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30 Luglio 2009

Memorie · Racconti

LA SMORTINA

Cimitero DosolTutto era ordinato e pronto: l’abito nuziale bianchissimo e finemente lavorato a mano era appeso in fondo alla stanza; i crostoli, croccanti e sapori­ti, stavano nella grande cesta di vimini; le bottiglie di buon vino giunte dalla pianura erano al fresco nella cantina; i regali stavano allineati in bella mostra sul pa­vimento d’abete…
La fanciulla raggiante guardava dalla finestra la bella chiesetta alpina, oltre il vicolo, al di là del torrente. Nella stessa direzione vedeva anche la sua casa di domani dove l’aspettavano sereni e felici anni di amore e di lavoro in compagnia del suo uomo.

La vigilia delle nozze era trascorsa veloce nel frenetico lavorio che pre­cede ogni evento di questo genere… Non restava che una notte, una unica notte da passare insonne nella tiepida camera foderata di legno e dipinta con i vivaci colori della tradizione. Sola, rimescolando e pescando nel passato le ore più o meno liete trascorse sul semplice pagliericcio coperto dalle belle lenzuola ricamate dalla nonna. Ricordi di bambina spensiera­ta, poi adolescente sbarazzina e infine fidanzata felice. Ed ora quasi sposa. Trepidante, ma serena, a poche ore dall’avverarsi di un sogno. La promessa d’amore veniva finalmente legalizzata dall’importante cerimonia.
Chiuse le finestre mentre l’ultimo raggio di sole si ritirava oltre la cu­spide dei monti risucchiando la notte incipiente.

Improvvisamente la fanciulla si sentì male. Portò le mani al petto e un tremito percorse il suo corpo come il vento percuote il giunco. Con un debole lamento e con negli occhi il terrore della cruda realtà, si accasciò al suolo né più si riebbe. Il suo cuore, quel muscolo generoso e carico di pas­sione, aveva ceduto alla fatica e alla emozione della vigilia.
Fu vestita di bianco, con l’abito da sposa che il giorno dopo doveva essere il simbolo della vita. Il pizzo fu bagnato dal pianto del giovane compa­gno mancato. Fu sepolta nel piccolo cimitero fra i monti.

Da sempre il tempo cancella i ricordi e il giovanotto, trascorso e superato quel periodo di prostrazione che segue ogni disgrazia, lentamente stava ricuperando il suo buon umore. Lo pervase una voglia matta di vivere, di evadere dalla solitaria abitazione, di rientrare in quella società che ancora lo voleva. Promise a se stesso di reagire, di tentare un ripristino di esistenza normale, lontana da ricordi e da pianti che non potevano certo restituirgli l’amore strappato.

Ci riuscì! Si accorse che il ballo era la migliore medicina…
Fu pro­prio durante una serata passata con amici che gli si avvi­cinò una ragazza vestita di bianco, il viso coperto da un velo. Lo invitò a ballare. Stupito, ma soddisfatto di essere stato scelto da quella che sembrava una magnifica creatura, accettò l’invito.
L’uomo tentò subito di stendere i fili di un dialogo qualsiasi, ma la fan­ciulla non rispondeva, sembrava assente. Inoltre si accorse che era incredibilmente gelata e tremante. Le mani erano scarne e pallide quasi che il sangue non scorresse più nelle vene…
«Sei fredda! Stai male? Perché non parli? Come sei strana… Prima mi scegli fra una decina di cavalieri più giovani e più belli di me, poi stai muta… non rispondi alle mie domande! Perché? Chi sei? Non vuoi parlare… Pazienza! Posso almeno offrirti un caffè. Ti farà bene, vedrai…!»

La prese per mano, la condusse al banco e le porse una tazza colma di caffè bollente. La ragazza accettò ma, urtata da un ragazzone maldestro, si rovesciò il caffè sul bellissimo abito di candido lino.
«Vorrei andare a casa» disse allora sommessamente, facendo udire per la prima volta la sua voce.
«Posso accompagnarti?» replicò subito il giovane al quale parve di ri­conoscere vagamente quel timbro vocale.
«Come vuoi».
Usciti dal locale fumoso la fanciulla imboccò il viale che conduceva al camposanto.
«Ma dove vai? Di lì non abita nessuno! Torniamo indietro!»
La ragazza non rispose e continuò per il viale alberato, sparendo e ricomparendo fra le ombre e le luci proiettate dalla luna fra gli alberi scheletriti. Giunta davanti all’ingresso del camposanto si appoggiò al pesante portale di ferro battuto, si volse lentamente e, levandosi il velo che le copriva il volto, disse: «lo abito qui! Questa è la mia casa

Solo allora il giovanotto riconobbe in lei la promessa sposa morta la vigilia delle nozze.
L’indomani, per sincerarsi, fece riesumare la salma che venne trovata intatta.
Sul vestito bianco, vicino al cuore, c’era una macchia di caffè…

Italo Zandonella Callegher