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19 Giugno 2017

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Resto del Mondo

Sherpa rischia la vita per non abbandonare il suo cliente. Il recupero sull’Everest

Dawa Sange Sherpa. Fonte: Desnivel

I due alpinisti recuperati a 8600 metri di quota

Poche settimane fa il nepalese Dawa Sange Sherpa e il suo cliente pakistano Abdul Jabbar Bhatti, un ex colonnello di 60 anni, hanno tentato l’Everest. Molto vicini alla vetta, lo Sherpa si  è reso conto che era opportuno scendere, ma il suo cliente pakistano ha insistito per continuare. Dawa, che non ha voluto abbandonarlo ha rischiato di morire con lui. Dopo aver raggiunto la vetta, entrambi hanno perso conoscenza. Quando Dawa si è svegliato,  non riusciva a muoversi e vedeva passare vicino a lui  gruppi di alpinisti che non li soccorrevano, pensando che i due fossero morti.

Fortunatamente, alcuni amici hanno riconosciuto lo sherpa nepalese e si sono lanciati in un audace salvataggio a 8.600 metri di quota, conclusosi con successo. Il giovane, che si sta riprendendo in ospedale, come il suo cliente,  ha spiegato sulla pagina di Facebook i dettagli della salita (e il successivo recupero), che si è svolto il 21 e 22 maggio.

Dawa non sarà più in grado di tornare a lavorare come guida alpina: il congelamento gli ha procurato la perdita delle dita delle mani.

Il racconto di Dawa

Nonostante l’insistenza dello sherpa, il cliente ha deciso di continuare, ha spiegato nel suo racconto, il giovane. Tuttavia, una volta giunti a 8.400 metri, il tempo è cambiato: il forte vento e la neve fitta impediva la visibilità. Lo Sherpa si è reso conto che continuare sarebbe stato molto pericoloso. Il suo cliente, tuttavia, era di un altro parere. Nonostante l’insistenza dello Sherpa, Bhatti ha deciso di procedere sostenendo quanto fossero vicini alla vetta e quanto fosse stato costoso il viaggio, dicendo che non aveva alcuna intenzione di tornare indietro senza aver raggiunto la cima dell’Everest.

Il giovane 20enne ha scritto:  “Se avessi voluto, avrei potuto lasciarlo da solo. Ma non l’ho fatto. La sua vita era importante quanto la mia, così sono andato con lui in vetta per guidarlo e sostenerlo, nonostante avessimo potuto entrambi morire in un batter d’occhio “.

Abdul Jabbar Bhatti. Fonte: Desnivel

I due sono riusciti a raggiungere la cima, dove sono rimasti 5 minuti. “Ho fatto qualche foto al mio cliente…  Dopo pochi minuti ho cominciato a sentirmi stordito, come ubriaco, e sono quasi caduto. Ho capito che era troppo rischioso rimanere lì più a lungo “.

Durante la discesa sono iniziati i problemi. Dawa era senza ossigeno e ha notato che il suo cliente lo stava usando … era molto lento in discesa. Ha deciso di fare una sosta al sopraggiungere del buio. “Quando ho guardato  il mio cliente, l’ho visto disteso a pochi metri da me. L’ho chiamato diverse volte, ma non ha risposto. Era privo di sensi e troppo debole per camminare o parlare”. Lo sherpa, senza ossigeno, non in buone condizioni, si è addormentato esausto.

Si è svegliato il giorno dopo; sentiva il rumore di alcuni alpinisti che  non si fermavano ad aiutarlo perché lo credevano morto. Lo Sherpa non era in grado di muovere le mani. “Stavo aspettando la morte. Il corpo era freddo come il ghiaccio, e il mio respiro e il battito cardiaco molto lenti. “

“In quel momento avevo bisogno di aiuto. E l’ho chiesto a Dio. Mi sono rivolto a lui e sono stato testimone di un miracolo.”
Quando i soccorritori, Nima Gyalzen Sherpa, Ang Tshering Lama, Jagbuy Sherpa, Pema Tsheri Sherpa e Mingma Chhiri Sherpa, si sono  avvicinati e hanno scoperto che respiravano ancora,  hanno dato loro ossigeno e cercato di contattare l’azienda per la quale lavorava lo Sherpa, ma non hanno ottenuto risposta. Così hanno deciso di soccorrere loro  i due alpinisti portandoli via dalla cosiddetta “Zona della Morte” tentando  una delle operazioni di salvataggio più rischiose in alta montagna. Ci sono volute diverse ore per riportare i due alpinisti al Colle Sud.

Video del recupero a quota 8600 metri

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