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10 Settembre 2013

Senza categoria

Scalata, trascendenza ed “aiuti esoterici”

“…tale vicenda mi ha dimostrato che in circostanze speciali si possono manifestare interventi di poteri sconosciuti e misteriosi, che operano a nostro vantaggio e per la nostra protezione molto meglio di quanto sappia fare la nostra ragione e la nostra esperienza.”
Domenico Rudatis – Liberazione

Nel corso degli anni ho maturato la convinzione che attraverso la scalata sia possibile affinare una percezione particolare per ciò che risulta “ultrasensibile”, e che spesso sfugge al materialismo razionale che ci viene imposto dalla vita quotidiana. Si può quindi cogliere nell’alpinismo e nella scalata un’esperienza non solo “visionaria” ma anche “trascendente”, accettando degli episodi inspiegabili come parte di una progressiva scoperta di capacità individuali che vanno al di là della normale e umana comprensione.
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E’ una bella mattinata di luglio e in vista dell’imminente salita al Pilier Gervasutti al Mont Blanc du Tacul, ho deciso di effettuare una facile scalata di allenamento-rilassamento sulla bella parete di gneiss granitoide che costituisce il versante sud del Bec di Roci Ruta, in Val Grande di Lanzo. La scalata è facile e piacevole, con dei bei movimenti atletici che non superano il 6b; l’amico Ugo Gabrielli, compagno occasionale non proprio “giovanissimo”, si è offerto di accompagnarmi. Le prime tre lunghezze filano via lisce ed in breve alcuni passi chiave della via sono superati senza alcuna difficoltà. Parto dalla terza sosta, alquanto scomoda e dove occorre stare appesi, scherzando il mio compagno che finora se l’è cavata più che egregiamente. Supero un bel diedro aperto e poi afferro una lama arrotondata che mi permetterà di ribaltarmi sulla bella e ampia terrazza superiore. Quando spingo sulle gambe per portarmi fuori dalla verticalità, però, le corde dal basso mi trattengono inaspettatamente. «Dammi corda Ugo!», grido, ma non giunge alcuna risposta. Non vedendo il compagno e non sapendo il motivo di quella trattenuta tento allora e tento invano di forzare l’uscita. «Sono incastrate, giù in basso!», mi grida. Giù in basso? E’ infatti successo che Ugo ha lasciato cadere giù per la parete le corde preventivamente accavallate sulle gambe, forse a causa di un crampo, e queste si sono incastrate all’altezza della seconda sosta. Con estrema fatica mi ribalto sul terrazzino inclinato superiore ma la speranza di raggiungere il larice con i cordoni di sosta, due metri più avanti, è pura utopia. Deciso allora di slegarmi da entrambe le corde e di comunicare a Ugo il da farsi. «Blocca la blu alla sosta, dove sei, e calati su di essa fino a raggiungere il punto del probabile incastro. Libera tutto e vai alla sosta 2. Così io me le tiro entrambe alla sosta, le giunto e mi calo fin giù da te!». L’amico si prepara alla manovra ed io, non so per qual motivo, invece di salire in un punto meno esposto, mi siedo sulla terrazza inclinata prossimo al ciglio del salto, vicino alle estremità delle due corde da cui mi sono appena slegato. Ancora più inspiegabilmente, ad un certo punto sento il bisogno di prendere in mano il capo della corda di colore blu, quella su cui Ugo si calerà (essendo questa di diametro maggiore rispetto all’altra, che risulta oltretutto maggiormente incastrata e tesa). Osservo rilassato la bella pecceta sottostante dei Pasè e le vette di fondovalle, continuando a giocherellare con l’estremità della corda blu. Ed è in quel momento che accade l’incredibile! Sento la corda che mi sguscia di mano a grandissima velocità trascinata verso il basso come da un peso in caduta libera nel vuoto. Ed è in quella frazione di secondo che capisco: Ugo si è sganciato dalla sosta per scendere sulla corda ma per una fatalissima quanto inspiegabile disattenzione non l’ha ancorata alla sosta! Istintivamente chiudo la mano per trattenerla torcendo il polso per aumentare l’angolo. Ma il metro scarso di capo a disposizione è impietoso e non mi dà molto margine. Gli 80 chili dell’amico imprimono uno strappo incredibile e mi ribalto in avanti. Senza mollare la presa dal moncherino di corda vengo così trascinato sul ciglio dello strapiombo. Inginocchiato e risucchiato verso il basso mi rannicchio afferrando lo spezzone anche con l’altra mano, ed ho la prontezza di caricare l’angolo di corda sullo spigolo della terrazza. Ma servirà a qualcosa? La corda scivola ora rallentata nelle mie mani affondandovi dentro in profondità. Il dolore è atroce e sono tentato di mollare la presa, anche perché l’epilogo mi è chiaro: cadrò in breve verso il basso con il mio povero amico. Nei pochi secondi che intercorrono penso però che se mollerò la presa non potrò perdonarmi di aver lasciato precipitare Ugo. Dunque, decido di resistere fino all’ultimo, vada come vada e grido disperato: «non ce la faccio a tenerti! Vai giù! Vai giù!». Ugo (mi racconterà poi) nell’attimo in cui si sgancia dalla sosta capisce subito di essere spacciato. Ma non ha paura, anzi, accetta la fine con serenità pensando che la sua vita gli ha già riservato abbastanza. Poi sente che qualcosa arresta la sua caduta e quando le mie urla lo raggiungono capisce che deve scendere in fretta. Sono allo stremo e le mani insanguinate rendono ancora più difficile trattenere oltre la corda. Poi però la pressione diminuisce e i muscoli degli avambracci si rilassano. Torno a respirare e a pensare che forse vivremo entrambi: Ugo deve aver raggiunto la sosta. Cado supino sulla terrazza e mi ci vuole un quarto d’ora per essere in grado di riprendere coscienza delle cose. Trascino alla sosta le corde ora libere e con i denti e con ciò che resta delle mie mani che stentano ad aprirsi faccio un nodo di giunzione. Anche la discesa in doppia di 50 metri che segue risulta difficoltosa e non priva di sofferenza. Raggiungo Ugo che realizza quanto è successo solo quando vede i palmi delle mie mani scarnificati. E ammutolisce. Il Pilier Gervasutti dovrà così aspettare ancora un mesetto ed anche l’amico dovrà rimandare l’appuntamento con la “Signora”, appuntamento che così serenamente avrebbe accettato! Evidentemente la vita doveva riservargli ancora qualcosa: di lì a pochi giorni, infatti, sarebbe diventato inaspettatamente nonno.
E’ difficile ancor oggi spiegare cosa mi abbia indotto a prendere in mano quella corda nell’imminenza di quel momento drammatico, così come non mi spiego come posso aver retto, per quell’interminabile manciata di secondi, il peso dell’amico, con le mani piagate e senza precipitare a mia volta. Eppure non fu quella l’unico episodio in cui, poco prima di un serio pericolo, una forte sensazione mi fece compiere come un automa delle azioni non premeditate, quasi si trattasse di “aiuti esoterici” come già sostenne Rudatis. Ma questo semmai, è materiale per altre storie.