A Riva del Garda, in occasione di ORBDAYS 2025, è stata presentata la prima indagine sulla maturità ESG dell’industria outdoor italiana. Un settore diviso tra eccellenze e ritardi, pronto a raccogliere la sfida della sostenibilità.
L’industria outdoor italiana è al centro di una transizione necessaria. In occasione della undicesima edizione di Outdoor & Running Business Days, l’evento trade di riferimento in Italia per il mercato outdoor e running organizzato dal gruppo MagNet, è stata presentata la prima ricerca nazionale, promossa da Green Media Lab con il supporto di Italian Outdoor Group, dedicata allo stato di maturità ESG del comparto: un’analisi che per la prima volta misura in modo sistematico l’integrazione dei temi ambientali, sociali e di governance nelle strategie e nella comunicazione delle aziende del settore.
Lo studio ha preso in esame 20 realtà italiane (Tecnica, Vibram, La Sportiva, Grisport, Scarpa, Montura, Oberalp, F.lli Campagnolo, Ferrino, Aku, Garmont, Manifattura Valcisom/ Karpos Outdoor, Asolo, Garsport, C.A.M.P., Kong, Mondeox, Zamberlan, Crazy, MGM) con fatturato superiore ai dieci milioni di euro, valutandole sulla base di dieci indicatori chiave, tra cui la presenza di un piano strategico ESG, l’adozione di pratiche di eco-innovazione, la gestione della filiera produttiva, la strategia climatica e le politiche di Diversity & Inclusion. A integrazione dell’indagine, è stata realizzata anche una fase qualitativa, rivolta alle aziende con le performance ESG più basse, attraverso una survey dedicata. L’obiettivo era indagare le ragioni della scarsa o mancata comunicazione degli impegni ambientali e sociali. Tra le motivazioni più frequenti sono emerse la carenza di risorse economiche, la mancanza di dati strutturati e l’assenza di una solida misurazione dell’impatto. Questi elementi confermano un approccio prudente, legato alla percezione del rischio reputazionale e al fenomeno del greenhushing. I risultati restituiscono un quadro fortemente polarizzato: da un lato, alcune aziende hanno già intrapreso percorsi strutturati con obiettivi misurabili e allineati agli standard internazionali; dall’altro, molte realtà non mostrano ancora elementi minimi di governance sostenibile né forme efficaci di rendicontazione e trasparenza.
A fronte di queste fragilità, la ricerca evidenzia però anche segnali incoraggianti. L’80% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver ricevuto richieste o pressioni su tematiche ESG da parte di clienti, distributori o fornitori, segno che il mercato sta spingendo verso una maggiore responsabilità. Tra le aziende meno strutturate, la totalità afferma di avere intenzione di avviare un percorso ESG nei prossimi tre anni, dimostrando una crescente consapevolezza del cambiamento necessario. In molti casi, il desiderio di evolvere si scontra con ostacoli concreti: mancano risorse economiche, strumenti per misurare l’impatto reale delle azioni e, soprattutto, una cultura organizzativa pronta a integrare la sostenibilità come leva strategica.
Un dato interessante riguarda il fenomeno del greenhushing: 3 aziende su 5 dichiarano di aver avviato iniziative sostenibili, ma di non comunicarle per timore di esporsi senza dati strutturati o risultati solidi. Questa prudenza riflette una tensione diffusa tra volontà e capacità, tra l’intenzione di agire e la difficoltà di farlo in modo credibile.
La ricerca, oltre a fotografare lo stato attuale, si propone come uno strumento di orientamento per il futuro. Rafforzare la governance, migliorare la trasparenza e attivare sinergie lungo tutta la filiera sono oggi le priorità per un settore che vuole crescere in modo coerente con le sfide ambientali e sociali del nostro tempo. Il cammino è appena cominciato, ma la direzione è tracciata.
INFO: Outdoor Business Days