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20 Settembre 2011

Senza categoria · Coelophysis · Fabio Palma · Infinite Jest · Matteo Della Bordella · nuova apertura · Portami via · redpoint · wenden

Infinite Jest, Wenden

Il Wenden è senza dubbio uno dei posti più belli delle Alpi per scalare. Un po’ le Alpi in questi anni le ho girate: secondo me non è il più bello, ce ne sono tanti altri, ma senza dubbio è quello a cui sono più legato a livello personale e questo per me lo rende speciale. Portami Via, Coelophysis e Infinite Jest, tre vie tutte diverse, ognuna una grande avventura ed emozione, sembra banale dirlo, ma aldilà di numeri e gradi il Wenden e la sua roccia nel mio percorso verticale mi hanno regalato le emozioni più forti. Infinite Jest sarà forse l’ultima apertura in Wenden per me.

Ho la sensazione di essere alla fine di qualcosa. Qualcosa di bellissimo e irripetibile, ma che come è giusto che sia si sta chiudendo; adesso ho voglia di cambiare di vivere posti nuovi, così come negli ultimi 8 anni ho vissuto il Wenden.

Photo © Pietro Bagnara

Non ho mai amato quelli che farciscono una stessa parete di loro vie, questa Infinite Jest è probabilmente quanto di meglio io possa dare al Wenden, ora lasciamo il poco spazio rimasto agli altri! Su Infinite Jest per prima cosa ci tengo a scrivere che questa via l’abbiamo aperta e liberata in due.

Avere un socio con cui condividere certi progetti in parete come Fabio è merce rara e il fatto di essere in due a volerci provare a voler investire del tempo e mettersi in gioco, a condividere certe situazione è stato assolutamente necessario per me per portare avanti un progetto così grande come questo. Fabio non ha certo fatto il gregario su questa via (come qualcuno ogni tanto mi domanda sulle nostre aperture o dice senza domandarmi), ma ci ha dato dentro ripetendo e liberando dei bei tiri piuttosto ostici. Quindi, anche se poi qualcuno magari ricorderà solo il mio nome per la libera, è giusto sottolineare che questa è solo la punta dell’iceberg, quella che appare nei siti, ma tutta la base, la parte più importante, è stata costruita da due persone.

Photo © Pietro Bagnara

Detto questo devo dire che questa volta è stata dura. Per un attimo ho temuto che per quest’anno la libera mi stesse sfuggendo di mano, invece sabato ripeterla in giornata è stata la soddisfazione e sorpresa più grande, dopo aver fallito altre volte in cui invece mi sarei dato per vincente. La via è complessivamente un po’ più impegnativa di “Coelophysis”, la difficoltà obbligata non è particolarmente alta, sicuramente “Non è un paese per vecchi” o “Il mito della caverna” hanno dei passaggi obbligati più difficili; qui però hai tanti tiri di 7a-b che non sono proprio da sottovalutare, sono tiri che a causa dello stile di scalata molto tecnico e delle protezioni distanziate non ti permettono di arrampicare veloce, per questo, anche se sono solo 17 tiri farla tutta in giornata è stata dura. Alcuni tratti, bisogna dirlo, sono anche un po’ pericolosi.

Ho notato che spesso il nostro stile di chiodare specialmente sui gradi 6 e 7 è quello di mettere lo spit nelle posizioni di “riposo” prima di affrontare una sequenza difficile, quindi partire per la sezione impegnativa e non mettere nulla in mezzo a questa, ma cercare di raggiungere un’altra posizione di riposo e magari mettere lì un altro spit. Questa cosa scatena due effetti: il primo è che la difficoltà è pressochè obbligata, il secondo è che a volte le cadute sono potenzialmente pericolose perché lo spit non arriva più a proteggere l’arrampicatore dallo sbattere contro la roccia nell’intero tratto duro, ma dopo un po’ serve solo a evitare di precipitare in fondo alla parete. E’ un modo di chiodare che personalmente trovo abbastanza logico ed istintivo su terreni per me tentabili onsight e che mette il ripetitore in condizioni simili a chi ha aperto. Certo si creano vie con spit, ma alpinistiche in questo modo, ben diverse da vie in montagna sportive dove gli spit sono sempre a distanze ragionevoli…

Photo © Pietro Bagnara

Considerando questo aspetto della chiodatura sommato alle difficoltà tecniche posso dire che questa per me è stata la libera più dura che ho fatto di una via di più tiri, soprattutto considerando il fatto che mi è riuscita in giornata; sebbene come ho scritto dal punto di vista della difficoltà obbligata abbia aperto vie più difficili. E’ una via su cui ho avuto molti dubbi sui gradi da dare. E’ dannatamente difficile gradare sulle vie, il grado deve essere lo stesso, sulle vie come in falesia, ma qui ci sono così tanti fattori in più da considerare ai quali non sai mai bene che peso attribuire. Il fatto di essere scomodi in sosta e non riposare in modo adeguato per esempio quanto può influenzare la tua prestazione? E la chiodatura? E il fatto di aver già percorso 15 tiri? A volte sei al massimo delle tue potenzialità, ma quali sono le tue potenzialità in quel momento?

Photo © Pietro Bagnara

Il commento di Fabio Palma:

Quando ho iniziato a scalare fui rapito da un termine, HLF, Hard Long Free.

Era stato coniato per quelle vie giudicate dure, lunghe da provarti una giornata o più ( e non dipendeva dal numero dei tiri o dallo sviluppo!), e che costringevano a salire in libera per arrivare in cima. Con gli anni ho scoperto un’altra categoria di vie, che chiamerei WHLF. Dove W sta per Wild. Sono una minoranza, per fortuna, ma sono quelle dove arrivare in cima significa massima concentrazione per evitare guai. Sono quelle dove non si parla più di grado obbligato, ma di inderogabile. Non sempre sono le vie più famose, o le più difficili. Per esempio, Zahir, in Wenden, non è fra queste, perchè è vero che se non scali la difficoltà obbligata di 7c non arrivi in sosta, ma è anche vero che l’inderogabile è piuttosto basso e in fondo di Wild non ce n’è tantissimo. Infinite Jest è di gran lunga la regina delle WHLF da me incontrate.

Matteo ne ha salito molte di più, in giro per le Alpi, e pare abbia la stessa opinione. Degli otto giorni di apertura e sei per provare la libera ho raccolto un pò di aneddoti, li trovate sul mio blog, sul sito dei ragni. Del nome carpito da un romanzo incommensurabile, anche. Qui aggiungo solo che, per girare un film sul Wenden che vogliamo fare, mi è toccato salire per la terza volta il 15esimo tiro, per poi riprendere e fotografare la fantastica rigola d’uscita condotta da Matteo. Beh, quando aprii quel 6c+, di grado inderogabile, dovevo essere in quelle giornate di graziosa incoscienza che, per fortuna, capitano rarissimamente. Allora non ebbi un gran fiatone, nel salire una sezione difficile e non su roccia salda, protetto da un Friend un pò dubbio. Nelle successive due volte, invece, e il 3 Settembre quando lo tirò Matteo, di respiro ondeggiante ne avemmo un bel pò, pur trovando una variante un pò più facile di quella del giorno d’apertura.

Nella giornata delle riprese Matteo, raggiungendomi con le jumar in sosta, ha sfilato il Friend prima ancora di raggiungerlo…mentre ancora pedala, mi dice, te l’avevo detto che questo Friend non teneva nulla. Ecco, per Wild, intendo questo. Un gradino sopra HLF. Grazie a J. Sustr, R. Mathis, P. Abegglen, Manolo e B. Kammerlander per la formidabile ispirazione che mi hanno dato durante le giornate di apertura di Infinite Jest. E grazie a David Foster Wallace per l’infinito scherzo che ha regalato al mondo con il suo capolavoro. E’ vero, sono vergognosamente dipendente.

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