamo di fronte a un ostacolo “roccioso” durante la nostra gita escursionistica, e ciò ci desta serie perplessità, i casi sono tre:

1) abbiamo pianificato con poca cura la nostra escursione sottovalutandola

2) abbiamo sopravvalutato le nostre capacità

3) siamo finiti fuori itinerario e ci troviamo di fronte a difficoltà non previste.

In ogni caso, se il tratto da superare ci “sovrasta psicologicamente” tanto da sembrarci il Campanil Basso, è perché non siamo in grado di affrontarlo. L’ostacolo genera un pericolo soggettivo, ed è meglio tornare sui nostri passi e lasciar stare: non abbiamo l’abilità motoria necessaria per far fronte a questa situazione. Impegnarci in un movimento che poi dovremo magari ripetere in discesa, è oltretutto molto pericoloso. Un caposaldo dei “vecchi rocciatori” dice di non affrontare mai in arrampicata, su “terreno d’avventura”, un passaggio da cui non sappiamo ridiscendere nello stesso modo. Sacrosanta verità, che nei decenni è stata un punto fermo del mio alpinismo, soprattutto nelle scalate in solitaria.  Se decidiamo di affrontare un ostacolo dove è necessario ricorrere a brevi passi di arrampicata, è bene osservare attentamente la sua morfologia, individuando i migliori punti di appoggio per i piedi e le prese che andremo ad afferrare con le mani, immaginando mentalmente una sequenza che riprodurremo poi nella progressione. In arrampicata tutto ciò si chiama “capacità di anticipazione” ed è bagaglio indispensabile per uno scalatore. Spesso, in escursionismo, quando parliamo di “roccette” intendiamo nella maggior parte dei casi una situazione con rocce frammiste a erba. Come non va mai afferrato e tirato un ciuffo erboso a guisa d’appiglio, così, di preferenza, questo non dovrà essere utilizzato come appoggio per i piedi, soprattutto quando è poco radicato e fuoriesce da una spaccatura o da una fessura stretta. Tutte le rocce in media e alta montagna sono soggette a fenomeni termo-clastici per effetto delle importanti escursioni termiche. Lastre, lame rocciose, appigli e appoggi vanno verificati prima di essere caricati o tirati. Prestiamo particolarmente attenzione in primavera e a inizio stagione alle rocce fessurate (ma non solo), specie lungo un itinerario ancora poco frequentato. Seguiamo con occhio critico ogni fessurazione per verificare se questa “chiude” a circolo una porzione rocciosa, che può così essere scollata dal corpo principale. Anche se all’apparenza l’appiglio è solido, è meglio battere con cautela alcuni colpi con il palmo della mano, per captare eventuali suoni “vuoti” e “vibrazioni”. E’ sempre meglio affidarsi all’appoggio sui piedi e alla progressione basata sulla spinta delle gambe piuttosto che usare pericolosamente la forza bruta. Siccome stiamo parlando di brevi e facili passaggi appoggiati e non di “arrampicata” vera e propria, le mani ci serviranno più come appoggio e come elemento stabilizzante. Lo scopo del resto è uno solo: evitare assolutamente di cadere, cosa che detta così sembra più che ovvia, ma quando non si hanno vere e proprie nozioni tecniche tutto si complica. Non intendo affrontare l’argomento del movimento su quattro arti in modo esaustivo, per cui condividerò  brevemente due concetti spendibili, consapevole che l’argomento è ben più complesso e rientra nell’insegnamento della tecnica di base dell’arrampicata. Per non cadere – almeno questo da bipedi lo sappiamo tutti – dobbiamo rimanere in equilibrio, e l’equilibrio è dato dalla relazione della base di appoggio con il nostro baricentro corporeo. Dov’è situato il baricentro corporeo? Nell’uomo fermo in piedi, il baricentro è posto davanti al terzo superiore dell’osso sacro, quindi il nostro riferimento è all’incirca l’ombelico. La verticale che passa per il nostro baricentro è detta linea di gravità e si proietta verticalmente sulla base d’appoggio dei piedi. Questo fatto ha come conseguenza ovvia che una base di appoggio più ampia è più stabile di una base di appoggio limitata. Senza esagerare ovviamente! Quando usciamo dalla nostra condizione di bipedi e utilizziamo su un terreno ripido anche gli arti superiori in appoggio o in trazione, sarebbe corretto parlare di poligono di appoggio, ancor di più su terreni non proprio verticali, quando il nostro baricentro non è a piombo sulla linea della base di appoggio come quando siamo fermi in piedi (equilibrio statico). In questo caso il poligono è la proiezione sulla superficie, data dalla figura che si ottiene unendo con una linea immaginaria tutti i punti di appoggio.Esso è un quadrilatero (foto 1) quando uniamo con una linea immaginaria i quattro arti su cui poggiamo (ad esempio quando siamo nella fase statica), e un triangolo (foto 2) quando solleviamo o una mano o un piede.

(1)

(2)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Facciamo attenzione a sollevare sempre e solo un arto alla volta, proprio perché siano presenti sempre tre punti di appoggio che garantiscono quello che in arrampicata si chiama “triangolo di equilibrio”. Questo poligono nel movimento d’arrampicata si ribalta in continuazione e le basi di appoggio diventano in modo alternato la linea che unisce le mani, avendo come vertice il piede, e la linea che unisce i piedi avendo come vertice una mano. Più il piede e la mano saranno centrali rispetto alle basi d’appoggio più il triangolo sarà “stabile” (foto 3-4). Quando la linea di gravità esce dalla base e dal poligono di appoggio, ecco che si crea un disequilibrio e si rischia di cadere (foto 5).

(3)

(4)

 

 

 

 

 

 

 

(5)

 

 

 

 

 

 

 

La ricerca dell’equilibrio in movimento, infatti, comporta che il baricentro si muova, e sono così indispensabili continui spostamenti delle basi di appoggio oltre che un maggiore sforzo muscolare. Quando ci muoviamo in brevi passi di arrampicata, dobbiamo avere cura di poggiare la parte anteriore dello scarpone e della pedula, facendo sempre passi di breve ampiezza passi (3-4 al massimo), terminando il movimento con una nuova base d’appoggio. Essa sarà più agevole se si porteranno i piedi all’incirca alla stessa altezza e con il baricentro a piombo sugli appoggi. Un leggero avanzamento del bacino verso la roccia a fine movimento (retroversione) favorirà il carico del nostro peso sui piedi (foto 6).

(6)

 

 

 

 

 

 

L’errore più comune dei principianti, dettato non solo dalla cattiva tecnica ma anche dalla paura di avere una postura “esterna” ed esposta al vuoto, è quello di rimanere addossati alla roccia, quasi sdraiati, con il serio rischio di perdere l’appoggio sui piedi oltre che di non avere visione del terreno nel suo insieme. Attenzione: per l’equilibrio è importantissimo avere lo sguardo fissato su punti precisi e fermi. Un passaggio in discesa va affrontato ripetendo la sequenza di movimenti al contrario, preferibilmente “fronte verso monte”, applicando le stesse regole ma con molta attenzione in più. Soprattutto, dovremo tenere conto che “disarrampicando” saremo portati ad affidarci di più alle mani per abbassare i piedi: attenzione dunque a quello che tiriamo e verifichiamo la solidità degli appigli! La discesa fronte a valle si fa di preferenza su tratti molto abbattuti, ma non per questo richiede minore attenzione e coordinazione. Molta cautela soprattutto con erba secca perché la tendenza, errata, è quella di sedersi, mentre bisognerebbe poggiare sempre su quattro arti!  In salita e in discesa, non affrontiamo mai dei passaggi e dei tratti impegnativi quando vi sono già impegnati altri escursionisti: una caduta improvvisa di terzi potrebbe coinvolgerci senza darci la possibilità di reagire in modo efficace. Se il passaggio da superare è breve e solo se noi alla base disponiamo dello spazio sicuro necessario, possiamo anche assumere una buona posizione stabile sulle gambe e con le braccia tese per parare un eventuale scivolamento del nostro compagno, la cui caduta potrebbe proseguire con incerte conseguenze.  Non ho volutamente affrontato il tema corda di sicurezza (spezzoni, progressione di conserva, eccetera) perché, di fatto, stiamo parlando d’itinerari escursionistici, anche se impegnativi, quindi di brevi passi che devono costituire limitate sezioni di un’escursione. Talvolta il limite tra escursionismo avanzato e alpinismo facile è molto sottile e non di rado è sovrapponibile. Tuttavia, l’utilizzo della corda prevede una formazione ben precisa che richiede la frequentazione di corsi specifici con istruttori – guide qualificate. Nel caso si voglia affrontare un’escursione impegnativa convenendo di non avere le capacità adeguate, è assolutamente consigliato farsi accompagnare da una guida alpina: garantirà la vostra sicurezza e v’insegnerà come muovervi sui terreni insidiosi.