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10 Ottobre 2006

Avventura · Interviste · Mountain Blogger

TRE DONNE ATTRAVERSO LO HIELO PATAGONICO Intervista ad Antonella Giacomini Mountain Blog seguirà la spedizione per raccontarvela

Antonella Nadia ed Eloise - Copyright: Manrico Dell'AgnolaChe cosa può spingere tre donne ad affrontare, da sole e per 50 giorni o più, l’inferno di un ghiacciaio patagonico per attraversarlo con gli sci in tutta la sua lunghezza – 400 chilometri – trascinandosi tutto il necessario per sopravvivere su di una slitta dopo averne guadagnato la sommità a piedi risalendo da un fiordo oceanico e trasportandosi tutto il materiale a spalle – slitte comprese – e sapendo che in fondo alla traversata la distesa di ghiaccio si conclude con una faglia, una frattura, un dislivello di duecento metri di crepacci mobili da cui sarà necessario calarsi per essere, infine, fuori?

Le tre donne in questione sono Antonella Giacomini, Nadia Tiraboschi ed Eloise Barbieri, e proprio oggi 10 ottobre inizia la loro avventura: attraversare, in completa autonomia – cioè senza aiuti e rifornimenti lungo il tragitto – lo Hielo Patagonico Sur, un ghiacciaio continentale sudamericano che si sviluppa per 400 chilometri in territorio prevalentemente cileno ed in parte argentino; la spedizione è patrocinata dalle sezioni CAI di Belluno e Bergamo. 
Per capire che cosa significa una simile avventura, per poter comprendere che cosa può spingere anche solo a concepirla, e che cosa caratterizzi una spedizione interamente femminile rispetto ad una maschile o mista, Mountain Blog ne seguirà gli sviluppi, raccontandone non solo la "cronaca" ma anche le impressioni, le aspirazione e le idee che ne stanno alla base.

Qualche settimana fa – a preparativi già febbrili e in stato avanzato – ho incontrato Antonella Giacomini, che di questa spedizione è l’anima ispiratrice ed organizzatrice, dopo aver fatto parte della spedizione che nel 2002 ha attraversato lo Hielo Patagonico per un terzo prima di dover abbandonare causa il maltempo, con il marito Manrico Dell’Agnola, e con Giuliano De Marchi e Luigi Zampieri.

D: nel 2002 eravate una donna e tre uomini, quest’anno sarete tre donne da sole; come mai?
Fitz Roy e Cerro Torre dallo Hielo Continental - © Manrico Dell'AgnolaR: è stata proprio l’esperienza del 2002 a portarmi a pensare di fare una spedizione di sole donne: sono convinta che un’esperienza di questo genere, in cui è richiesto un livello di sopportazione molto alto, sia più adatta a delle donne che a degli uomini. Non è una questione di femminismo, semplicemente – a forza di fare spedizioni con gli uomini – mi sono accorta che le donne hanno una capacità di sopportazione, una tolleranza al dolore e alle situazioni disagevoli che forse è superiore a quella degli uomini. I miei compagni sono sempre stati compagni eccezionali: sono abituata a fare spedizioni con Giuliano De Marchi e con mio marito Manrico; è una vita passata facendo spedizioni in giro per il mondo! Ma io dico sempre che la donna – per il fatto di essere fisiologicamente nata per sopportare questo dolore tremendo che è quello del parto – è capace di far fronte a situazioni di questo tipo che sono non di estrema sofferenza magari, ma estremamente scomode, e richiedono la capacità di andare avanti a testa bassa senza lamentarsi.
Allora nel 2002, appena tornati avevo subito esordito dicendo “la prossima volta non voglio più uomini tra i piedi ma solo delle compagne donne che la pensino come me!”, e così ho fatto: ci sono voluti anni per preparare la cosa ma ora ce l’abbiamo fatta.

D: oltre alla capacità di tolleranza e sopportazione maggiori, si può dire che le donne abbiano anche un approccio diverso a queste cose rispetto agli uomini?
R: credo di sì, saperti dire esattamente quale sia la diffrenza dell’approccio non saprei, dico sempre che in realtà le donne che si cimentano in questo tipo di cose non è che lo facciano perchè siano dei mezzi uomini o degli uomini mancati: in realtà lo fanno perché sono in grado di fare le stesse cose che fanno tanti uomini però con uno spirito diverso, delle motivazioni e un atteggiamento diverso, che è quelo tipico della donna. Io non credo che noi si vada lì per metterci alla prova e dimostrare qualcosa; oddio, è ovvio che speriamo di arrivare in fondo e di dimostrare ai nostri compagni che siamo capaci di muoverci anche da sole, questa è una piccola sfida tra di noi, ma non è che andiamo lì con l’idea di dimostrare al mondo intero che siamo più brave e più forti. Sia io che Nadia conosciamo la Patagonia e la amiamo come ambiente, proprio per la sua durezza; Elise non la conosce e si è lasciata coinvolgere da noi, e sappiamo che è il personaggio giusto per un’esperienza di questo tipo; per cui in realtà siamo mosse dalla voglia di metterci alla prova e di fare una cosa che riteniamo bella e che comunque saremo le prime a fare in ogni caso, e questo è altamente motivante, tanto quanto lo può essere per una spedizione maschile.

Fronte di ghiacciaio patagonico - © Manrico Dell'AgnolaD: finora nessuna donna ha mai attraversato lo Hielo Patagonico?
R: nessuna donna ha mai attraversato completamete il ghiacciaio, e salvo cambiamenti di questi ultimi anni, io rimango la donna che ha fatto l’attraversamento più lungo; e come spedizioni, non sono aggiornatissima, ma quelle maschili che sono riuscite a fare completamente il giacciaio sono solamente tre, di cui due in totale autonomia, mentre una terza ha messo dei depositi di cibo lungo strada. Quindi si tratta di una cosa che non riesce neanche agli uomini: in tanti si sono cimentati, in tanti fanno alcuni pezzi, però la traversata da nord a sud rimane una cosa estremamente impegnativa; l’ultimo che l’ha fatta è il norvegese Borg, quello che ha fatto Polo Nord, Polo Sud, e ha un curriculum mostruoso di spedizioni artiche in genere.

D: le tue due compagne non hanno mai visto questo ghiacciaio…
R: no, Nadia Tiraboschi ha un curriculum in Patagonia strepitoso dal punto di vista dell’arrampicata, perché ha fatto la Maestri al Torre, ha salito il Fitz Roy, e quindi conosce molto bene la Patagonia; tra l’altro a lei invidio moltissimo il fatto di aver conosciuto il Fitz Roy anche nell’aspetto più completo, per il fatto di essere stata amica di Casimiro Ferrari, di stare nella sua estancia, di andare a caccia con lui, e quindi di aver vissuto la Pataonia dei c
avalli, della vita dei gauchos; però il ghiacciaio, lei dice che l’ha sempre visto dall’alto, dalle pareti, e avrebbe sempre desiderato andarci e qui sono arrivata io a proporglielo…

Antonella Giacomini, sullo sfondo il Cerro Torre - © Manrico Dell'AgnolaD: quindi la capospedizione sei tu, se non altro in virtù dell’esperienza maturata essendoci già stata?
R: sì, almeno un pezzo del ghiacciaio so com’è, so come sono le condizioni climatiche anche se comunque non sono come quelle delle montagne: sul ghiacciao le condizioni sono molto più umide rispetto alle cime perché c’è tutta la nebbia che sale dall’Oceacno Pacifico, che è veramente noiosa; l’attacco è lungo i fiordi poco sotto il ghiacciaio e una delle cose particolarissime è il sapore salmastro che si può sentire stando sul ghiacciaio; credo che non succeda in nessun altro posto del mondo

D: che tipo di relazioni possono svilupparsi, in 50 giorni, fra tre donne in una situazione così estrema? Da quanto tempo vi conoscete?
R: a dire la verità, a parte io ed Elise che già ci conoscevamo, ci siamo trovate proprio a motivo dello Hielo Patagonico: la cosa che ci accomuna è di esser tutte e tre atlete testimonial per una azienda; io sono stata la prima a confidare all’addetta alla comunicazione di questa azienda i miei progetti e da lì è nata l’idea di coinvolgere Nadia, che per tecnica su ghiaccio è sicuramente superiore a tutte noi: è guida alpina e ha un’esperienza incredibile da quel punto di vista. Quindi abbiamo cominciato a frequentarci proprio per questo progetto: prima io ed Elise siamo state sul Rosa insieme, e poi ci siamo viste con Nadia.
Le relazioni che possono scaturire… beh, in spedizione la convivenza diventa sempre difficile ogni qual volta ci si trova in situazioni di grande tensione, tanto più se questa convivenza è estremamente ravvicinata; questo è normale e vale per una spedizione maschile come per una spedizione mista. Io vengo dall’ambiente sportivo e dall’ambinete di squadra, e so che le relazioni tra i maschi sono molto diverse da quelle tra donne: i maschi hanno sicuramente la capacità di arrabbiarsi e tirarsi un pugno negli occhi però poi la cosa finisce lì; tra le donne invece scattano dei meccanismi pazzeschi dove le cose non sono dette o sono mezze dette e poi rimangiate: a livello psicologico può essere molto più logorante. Cosa succederà tra di noi non lo so e non lo posso dire: le mie compagne mi sembrano comunque delle persone estremamente equilibrate, sono abituare a stare in spedizione e sicuramente c’è una tolleranza allo stress altissima. Il numero tre in realtà a me non piace: non mi è mai piaciuto fin dall’inizio perché tre significa poter essere due contro uno, e questo non mi piace, preferivo fossimo in quattro ma la quarta non è saltata fuori da nessuna parte…

D: era difficile da trovare?
R: sì era difficile da trovare, perché comunque una donna che fà cose di questo genere normalmente è una donna che ha fatto una scelta di vita che si allontana un po’ da quello che è la tipica donna: magari non è sposata, magari non ha figli e ha deciso di investire tutto in quello che fa, ne ha fatto una professione; anche se io poi rappresento l’esatto contrario di tutto questo, perchè sono una madre e ho una famiglia

Risalendo il ghiacciaio Jorge Montt - © Manrico Dell'AgnolaD: cosa comporta partire per una spedizione quando a casa si lasciano famiglia, una figlia, i problemi della scuola, la cartella da preparare alla sera?..
R: quello è un disastro, anche oggi io ero con delle amiche e una di queste mi diceva “ti vedo stanca, dovresti riposarti prima di partire, ma mi rendo conto che la tua stanchezza nasce dalla preoccupazione di quello che lasci più che per quello che vai a fare”. E infatti è vero, sono comunque scelte pesanti, perché effettivamente io ho una famiglia, una figlia, un lavoro, ho una vita “normale”, e nel momento in cui io faccio scelte di questo genere, queste non ricadono solo su di me ma anche sugli altri, sulla mia famiglia, e questo ha un grossissimo peso.
Molti si chiedono perché una madre faccia scelte di questo genere: innanzitutto gioca a mio vantaggio e svantaggio il fatto di avere un compagno che fa e ha sempre fatto scelte analoghe; avessi un marito che invece non condivide quello che io faccio sarebbe da un lato più comodo, dall’altro più difficile; invece questa situazione forse mi avvantaggia e negli anni mi ha portata a pensare che io sono quello che sono e mia figlia è quello che è perché io comunque sono così, e quando ritorno da queste esperienze le porto in casa, e la nostra famiglia è strutturata così proprio per quello che facciamo. Certo mia figlia non è per niente contenta del fatto che io parta, ma è comunque una bambina che ha girato mezzo mondo, ed è una bambina che respira un’aria sicuramente diversa da quella di una famiglia d’altro genere.
Credo che un’esperienza come la nostra sia passibile di critiche, proprio perché io ad esempio potrei stare a casa a fare la madre, ma anche se a volte mi viene da pensare che se fossi da sola sarebbe tutto più semplice, non avrei mai rinunciato alla felicità di essere madre per l’avventura e l’alpinismo.

D: in un’intervista a Glowacz abbiamo parlato del significato moderno di avventura; si può chiamare avventura quella che state per fare?
R: dipende dal significato che vogliamo dare al termine avventura: io dico sempre – quando mi capita di parlare con la gente, o di fare delle serate – che l’avventura è in riferimento a chi la fa: quindi se una persona che non è mai andata oltre la collina decide di lanciarsi e dice “voglio assolutamente andare in cima al Pizzocco” – che è la montagna che abbiamo qui di fronte [siamo in provincia di Belluno] – e lo fa e ci arriva, beh, quella è un’avventura: perché deve essere meno della mia avventura sullo Hielo Patagonico?
Mi sta bene chiamarla avventura anche la mia, perché non so bene dove arriverò, non ne conosco tutti gli aspetti, perché ci sono degli aspetti imprevedibili, di più di quelli del quotidiano, e non so come reagirò io…

D: nel 2002 di questo ghiacciaio ne avete percorso solo un terzo, prima di essere costretti ad abbandonare a causa del maltempo: hai messo in conto la possibilità di non poter arrivare in fondo anche questa volta?
R: sicuramente, le probabilit&ag
rave; di arrivare in fondo sono veramente poche perché per quanto siano solo 400 km e le difficoltà tecniche riguardino solo la parte finale, vediamo che anche delle spedizioni maschili ne sono arrivate solamente tre in fondo, proprio perché il tempo atmosferico è proibitivo e il fatto di farlo in totale autonomia significa avere dei carichi pazzeschi sulle slitte, e avere soprattutto nella prima parte un percorso assolutamente non agevole per le slitte, e quindi dover fare più viaggi con gli zaini per portare il materiale. Sicuramente lo abbiamo messo in preventivo; quello che vogliamo a tutti i costi è uscire più in là di dove siamo arrivati nel 2002…

Intervista di Andrea Bianchi.
© Etymo gmbh-srl.