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1 Dicembre 2022

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Resto del Mondo

Stefano Ragazzo e Silvia Loreggian completano la prima salita della Sato Pyramide (6100 m) in Nepal

Stefano Ragazzo e Silvia Loreggia, prima salita della Sato Pyramide (6100 m) in Nepal. Foto Stefano Ragazzo instagram

Le due guide alpine  hanno raggiunto la vetta attraverso una via di misto battezzata “Kalypso” (600m, M4/V)

Il 31 ottobre, a  poco meno di un mese dalla partenza dall’Italia, le guide alpine Stefano Ragazzo e Silvia Loreggian, compagni di cordata e di vita,  hanno conquistato in stile alpino l’inviolata  Sato Pyramide (6.100 m), in Nepal, a cui il team ha dato questo nome “perché quando la osservavamo col binocolo da valle sembrava una grossa piramide”.

Ragazzo e Loreggian hanno raggiunto la vetta attraverso l’apertura di una via di misto battezzata “Kalypso” (600m, M4/V), “in onore dell’Odissea omerica, capolavoro che avevamo letto durante la nostra permanenza al campo base”, spiegano i due, che hanno impiegato un’intera giornata per superare difficoltà fino a M4. La discesa è avvenuta lunga la via di salita.

Nel resoconto della spedizione, hanno precisato che “Kalypso” non era il loro obiettivo originale:

“Il nostro progetto principale era di raggiungere la vetta dalla parete Nord, ma le condizioni della neve ci hanno costretto a cambiare i nostri piani… Dopo alcuni tentativi, abbiamo scelto la cresta Sud-Est perché sembrava più rocciosa e quindi più ‘sicura”, ha scritto Regazzo su instagram.

“É stato indescrivibilmente emozionante camminare e arrampicare dove nessun essere umano aveva messo piedeprima di noi”, racconta Stefano -. Abbiamo dovuto sopportare importanti escursioni termiche tra il giorno e la notte, di notte infatti le temperature scendevano a meno 20 gradi.”.

Stefano Ragazzo e Silvia Loreggian completano la prima salita del Sato Pyramide (6100 m) in Nepal. Foto arch.Stefano Ragazzo/Silvia Loreggian instagram

 

Il trasporto del materiale durante l’avvicinamento lungo il trekking del Kanchenjunga e poi fino al campo base, è stato effettuato con due yak guidati da un pastore locale. “Avevamo con noi un satellitare per comunicare con il pastore di yak che, a spedizione conclusa, avrebbe dovuto raggiungerci di nuovo per accompagnarci a valle con il restante materiale – ha raccontato Stefano a dolomiti.it  –  Il 6 novembre gli abbiamo così mandato un messaggio, al quale lui non poteva tuttavia rispondere: con lui ci eravamo accordati solo a parole e non eravamo quindi sicuri che avrebbe poi mantenuto la promesse. Rimasti in attesa speranzosi ma senza certezze in pugno, abbiamo infine gioito nel veder arrivare il nostro ‘yak man’ con i suoi animali a recuperarci dopo una tanto straordinaria quanto storica spedizione”.