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31 Ottobre 2008

CAI · Riflessioni

CAI, CAI, CAI

Monvisio - rifugio: Q. SellaNon è il guaito di un cagnolino al quale abbiamo pestato la coda ma, almeno due su tre, sono gli acronimi della nostra benemerita Associazione.
Acronimo che, con una variante, sopravvisse al Ventennio e non cederà ora ad una terza realtà che la parola benemerita dovrà guadagnarsela sul campo… d’aviazione !

Partiamo dunque dal passato e portiamoci nel futuro come obbliga a fare l’impegno assunto e presente nel sottotitolo del blog.

Il 12 agosto 1863 Quintino Sella inventò sul Monviso il Club alpino italiano, ma ufficialmente costituitosi il 23 ottobre dello stesso anno in una sala del Castello del Valentino. Per correttezza storica diciamo che quel giorno in vetta al Monviso c’erano con lui anche Giovanni Barracco, Paolo di Saint Robert e Giacinto di Saint Robert. Non si sedettero i tre “a merendare, ma si misero a ammirare, affascinati, il celestiale panorama” che si allargava a perdita d’occhio oltre la grande montagna.

Racconta la cronaca che “Videro e vollero il Club alpino!”
Il Cai.

Nel 1865 nacque il Bollettino del Club alpino italiano e in seguito spuntò la celeberrima pubblicazione Club alpino italiano Rivista Mensile (con le tre parole fondanti in prima battuta). Si chiamò così fino al numero 4 del 1938. Dal numero 5 di quell’anno si tramutò in Centro alpinistico italiano Rivista Mensile e tale restò anche con Le Alpi Rivista Mensile del Centro alpinistiQuintino Sellaco italiano (sempre Cai, dunque) dal novembre 1938 fino ai primi anni Quaranta.

Allora pensarono che la parola Club apparteneva a quell’esterofilia, per di più inglese, che il regime fascista non amava e alpino poteva sviare e far pensare piuttosto al glorioso Corpo militare (cosa che succede ancor oggi fra i non addetti ai lavori), oppure, come fu pomposamente proclamato da un saggio dell’epoca, addirittura “poco maschio”. Meglio sostituirlo con alpinistico che qualificava, senza dubbi e pericoli di diversa interpretazione, la vera natura del Sodalizio. Il quale “…ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale” (art. 1 dello Statuto).

Benemerita Associazione, dicevamo. Con convinzione.
Non importa se qualcuno oggi si è impadronito dei tre caratteri iniziali e li sta usando per una nuova realtà… aerea. Non importa, sempre in volo siamo, sempre sulle ali della nostra nobile aquila reale. A bordo della quale guardiamo il mondo dall’alto.

L’acronimo Cai è salito recentemente agli onori della cronaca per un fatto strano. Attenzione!
Non per la sua capacità di gestire 305.000 Soci di ogni età e professione.
Non per la cultura del territorio che ampiamente sta seminando da sempre e con maggior fervore nel presente.
Non per il rispetto verso la natura che lo porta ad essere una insostituibile sentinella di grandi valori. Non per le sue 763 strutture ricettive (rifugi, capanne sociali, bivacchi, punti d’appoggio, ricoveri) capaci di offrire la bellezza di circa 23.000 posti letto al dì; cosa che pone il Cai fra le maggiori “strutture alberghiere” del mondo.
Non per le sue tredici Commissioni, il suo Comitato Scientifico, il suo Gruppo di Lavoro “Terre Alte”, le Scuole Centrali e Nazionali di Alpinismo, di Sci Alpinismo, di Speleologia, di Fondo Escursionistico, di Alpinismo Giovanile sparse su tutto il territorio nazionale.
Non per il suo Soccorso Alpino sempre in prima linea a favore di tutti.
Non per il lavoro durissimo, meritorio e mal pagato, delle Guide alpine.
Non per i suoi Istruttori, Accompagnatori, Esperti, Operatori, Tecnici, Osservatori, Unità Cinofile, Medici, Scienziati, Specialisti, Ottomilisti, Viaggiatori, Scrittori… e chi più ne ha, più ne metta.
Non per il livello dei suoi Soci accademici o di quelli che per qualche buon motivo hanno ottenuto la qualifica di Socio onorario (anche se sono relegati in un Olimpo del tipo Museo Egizio circondati da una siepe di naftalina a colori).
Non per il lavoro indefesso dei volontari che mantengono efficienti chilometri e chilometri di sentieri.
Non per l’opera dei numerosi Dirigenti di Sezione (sono 794 fra Sezioni e Sottosezioni) e quelli delle Regioni e i “Nazionali” che si impegnano quotidianamente per tenere alto, oltre al resto, anche quel senso di appartenenza raramente riscontrabile in altre Associazioni, Alpini esclusi.
Non per i “Lavoratori” della cultura che dirigono il Museo Nazionale della Montagna, la Biblioteca, la Cineteca, il Festival del Cinema di Montagna figli del Cai, ecc. ecc.
Non per la nuova rete di comunicazione informatica che il Sodalizio s’è dato e che lo porta ad avere uno dei siti più interessanti del variegato mondo dell’etere.
Non per la Stampa Sociale e per le altre forme di diffusione del patrimonio culturale.
Non per la sua centrale operativa che gestisce tutto e tiene uniti i “pezzi”.
Non per questo, non per quello…
E potrei andare avanti per ore, rischiando ancora di dimenticare qualcuno o qualcosa.
Il Cai è bensì salito agli onori della cronaca per… sentite un po’!

Si è fatto un mucchio di bla bla perché alcuni vip danarosi e lungimiranti (quasi sicuramente non nostri Soci altrimenti si sarebbero accorti della infelice appropriazione indebita), si sono messi in squadra per salvare una storica compagnia aerea nazionale. Fin qui meritano onori e gloria. Se non fosse che, ostentando una fantasia che sfiora l’amenità, si sono inventati la Cai (acronimo di Compagnia aerea italiana).
Che fantasia! Guarda caso, proprio come fece uno di loro nel 1863, un industriale, fondatore del Club alpino italiano – Quintino Sella – che di fabbriche, di banche e di ricchezze varie se ne intendeva.

blog-3-quintino-sella-monviso-da-pasquino-1863.jpgI bla bla, dunque, non erano per parlare del Cai, ma della Cai.
Altro che storie! E per poco non ci trovavamo fuori anche dal contributo statale se le anime pie della Presidenza non fossero volate a Roma (con la Cai ?) a ricordare agli smemorati chi siamo e cosa facciamo (anche per lo Stato) da ben 145 anni.
Pericolo rientrato, fortunatamente.
Desta amarezza, però, dover constatare che qualcuno, magari per un solo minuto, abbia potuto pensare che il Cai, quello di Quintino Sella, fosse un ente inutile.

Il nostro fondatore trovò tempo e fantasia per inventare una grande Associazione, detta Cai, che vola da un secolo e mezzo sulle ali di un’aquila reale.
All’altra Cai, aquila che vola con le ali di metallo, auguriamo una vita altrettanto lunga e prosperosa.

Italo Zandonella Callegher