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2 Gennaio 2018

Climbing · Vertical · Alpi Orientali · Aree Montane · Italia · Trentino Alto Adige

Alfredo Webber, il climber lavoratore, firma a 48 anni il suo primo 9a – l’intervista

Alfredo Webber. Foto: Matteo Pavana

“Alimentazione, lavoro e famiglia sono stati i miei pezzi di puzzle da incastrare in maniera perfetta per arrivare ai vertici dell’arrampicata”. E non è ancora finita

di Massimo Dorigoni

Alfredo Webber, trentino della val di Non, a metà ottobre corona un sogno. Nella falesia di Massone di Arco sale la sua prima via di arrampicata sportiva gradata 9a, “Tunder Ribes”. Già in tempi passati lo stesso climber si era contraddistinto salendo vie di grande impegno sia fisico che mentale dimostrando che l’età alla fine è solo un semplice dettaglio. Alfredo infatti ha 48 anni e il fatto di essere ancora al vertice dell’arrampicata gli fa onore. Lui, climber non professionista ma per passione, e questo lo rende ancora più misterioso e tutto da scoprire, dedica il suo tempo libero a allenamento, studio di movimenti e ricerca della prestazione.

Nella vita di tutti giorni è un assiduo lavoratore, passa l’intera giornata in cava con un grande dispendio di energie ma questo non lo fa desistere dal presentarsi in falesia e concentrarsi su microappoggi e microappigli cercando di migliorarsi sempre più. Una forza di volontà al di fuori dal comune, che lo rende in qualche modo unico. Ci ha fatto qualche confidenza prima di iniziare quella che si è poi rivelata una semplice ma entusiasmante serata promossa a San Lorenzo in Banale, una delle porte del Parco Naturale Adamello Brenta, dalla sezione Sat locale.

Alfredo Webber. Foto: Matteo Pavana

Un’esperienza che comincia sicuramente da lontano. Ti sei ispirato a qualche climber in particolare?
L’ispirazione più importante l’ho avuta sicuramente da un grande personaggio e precursore dell’arrampicata sportiva: Roberto Bassi. Ho iniziato ad arrampicare ispirato da una sua foto che lo ritraeva in arrampicata alla spiaggia delle lucertole, falesia a strapiombo sul lago di Garda. Successivamente ho cominciato ad arrampicare con i miei amici e dopo un paio d’anni mi sono ritrovato, quasi per magia e segno del destino, ad arrampicare con lui sulle pareti della Valle del Sarca. Roberto era per me una persona speciale, non solo per l’arrampicata, ma sotto il profilo umano.

Quali le motivazioni che ti hanno portato fino a qui, al 9a?
A portarmi fin qui è stata l’ambizione, il mio voler arrivare a tutti i costi. Certamente ci sono voluti tanti sacrifici. Alimentazione, lavoro e famiglia sono stati i miei pezzi di puzzle da incastrare in maniera perfetta. Ho fatto una pausa di cinque anni tempo addietro, mi sono sposato, ho costruito casa, ho perso mio padre, questo ha un po’ frenato il mio cammino. Poi sono tornato ad arrampicare. La sentivo come un’esigenza.

Alfredo Webber. Foto: Matteo Pavana

Qual è il segreto per un’attività così proficua e longeva?
Direi che costanza, determinazione, allenamento e metodo settimanale sono quello che possiamo definire alla fine quello che per me è poi diventato uno stile di vita. A me tutto ciò non pesa. Amo allenarmi.

Climber non professionista, via dai riflettori per scelta?
Nei primi anni novanta l’azienda La Sportiva mi regalava le scarpette ma personalmente non mi trovavo bene. Nel corso di una stagione avevo provato un altro paio di scarpe e allora ho rifiutato. Ho scelto già da quel piccolo segnale di essere libero, di non dover accettare per forza determinati compromessi o raggiungere a tutti i costi dei risultati.

Alfredo Webber. Foto: Matteo Pavana

Un sogno raggiunto, di solito lascia subito al posto a un altro. Quale il tuo futuro verticale?
Sicuramente sì. Il prossimo traguardo sarebbe, e qui uso il condizionale, mettere un più a quel 9a o addirittura riuscire a cambiare la lettera e raggiungere il 9b. Ho quasi cinquant’anni e lo vedo impegnativo ma conoscendomi non lo vedo però un traguardo impossibile.

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