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30 Ottobre 2025

Alpinismo e Spedizioni · Vertical

Silvan Schüpbach: il Khatang resta inviolato. “Una sconfitta che insegna molto”

Silvan Schüpbach fallimento

È rientrato in Svizzera con un bagaglio di emozioni contrastanti l’alpinista Silvan Schüpbach, reduce da una difficile spedizione in Nepal. Insieme a Filippo Sala e Stephan Siegrist, aveva puntato all’imponente parete sud del Khatang (circa 6800 metri), una montagna ancora priva di salite documentate. L’obiettivo, ambizioso e tecnicamente impegnativo, è però sfumato di fronte a condizioni meteorologiche proibitive e a problemi di acclimatazione.

“È stata una prova dura, ma anche un’esperienza che mi ha ricordato quanto l’alpinismo sia soprattutto umiltà e apprendimento”, ha raccontato Schüpbach al suo rientro.

Un inizio sotto il segno del monsone

La spedizione era partita con il piede giusto: in soli tre giorni il team aveva raggiunto il campo base partendo da Kathmandu, grazie a un’organizzazione impeccabile. Tuttavia, la stagione monsonica non aveva ancora ceduto il passo: “Era come vivere dentro una nuvola – visibilità quasi nulla e giorni interi chiusi in tenda”, spiega Schüpbach. Pioggia e neve hanno condizionato ogni fase dell’avvicinamento, rendendo difficoltosa anche l’acclimatazione, interrotta più volte da episodi di mal di montagna.

Il campo base distrutto e la fuga dalla tempesta

Il momento più critico è arrivato con una violenta tempesta di neve che ha investito l’intero settore himalayano. “Abbiamo dovuto abbandonare il campo base in fretta e rifugiarci in una casa vicina — nevicava in modo impressionante”, scrive l’alpinista svizzero nel suo report.
Durante l’assenza del gruppo, i cuochi e il personale di supporto hanno smontato il campo tra le raffiche di vento, cercando di salvare il materiale. Quando il tempo è migliorato, la squadra ha ricostruito il campo e tentato una nuova salita per acclimatarsi.

Ma la montagna non ha fatto sconti: a quota 5300 metri, il deposito dei materiali era stato travolto dal crollo di un seracco. “Abbiamo ritrovato parte dell’attrezzatura sepolta dal ghiaccio e dai detriti”, racconta Schüpbach.
Nonostante la fatica, i tre hanno raggiunto i 5600 metri, aprendo la traccia nella neve profonda per due giorni consecutivi. Poi, l’ennesimo ostacolo: un nuovo episodio di mal di montagna li ha costretti a ritirarsi al campo base.

Silvan Schüpbach spedizione

Una resa consapevole

Nei giorni successivi, finalmente, il cielo si è schiarito. Ma ormai la spedizione aveva esaurito forze e possibilità. “Vedere il sole dopo settimane di maltempo e non poter tentare nulla è stato difficile da accettare”, confessa Schüpbach. Le condizioni fisiche dei compagni, unite alla mancanza di permessi per un’eventuale alternativa, hanno sancito la fine del progetto: “A quel punto, le probabilità di successo erano minime, qualunque decisione avessimo preso.”

Il Khatang, per ora, resta inviolato. Ma Schüpbach guarda avanti con serenità: “Ogni viaggio in Himalaya è un insegnamento. Tornare a casa sani e con nuove motivazioni è già un traguardo.
Nel suo racconto emerge la consapevolezza di chi, dopo anni di successi, ritrova nel fallimento una dimensione autentica: “Mi sono reso conto di quanto davo per scontato di raggiungere la vetta. Questa volta no — e proprio per questo, ho imparato di più.”

Foto credits: Facebook – Silvan Schüpbach

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