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30 Marzo 2015

Racconti · Annapurna · Annapurna III · Italo Zandonella Callegher · Nar Phu Valley · nepal · racconti · Tibet · Trekking · valle del Marsyangdi · Valle della Kali Gandaki

NAR-PHU VALLEY

Ponti di legno senza protezione nella valle di Nar Phu. Foto: Italo Zandonella Callegher

Ponti di legno senza protezione nella valle di Nar Phu. Foto: Italo Zandonella Callegher

C’è una valle sconosciuta aperta al trekking da pochi anni e frequentata da rari appassionati di cose strane. Si apre con un caratteristico portale roccioso subito oltre Koto, dolce villaggio nepalese nella media valle del fiume Marsyangdi, per allungarsi verso il Tibet con due rami distinti. Siamo oltre l’Annapurna. Qui, in teoria, il monsone non è di casa perché bloccato dalla grande barriera himalayana. In pratica arriva, eccome! Tant’è che a metà ottobre del 2014 una terribile tormenta di neve ha portato il manto a oltre un metro in poche ore e le valanghe hanno provocato la morte di una trentina di persone nella zona di Manang, Mustang, Nar e Phu. Locali e trekkers, senza distinzione. La stampa di Kathmandu parlava anche di circa 300 yak travolti dalla furia devastatrice.

Nella Nar Phu Valley si entra con un permesso speciale della durata di sette giorni dopo aver denunciato il passaggio al posto di polizia di Koto, presso il ponte sul Nar Khola. Il costo dell’autorizzazione governativa è di circa 100 Euro, oltre a 20 Euro per l’entrata nell’Annapurna Conservation Area (meglio fare le pratiche a Kathmandu). Sette giorni, se tutto va bene, bastano per raggiungere Phu, quindi Nar e il Khang La a 5306 metri. Da qui si esce dalla valle e si scende a rompicollo fino a Manang ai piedi dell’Annapurna III. Segue il rientro a Kathmandu per la Marsyangdi oppure per il Thorong La, un alto passo (circa 5500 m) che segna l’ingresso nella Kali Gandaki. Mediamente sedici-venti giorni di cammino.

Il gruppo dell’Annapurna sfila immenso a sud della Nar Phu Valley, mentre a nord si susseguono gli alti dirupi che terminano oltre 7000 metri sul confine con il Tibet. Qui svettano decine di grandi montagne ai più sconosciute, fra le quali primeggiano il formidabile Himlung 7126 metri, il piramidale Pokarkang 6372 metri e il Kang Garu di pochi metri sotto i 7000.

Nella parte bassa della valle, dai 2600 ai 3500 metri circa, corre il Nar Khola, un corso d’acqua impetuoso e profondamente scavato nella roccia tanto da formare dei canyons di sorprendente bellezza. Un altro ramo, che è un torrente impetuoso quand’è in piena, si stacca verso nord ed è il Phu Khola. Al vertice di questi solchi stanno due soli villaggi: Phu a nord e Nar a ovest, entrambi sui 4200 metri di quota, incredibilmente isolati. La gente vive di pastorizia, di misera agricoltura (orzo, miglio, patate) e, soprattutto, della raccolta dello Yartsa Gumba (Ophiocordyceps sinensis), un fungo miracoloso che cresce fino a 5000 metri, molto richiesto dalla medicina orientale, con fama di essere un potente viagra naturale. Il suo valore può raggiungere in Cina il prezzo di 30.000 dollari al chilo. Solo gli abitanti di Nar e di Phu possono raccogliere questo fungo, e solo nei loro territori. Chi fa il furbo incorre in grossi guai. Nel 2009 sette cercatori venuti da fuori sono stati uccisi, smembrati e gettati in un profondo burrone. Il processo è finito nel 2013 con diciannove condanne oltre ad alcuni ergastoli.

La porta di Phu. Foto: Italo Zandonella Callegher

La porta di Phu. Foto: Italo Zandonella Callegher

Quando dopo una curva appare Phu o da una cresta si scorge Nar, è impossibile non accostare queste visioni a film di storia medioevale. Sono villaggi di pietra, con muri a secco, pergole di paglia, terrazze di terra battuta che sostengono l’abitazione sottostante che sorge sopra un’altra e così via. Una torre di Babele di dimore miserrime, messe a piramide per risparmiare il poco terreno coltivabile fra i massi e i torrenti. “Surreale”, ha esclamato uno dei tre compagni di viaggio. Difatti ciò che si vede oltrepassa la dimensione della realtà; è “un’atmosfera fantastica, irreale, kafkiana, onirica, visionaria, assurda, inverosimile”. Proprio così, come il “surreale” della Treccani.

Per giungere al “medioevo” il trekking risale strettissime gole. Ti porta a scorgere animali rari dalle grandi corna, ti conduce su spettacolari sentieri che percorrono zigzagando le piccole valli laterali, traversa ampie radure cosparse di allucinanti insediamenti scheletrici e abbandonati, già dimora dei ribelli khampa, tibetani fuggiti negli anni Sessanta dalla loro terra invasa. I loro villaggi in rovina (il governo nepalese fu costretto a farli sloggiare dalla valle, insediandoli altrove in Nepal, perché la loro presenza aveva sconvolto le già magre risorse) si profilano ai margini delle piane di Jhunam a 3640 metri, di Chyakhu 3800 metri, di Khyang 3900 metri. Viste di notte, le rovine sembrano paurosi grafici di chissà quale Borsa finanziaria fallimentare.

Methang 3610 metri è un ampio anfiteatro al centro del quale sorge un semplice locale che offre qualche letto e un pasto caldo. È l’unico della valle. Un altro è a Phu, un altro ancora a Nar dove le valli si chiudono; tutto qui! Motivo per cui è bene essere autosufficienti, avere una tenda, la cucina, il cuoco, i portatori e la guida. Il costo sale di un po’, ma vuoi mettere… Mangi bene, sei guidato e protetto, non porti pesi. E, cosa molto apprezzata dai nepalesi e dalle nostre coscienze, dai la possibilità a una decina di fantastici poveri cristi di guadagnare qualcosa. In quindici giorni intascano rupie come in un anno a spaccar sassi… Insomma: per noi che siamo in vacanza sono pochi euro in più, per loro è una manna dal cielo e te ne saranno grati. Faccio fatica a sopportare quegli “sfigati” (pochi gli italiani, a dire il vero) che girano da soli con trenta chili sulle spalle, mangiano male, dormono da cani, non danno un cent di guadagno a nessuno.

I due ponti (uno antico di legno) sulla gola che divide la valle di Phu da quella di Nar. Foto: Italo Zandonella Callegher

I due ponti (uno antico di legno) sulla gola che divide la valle di Phu da quella di Nar. Foto: Italo Zandonella Callegher

Presso Methang c’è il campo base per il Kang Garu in un luogo poco raccomandabile. Qui nel 2005 in poche ore cadde un metro e mezzo di neve e una valanga travolse un’intera spedizione alpinistica francese riparata nelle tende in attesa che si plachi la tormenta: 7 francesi e 11 nepalesi trovarono la morte trascinati entro le tende nel profondo canalone che si apre ai margini della radura.
Oltre Methang il sentiero si fa più “serio”, tortuoso, scomodo. Attraversa un labirinto di morene glaciali, tutto un su e giù di “montagne russe”, guadi di torrentelli che sgorgano dalle ghiaie, passaggi scomodi su sentierini ghiacciati che le numerose valanghe hanno spazzato via…, fino alla squallida, ma panoramica piana di Khyang. Da qui si vedono in tutta la loro grandezza l’Annapurna II 7937 metri, il Pisang Peak 6091, il Gyaji Kang 7030 e il Tilje 6530.

Da Khyang si entra nella stretta gola del Phu Khola, si traversa un tratto di sentiero vertiginoso scavato nella parete rocciosa e si sale una scalinata di roccia. Qui, con un po’ di fortuna, si scorgerà sulla parte opposta della gola il pascolo delle pecore azzurre.

Poi si entra in un mondo di fiaba. Il sentiero, quasi in piano, passa a lato di alcune torri erose bagnate dal torrente, sfiora una gigantesca candela di arenaria e inizia a salire ripidamente verso una strana “cosa” che si scorge in alto. È l’ingresso il portale di Phupi Gyalgoe, la “porta di Phu”. È senza dubbio la più bella del Nepal. Oltre questa si entra nel territorio di Phu, si supera uno dzong antica fortezza in rovina, si oltrepassa una serie di graziosi chorten, poi un muro mani e alcune grotte in alto sul costone. È qui che appare Phu, la “surreale” (4070-4200 metri), in tutta la sua unicità. Passato il ponte sospeso si entra alla base del villaggio di pietra mentre lungo le viuzze aeree della “babele piramidale” salgono mucche e capre, donne e bambini, uomini e cani. E due trekkers francesi, unici occidentali incontrati in tutta la valle.

Phu dal monastero Tashi Lhakhang. Foto: Italo Zandonella Callegher

Phu dal monastero Tashi Lhakhang. Foto: Italo Zandonella Callegher

Ho conosciuto il Nepal attraverso otto trekking d’alta quota, un po’ ovunque, ma una bellezza/stranezza simile non l’avevo mai vista. Specie dall’alto della collina adiacente dove sonnecchia, a 4200 metri di quota in posizione straordinariamente panoramica, il gompa (tempio buddista tibetano) di Tashi Lhakhang abitato da tre ani (monache buddiste) che si fanno in quattro per descrivere la grande sala delle preghiere, decorata con trombe cerimoniali e foto dell’attuale Karmapa, (significa: “incarnazione di tutte le attività di Buddha”) anche lui fuggito in India. Sullo sfondo si slancia nell’azzurro intenso una piramide di roccia e di ghiaccio, solitaria e perfetta: è il Pokarkang. Bellissimo.

Il tempo è splendido e un giorno di riposo a Phu ha regalato uno dei giorni più belli del mio peregrinare.

La piramide perfetta del Pokarkang. Foto: Italo Zandonella Callegher

La piramide perfetta del Pokarkang. Foto: Italo Zandonella Callegher

La discesa verso Nar Phedi a 3550 metri riserva altre sorprese.

Tutta la valle superiore è cosparsa di resti di valanga. Alcune bandierine segnano ancora il luogo dove qualcuno attende di essere recuperato. Il percorso è faticoso, su ghiaccio e fenditure. Emerge la pena per gli sfortunati che qui, 15-20 giorni fa, hanno trovato una morte assurda.

Per raggiungere l’ardito ponticello, lungo appena dieci metri, che traversa la profonda forra della valle di Phu e immette in quella di Nar, si deve scendere molto ripidamente per un costolone che altro non è se non una serie di torri rocciose in completo sfacelo, unite una all’altra da fatiscenti ponticelli di legni e lastre. Un percorso rocambolesco, funambolico, che da noi sarebbe stato chiuso al passaggio ancor prima dell’inaugurazione. Ma non siamo “da noi” e se vuoi passare dall’altra parte questa è l’unica via. Al di là c’è il sentiero per Nar. Ma sorge anche, nel pieno di un deserto di sassi, dove non c’è nessuno e niente, neppure una catapecchia, neanche un segno di civiltà o altro…, uno dei più maestosi monasteri buddisti che abbia visto, nuovo di zecca, coloratissimo, ben tenuto, dimora di alcune monache coraggiose, lo Yunkar Gompa.

Lo Yunkar Gompa di Nar Phedi. Foto: Italo Zandonella Callegher

Lo Yunkar Gompa di Nar Phedi. Foto: Italo Zandonella Callegher

C’è solo il vento qui a lamentarsi e a sollevare un po’ di polvere sull’attuale completa clausura. Poi ritorneranno i monaci studenti e con loro la vita. Quella sera si farà cena in “convento” e si dormirà nel gompa dentro una cameretta colorata che sa di incenso, usata dai giovani apprendisti monaci, ora “in ferie”. È stata una sera all’insegna di un misticismo mai provato, complice un buio nero come la pece e miliardi di stelle lucenti nel silenzio assoluto.

Un sentiero ripidissimo porta in alto, a Nar, villaggio disteso in una conca ariosa fra montagne altissime. Lo domina il Pisang Peak da sud, il Kang Garu da ovest. Prima del villaggio si passa la solita porta che indica l’ingresso nel territorio. È una porta trasandata, quasi brutta, mal fatta; nulla a che vedere con quella straordinariamente coreografica di Phu. Per l’ennesima volta devo constatare che dove c’è povertà (e lo è a Phu) la fede è più sentita e le tradizioni sono più rispettate; dove c’è un tenore di vita migliore (e lo è a Nar) la gente sente meno il bisogno di confrontarsi con un qualche dio. Il paese sorge a circa 4200 metri e quello è il giorno “della carne”.Alcuni yak vengono macellati nella pubblica piazza, senza pietà alcuna, senza tanti permessi e ispezioni igienico-sanitarie. Un fendente alla gola con il khukuri (coltello nepalese di grandi dimensioni, anche 30-40 cm e più, usato sia come attrezzo da lavoro che come arma; fa parte dell’equipaggiamento dei famosi soldati Gurka) e tutto finisce lì. Con lo stesso attrezzo il bue viene fatto a pezzi, poi giungono alcuni portatori, caricano le gerla con 50 chili di carne fresca e via per la consegna. Il villaggio “importante” più vicino è Chame nella valle del Marsyangdi; un giorno e mezzo di viaggio l’andata, molto di più il ritorno perché laggiù la birra costa meno ed è così buona…

Il gompa di Nar con il Pisang Peak. Foto: Italo Zandonella Callegher

Il gompa di Nar con il Pisang Peak. Foto: Italo Zandonella Callegher

Il passo (Kang La, 5320 m) da farsi per compiere la traversata a Manang non è transitabile carico com’è di neve, quindi pericoloso specie nel versante meridionale. Ci sono stati dei morti. Perciò si ridiscende a Koto per la Nar Phu Valley.

L’impatto con la Marsyangdi Valley è traumatico. Manang è ormai collegata – tranne qualche “rifinitura” – a Besisahar da una strada sterrata terribile, tutta buche e sassi e canali, percorsa da fuori strada che perdono i pezzi, ma vanno. Si è creato un nuovo business; molti trekkers – e anche i locali – le usano, si fanno trasportare attraverso la valle più bella dell’Himalaya, la seconda (dopo la Kali Gandaki) ad essere aperta al turismo montano. I tratti più caratteristici dell’antico percorso sono stati sbancati a suon di ruspa, le pareti rocciose dove si passava su cengia – il che rendeva il trek altamente affascinante -, sono state sventrate e le jeep passano alte sopra i villaggi rimasti soli e ancor più poveri di prima; laggiù non ci passa più nessuno. Anche non volendo transitare su questa “strada” – che non ha nessuna protezione – sei obbligato a farlo, non c’è altro modo per passare. E così mentre ammiri presso Timang, per esempio, la mole impressionante del Manaslu, senti un clacson, poi puzzo di nafta, infine i tuoi “sacramenti”… perché se non ti sposti finisci di sotto.

Il Manaslu dalla Marsyangdi Sud Ovest. Foto: Italo Zandonella Callegher

Il Manaslu dalla Marsyangdi Sud Ovest. Foto: Italo Zandonella Callegher

L’ultimo giorno ho un problema ad un ginocchio. Decido di fare la tappa finale (da Tal a Syange) in jeep; Stefano, il nipote, viene con me, gli altri due duri e puri proseguono a piedi. Pago 60 euro per un tragitto di tre ore al cardiopalmo, a passo d’uomo o quasi. Stesso tempo e stesso costo del viaggio sul treno Italo da Padova a Roma in classe economy. Anche la jeep è economy e trasporta un Italo, ma questo è un altro discorso. Va tutto bene se ciò serve veramente a dare ai nepalesi un tenore di vita migliore. Ma ho dei dubbi perché pochi possono permettersi di acquistare un mezzo del genere. Quindi ad arricchirsi saranno i soliti furbetti mentre la gente comune dell’Himalaya continuerà a fare la fame.

Mi rendo conto che quanto avevo scritto tempo fa su Mountainblog circa la valle della Kali Gandaki si sta amaramente avverando. Fra poco la valle del Marsyangdi sarà collegata alla valle della Kali Gandaki e gli amanti del trekking himalayano cammineranno su una comune strada bianca (dissestata). Oppure staranno a casa.

Italo Zandonella Callegher

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