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11 Marzo 2021

Se la meta non c’è

Il mio percorso in montagna si è svolto in anni ancora unici e fortunose vicende personali mi hanno permesso di conoscere persone che hanno lasciato un segno nella mia vita e nel mio pensiero. Non sono mai stato un amante della meta a tutti i costi: il “sentimento della meta”, una volta che questa sia stata raggiunta, si esaurisce in fretta. Ho invece sempre dato importanza al “viaggio” che s’intraprende in montagna, con la scusa di raggiungere una vetta o la sommità di una parete. Ho scelto di farlo quante più volte possibile lungo vie nuove, e che bellissimo viaggio è stato! Molto spesso, negli ultimi anni, sono tornato a “viaggiare” da solo perché l’alpinismo e la scalata in solitaria sono stati in grado di offrirmi nuovi stimoli e hanno permesso di scoprirmi ancora di più, pur dopo tanti anni in montagna.  Anche quando vado in montagna da solo, spesso mi piace non avere alcuna meta. Esco e poi mi lascio condurre dalla montagna. Sono così le mete a trovare me e a dettare le “regole del gioco”. Non sono nemmeno mai stato rigidamente legato a una disciplina, perché la scalata è solo un mezzo come un altro per immergersi nella natura, ed è ugualmente bello e non meno appagante, farlo anche semplicemente camminando. Mi sono chiesto se valesse la pena raccontare alcuni di quei momenti, assai lontani dalle “grandi prestazioni”, se in un’epoca in cui conta il grado di difficoltà che sei capace di superare e quanto tempo ci metti per una salita, avesse un senso condividere una parte delle mie esperienze. Dagli anni della fanciullezza trascorsa in parte a Courmayeur a quelli delle prime improvvisazioni in alta quota e sulle rocce. Un modo di avvicinarsi alla montagna che oggi, probabilmente, per dinamiche e situazioni non esiste più. Dopo una lunga riflessione, ho così deciso di scrivere. In fondo, mi sono detto, la “mia montagna” è un’altra cosa.

 

In primavera in libreria