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5 Gennaio 2020

Elogio dell'”ometto”

Quante volte, perduta la giusta direzione, abbiamo vissuto momenti di apprensione fino a quando un ultimo colpo d’occhio l’ha individuato? “Laggiù! C’è un ometto!”. Ricordo di aver vissuto un’emozione simile la prima volta che sono sceso lungo la cresta est dell’Aiguille Noire de Peuterey, dove le difficoltà d’orientamento non sono poche. Qualcuno, generosamente, aveva lasciato ogni tanto qualche piccolo ometto di pietre che mi permise di ritrovare la via. Sì, perché l’ometto è innanzitutto un atto di generosità verso chi percorrerà lo stesso cammino, e ciò è meraviglioso in un mondo così egoista e individualista.  Che emozione, poi, quella volta, durante la probabile prima solitaria della “Via Borelli-Girardi” sulla parete nordest della Cima di Monfret: in una nicchia, sotto uno spigolo, un manufatto di pietre molto antico, rimasto al riparo delle valanghe e delle intemperie, mi aveva rassicurato sulla giusta linea fin lì seguita. Fare un buon ometto che resista al succedersi delle stagioni non è cosa semplice: richiede un sapere antico come la scelta e la posa della giusta pietra. Nell’era in cui si rivendica la necessità di un alpinismo tecnologico in nome di una caduca sicurezza, figlia dei modelli di benessere di una società sempre più affamata di controllo e di omologazione, il semplice gesto della costruzione di un ometto costituisce ancora il frammento di un rapporto arcaico con la natura e con la pietra, elemento dell’origine. Un gesto che richiama allo spirito dell’antica civiltà dei contadini – pastori. In quel tempo ormai consumato, i “bounòmm” ( così erano chiamati qui, sulle Alpi nordoccidentali) assumevano la funzione di orientamento e di rituale, quasi a disegnare la sacralità dello spazio dell’uomo il cui limite esterno in quota era costituito dal pascolo. La poesia dell’ometto è tutta lì: una forma spesso curiosa che sembra sfidare la gravità, il piacere di ritrovarlo, magari l’anno seguente, là dove l’avevamo eretto. Qualche pietra di meno per il soffio del vento o di una valanga, oppure l’urto del passaggio di un selvatico, ma è tutto presto ricostruito. Le avventure passano, i ricordi restano. Noi siamo passati di là.