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14 Novembre 2014

Senza categoria

Sulla “plastica”

“Vanno in montagna semplicemente perché a loro piace, perché amano i fiori o la competizione forsennata. Non si spaccano il cervello per “sapere perché” e hanno il buon gusto di non spaccarlo agli altri. A loro capita sovente, quando pensano a quei pensatori che non pensano sia necessario avere dei pensieri per pensare, di riportare alla memoria il generale Cambronne”.
George Livanos

“Più a destra! Ruota bene l’avanpiede… bene quella posizione laterale. Non “chiudere”, lavora di più di cingolo scapolo omerale!”. Ore 21. Palestra indoor del Palatazzoli di Torino. L’impiegato uscito dall’ufficio poco fa è venuto a farsi massacrare per un’ora sugli appigli di plastica. Si lamenta perché fatica. Gli dico che il suo problema è soprattutto il pessimo rapporto forza-peso. Mi dice che va a correre nella pausa pranzo perché vuole togliersi definitivamente quelle antipatiche “maniglie” sui fianchi. Sottolineo che le “maniglie si tolgono soprattutto a tavola e che dopo la corsa dovrebbe astenersi dalla consueta porzione di lasagne alla tavola calda. L’ora successiva, al contrario, faccio lezione a un fissato della cultura fisica e del “grado”. Dopo un mese di lezioni mi riferisce che proprio non riesce a riprodurre sulla roccia quel movimento appreso in palestra. Ribatto che il mio scopo è di incrementare il suo bagaglio motorio e di accentuare la consapevolezza corporea, che certo lo aiuterà a risolvere i problemi tecnico-motori nella “vera scalata”. Spesso qualche allievo che mi conosce in modo più approfondito mi chiede come io possa conciliare la teorizzazione del “sentimento della meta”, caposaldo del mio alpinismo, con un’attività di formazione di arrampicata a carattere ludico-sportivo. Rispondo in modo molto semplice, cercando di spiegare che, per esempio, pratico lo sci nordico soprattutto per il contatto con la natura pur avendo avuto un passato agonistico e cimentandomi ancora in qualche garetta. Non vedo l’arrampicata agonistica sulla “plastica” come un pericolo per la scalata intesa nel senso più filosofico e ideale del termine, semplicemente perché ho attraversato una buona parte della sua recente evoluzione: dal post – Nuovo Mattino alle prime gare, per poi arrivare alla separazione dell’arrampicata agonistica dal restante mondo “verticale”. E quando qualcuno, ancora, s’indigna per l’aggettivo “sportiva” o peggio ancora “agonistica” riferito all’arrampicata, un po’ sorrido. Del resto, non ho mai capito veramente cosa ci sia d’indicibile nel considerare l’alpinismo “anche” uno sport. A chi sostiene che l’alpinismo non è uno sport, ribatto che non vi è nulla d’indegno nel considerarlo tale. Semmai, per le ovvie motivazioni che ho più volte espresso nei miei scritti, dico che non può essere considerato “solo” uno sport. Ecco perché, dunque, non mi trovo per niente fuori posto tra gli appigli di “plastica” a insegnare i valori dello sport ai più giovani. Non sono né un illuminato né un “pentito”. Semplicemente nella mia testa ho ben chiaro che cosa sia l’alpinismo.

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