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9 Giugno 2010

Alpinismo e Spedizioni · Avventura · Memorie · Personaggi · Racconti · Direttissima Mario Zandonella · Mario Zandonella · morte · racconti

LA DIRETTISSIMA

La mia apparente serenità non tragga in inganno. Ho sofferto molto per la morte in montagna di alcuni amici alpinisti. Una decina, finora e spero proprio che le tristi sfilate dei funerali siano finite.

Un giorno i quattro alpinisti Zandonella (i fratelli Giuliano e Mario, primi cugini di Italo e Beppe, altra copia di fratelli) decidono di tentare l’apertura di una via sulla parete est di Punta Rivetti nel gruppo del Popèra, via che presentava tutti i crismi di una direttissima. La parete era (ed è) spettacolare, la giornata bellissima, calda, positiva. Di negativo ci fu solo il fatto che Mario, all’ultimo momento, informò di non poter partecipare perché impegnato con il lavoro. Faceva il meccanico di auto a Cortina. Ma ormai la macchina era psicologicamente e fisicamente ben oliata e gli altri tre partirono lo stesso.
La parte iniziale del nuovo itinerario non fu (e non è) uno scherzo; se poi consideriamo i tempi, le attrezzature e le scarpe di allora mi vien da dire modestamente che facemmo qualcosa di buono. I primi ripetitori dissero di aver trovato del VII (oggi si dice 6b+); ed erano dei “signor” ripetitori, mica dei pivelli! Per il passaggio chiave ci avevano dato sicurezza un buon chiodo e un paio di cunei. Quello che trovammo più in alto era “solo” quinto e sesto grado in zona vergine e rappresentava quanto di meglio si potesse desiderare da una arrampicata: verticalità, roccia ottima, ambiente superbo, buon umore. Una direttissima con i fiocchi, insomma, in puro stile classico. Giunti in cima nessuno pensò a dare un nome ufficiale a quella nuova via e non ho mai capito il perché. Si usa fare un battesimo in quelle occasioni; era successo altre volte … La chiamammo solo, molto genericamente, “la direttissima”.

Il giorno seguente, al mattino presto, giunse una telefonata di don Raffaello De Rocco, il “prete degli alpinistici”, parroco in quel di Zoldo. Il gestore del rifugio “Città di Fiume” lo aveva avvertito che Mario, partito all’alba di domenica per una solitaria – la sua specialità – sulla nord del Pelmo, non era rientrato. Conoscevo Mario come le mie tasche. Non era uno che si fermava a bivaccare. Partiva, arrivava in cima, tornava a casa in giornata. Era fortissimo, fra i migliori alpinisti della sua epoca. E non lo dico io, che posso essere di parte quale cugino/fratello, ma lo dicevano tutti. Era uno che arrampicava sul duro con gli scarponi e i jeans, un post sessantottino dell’alpinismo, coraggioso ma prudente; uno che aveva la testa dentro il settimo grado ed i piedi dentro gli scarponi rigidi. Che arrampicava come un angelo usando l’attrezzatura degli anni Settanta. Come dire: “tutto da ridere” se paragonata a quella di oggi.

Nessuno osava dirlo, ma capimmo subito che era successo il peggio del peggio. Partimmo subito, Giuliano, Beppe ed io. Con Beppe mi portai di corsa alla base della parete nord del Pelmo. Giunsi che la milza era impazzita. Il Soccorso alpino di Zoldo, bravo e tempestivo come sempre, era già arrivato sul luogo. Trovarono Mario che giaceva senza vita e mal ridotto dentro un crepaccio del nevaio terminale. Era caduto da chissà quale altezza. Nessuno aveva visto o sentito nulla. Di lui rimaneva lassù, sul fondo di quella assurda bara di ghiaccio, solo una macchia di sangue. Mario era morto il giorno prima, cioè il 26 luglio del 1975. Aveva 23 anni e mezzo.

Mario voleva fare la naja in un corpo e in un luogo dove avrebbe potuto arrampicare. Era già attivo da anni, esperto, fortissimo, apprezzato, amato. Lo chiamavano “il mite” per il suo carattere dolcissimo e per quel sorriso che non negava mai a nessuno. Un antidivo per eccellenza. Voleva andare alla Scuola Alpina di Aosta, per esempio – gli sarebbe piaciuto moltissimo – oppure a Predazzo nella Scuola della Guardia Finanza o a quella prestigiosa della Polizia di Stato a Moena.
I grandi esperti di settore lo mandarono a Taranto in marina! Una vergogna!
Per fortuna fu “ripescato” dalla Polizia di Stato dopo che qualcuno aveva minacciato un’insurrezione popolar-comeliana per l’assurda destinazione.
Nel “verbale” del Centro Addestramento Alpino della Polizia di Stato di Moena, alla quale era appartenuto, si legge: «La Guardia di P.S. Zandonella Callegher Mario … entra nel Corpo il 14 aprile 1971. Al termine del corso di istruzione viene nominato Guardia di P.S. e assegnato alla Scuola Alpina di Moena. Assieme all’Allievo Guardia Cozzolino Vincenzo detto “Enzo” ha affinato le sue capacità alpinistiche effettuando ripetuti allenamenti percorrendo molte vie classiche delle Dolomiti di Fassa, dell’Agordino, della Civetta e tante altre ancora. Lo stesso Zandonella ebbe modo di esprimere la sua ammirazione nei confronti del collega Cozzolino definendolo maestro dell’arrampicata. In un clima di reciproca stima e ammirazione le due Guardie arrampicavano spesso assieme per allenarsi in vista dell’apertura di una nuova via sulla Torre Trieste nel gruppo della Civetta. Il 18 luglio 1972, durante una salita di allenamento sulla Torre di Babele in Civetta effettuata in arrampicata libera, cioè non in cordata ma ognuno per proprio conto, assieme all’allievo Cozzolino, ad un certo punto, ormai a soli venti metri dalla cima, Cozzolino che si trovava davanti di pochi metri, vista la presenza di un chiodo piantato da altri alpinisti, decideva di agganciare un moschettone, probabilmente per facilitare una breve traversata a sinistra. Il chiodo però non reggeva alla prova di carico fuoriuscendo dalla fessura e determinando la caduta del Cozzolino che precipitava alla base della parete. La Guardia Zandonella, pur sconvolto dalla tragedia, riusciva comunque ad arrivare fino in cima e ridiscendeva per la via normale per portare soccorso al collega. Ivi giunto, constatava purtroppo che l’amico era deceduto e provvedeva a chiedere aiuto e a trasportare il corpo del Cozzolino alla camera mortuaria di Agordo con la collaborazione delle squadre del Soccorso Alpino e delle forze dell’ordine locali che avevano provveduto al rilievo dell’incidente. La Guardia Zandonella, nonostante questo tragico evento che ha lasciato un profondo segno nella sua vita di uomo e di alpinista, ha completato il corso in atto ed è rimasto in servizio presso la Scuola di P.S. di Moena fino al 15 dicembre 1972, data in cui è cessato dal servizio per dimissioni volontarie.»
Ho riportato il documento ufficiale sulla morte di Cozzolino, redatto dalla Polizia di Stato, perché all’epoca dei fatti un alpinista accademico triestino disse che mai Cozzolino si sarebbe affidato a un chiodo, con questo quasi a voler coinvolgere Mario nella fatale caduta del compagno. Arrampicavano “in solitaria”, cioè non legati in cordata, non assicurati, distanti alcuni metri uno dall’altro; non potevano né intralciarsi né aiutarsi. Ognuno era arbitro della propria vita. Mario era assolutamente estraneo alla caduta fatale del celebre compagno e quel “signore” di Trieste dovette morsicarsi la lingua.

Il nostro giuramento di non arrampicare mai più fu tradito pochi giorni dopo i funerali di Mario. Infatti ci trovammo Giuliano, Beppe ed io alla base della parete nord del Pelmo. Volevamo perlustrare la via alla ricerca di ciò che mancava di Mario (che qui non dico per discrezione), ma anche per trovare qualche indizio utile a ricostruire la dinamica della sciagura. Salimmo un po’ indagando, cercando, frugando. Innanzitutto capimmo da vari segnali che il ragazzo era stato portato giù da una frana e non a causa di “un volo” dovuto a imperizia. Non che cambiasse qualcosa, ma già questo ci fece tirare un sospiro di sollievo. È così triste morire tragicamente; se poi succede per un proprio errore lo è ancora di più. La lunga scia di frana che solcava la muraglia diede certezza alla nostra supposizione. Non era più necessario salire tutto quel calvario e tornammo alla base, non prima di aver trovato su un minuscolo terrazzino – e capitò proprio a me – un pezzo di calotta cranica; su un altro c’era il martello da roccia spezzato in due; poi altre cose … Di Mario mancava ancora il casco con buona parte di quello che c’era dentro.
Rovistammo sulle ghiaie della base. Non trovammo nulla! Uno spezzone di corda che Mario aveva ancora legata in vita quando ci recammo per il riconoscimento del corpo era spezzata, anzi sfilacciata. Segno che il ragazzo era stato “strappato” dalla parete in modo violento.

Poi finalmente ci decidemmo a battezzare la via aperta pochi giorni prima sulla Punta Rivetti: la chiamammo “Direttissima Mario Zandonella”. Se lui fosse stato con noi quel meraviglioso sabato di luglio sulla bella torre che svetta ai margini del Vallón Popèra, il nome della via sarebbe stato semplicemente “la direttissima”. Così invece … Ma con i se e con i ma non si scrive né la storia né il destino.

Fin dal 1978, per volontà della Sezione Val Comélico del Cai, Mario è ricordato con la ferrata di Croda Rossa di Popèra (negli anni Novanta si è aggiunto il fratello Giuliano) e con un bivacco sui Brentóni (assieme ad Angelo Ursella).

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6 Responses to LA DIRETTISSIMA

  1. silvana ha detto:

    Grazie per aver scritto questo ricordo del nostro Mario ! Lui e Giuliano sono sempre , con doloroso e bruciante ricordo , nel mio cuore !

  2. italo ha detto:

    Si, sono eventi che non si dimenticano mai. Grazie per la vicinanza.Ciao,Italo

  3. Giancarlo ha detto:

    Non ho conosciuto personalmente Mario, ma l’amico Vittorio ha saputo tracciarmi una profonda conoscenza sulla personalità di Mario alpinista e in particolare dei fratelli Zandonella Callegher (Mario e Silvano). Ritengo che sia un orgoglio per la Sezione del CAI Val Comelico saper commemorare certe figure alpinistiche e il 1* maggio p.v. in quel si Selvapiana c/o il rif. Lunelli, senz’altro gli ricorderemo.
    Grazie Italo.

  4. italo ha detto:

    Grazie per l’apprezzamento su Ursella e Mario Zandonella. Anche lo sfortunato Giuliano non era da meno. Ciao, Italo.

  5. nevio mattioli ha detto:

    Grazie per questa pubblicazione….anche perchè quando si posano piedi mani ed Anima sulle rocce di una montagna è bene , a mio avviso , poter portare con se nel cuore e nella mente il ricordo ed i sogni di chi ci ha preceduto e spessissimo tracciato una via che è sì d’alpinismo ma anche e sopratutto di stile di vita . Grazie ancora..

  6. italo ha detto:

    Grazie a te Nevio, sono lieto che lo scritto sia stato di tuo gradimento. Ciao, Italo