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15 Luglio 2020

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Resto del Mondo

Sophia Danenberg: “credo che gli alpinisti di colore aumenteranno in modo esponenziale”

©Sophia Danenberg

Danenberg è stata la prima afroamericana e la prima alpinista di colore a raggiungere la cima dell’Everest nel 2006

Quando Sophia Danenberg raggiunse la cima dell’Everest il 19 maggio 2006, alle sette del mattino, con i fratelli Panuru e Mingma Chhiring Sherpa, erano soli sul tetto del mondo. C’era vento, solo le cime delle montagne circostanti superavano  la coltre nuvolosa, ha recentemente ricordato l’alpinista in un’intervista al portale tecnologico americano “GeekWire“: “È davvero strano trovarsi al di sopra di tutto. Tuttavia, ero totalmente concentrata sulla discesa. Se non fosse stato per Panuru, probabilmente avrei dimenticato di fare una foto in cima.”.

I tre erano partiti presto, arrivando davanti agli altri alpinisti. In quel momento erano soli in cima al mondo. Sophia divenne così la prima afroamericana e la prima alpinista di colore a raggiungere la vetta dell’Everest.

Danenberg è cresciuta a Chicago. Si è laureata con lode (Magna Cum Lauda) alla rinomata Università di Harvard in scienze ambientali e politiche pubbliche. Il suo amore per l’alpinismo è nato durante gli studi. Nel novembre 2005, sei mesi e mezzo prima di scalare l’Everest, era in cima al vicino Ama Dablam (6.814 metri). Oltre all’Everest, Sophia ha scalato altre tre Seven Summits, le montagne più alte di tutti i continenti: l’Aconcagua (6962 metri, Sud America), il Denali (6194 metri, Nord America) e il Kilimanjaro (5895 metri, Africa).

La 48enne ora vive a Seattle. Analizza la politica ambientale internazionale per il gruppo aeronautico americano Boeing, e tiene i contatti con compagnie e organizzazioni internazionali.

Sophia è stata recentemente intervistata dal blogger tedesco Stefan Nestler:

Sophia, sei stata la prima scalatrice di colore a raggiungere la cima dell’Everest nel 2006. Cosa ti portò lì?
Nel 2006 avevo programmato una spedizione su un’altra montagna, il Cho Oyu (8.188 m), che di solito viene scalata dopo il monsone (ottobre / novembre). Tuttavia, un’agenzia di spedizioni organizzò una salita nel periodo pre-monsone (maggio / giugno) nell’anno che stavo prendendo in considerazione. Quindi a gennaio ho chiamato queste e altre agenzie per valutare i loro servizi.

Quando chiamai International Mountain Guides, il proprietario mi chiese quali fossero i miei obiettivi e la mia esperienza alpinistica, e poi mi suggerì di tentare l’Everest. Mi disse che avrei potuto raggiungere almeno  Campo 4 sull’Everest, che corrispondeva all’altezza del Cho Oyu. E poi, se tutto fosse andato per il meglio, avrei avuto la possibilità di salire vetta. Ho avuto solo due settimane per scegliere.

Nel 2006, Sophia Danenberg divenne la prima donna di colore e la prima afro-americana a salire sull’Everest.Foto Pa Nuru Sherpa/arch. S. Danenberg

Il colore della tua pelle ti ha discriminata al campo base e in montagna?

Il campo base è incredibilmente vario e internazionale, quindi è quasi impossibile sentirsi fuori posto. Tuttavia, non assomigliano a nessuno quell’anno al campo base: non solo per il colore della mia pelle marrone, ma anche perché ero piccola e donna. Alcune persone sospettavano provenissi dall’India o dall’Asia meridionale. Uno sherpa mi disse che pensava fossi una nepalese, tranne per un fatto: avevo “capelli migliori” (il che è stato divertente perché gli sherpa hanno dei capelli molto belli, ma credo che gli piacessero i miei ricci).

Eri consapevole, in quel momento, che nessuna donna di colore aveva scalato l’Everest prima?

Non ne ero sicura, ma alcune guide alpine che avevano lavorato all’Everest per molto tempo me lo comunicarono dopo il mio arrivo sulla montagna

Quali furono le reazioni successivamente? Non hai ricevuto un’accoglienza con parata, vero?

La maggior parte dei miei amici e della mia famiglia erano felici che fossi ancora viva. Tranne il mio (ora ex) marito, nessuno nella mia famiglia scala, quindi erano preoccupati e pensavano che fossi un po’ pazza. Un amico nel Connecticut, dove vivevo allora, era un giornalista indipendente, e voleva scrivere un articolo su di me per il grande giornale locale, ma non accettarono la storia.

Circa due mesi dopo, mia sorella a Chicago, parlò di me al padre di uno degli amici di suo figlio. Era un redattore del “Chicago Reader” e le chiese se poteva intervistarmi. L’articolo (intitolato “Up Everest, Quietly”) fu la prima importante intervista inerente la mia scalata all’Everest.

Oggi ci sono diversi alpinisti neri in spedizione, diretti sulle montagne più alte del mondo, ma sono ancora un’eccezione. Come mai?

L’alpinismo come hobby è una sfida. Costa un sacco di soldi e tempo. Non è uno sport come il calcio, il basket, il baseball o il calcio che vedi in TV e che un giorno potrebbe renderti ricco e famoso. Al contrario, ci devi dedicare così tanto tempo che può compromettere gli studi o la tua carriera se diventa un’ossessione. Quindi lo fai solo se hai un reale interesse per l’esperienza – ma come sviluppi tale interesse se non hai mai visto nulla e forse non hai nemmeno fatto escursionismo? Quando ero giovane, la maggior parte delle persone di colore che conoscevo non avevano alcuna  conoscenza alpinistica, tuttavia erano interessate a questa attività.
L’apartheid (in Sudafrica) si è conclusa quando ero adolescente. Le leggi statunitensi di Jim Crow (imposizione della segregazione razziale negli stati del sud degli Stati Uniti dal 1877 al 1965) sono esistite fino a che mio padre era un adolescente. Ci vuole più di una generazione per superare quel livello di razzismo sistemico e il cambiamento arriverà prima in settori più fondamentali della società (lavoro, scuola, relazioni).
Non sorprende che un hobby come l’alpinismo sia in ritardo su questo. Tuttavia, credo che ci saranno molti più scalatori neri nei prossimi 10, 15 anni. Credo che il numero di scalatori neri crescerà in modo esponenziale,  a man mano che le persone di colore lo praticheranno di più, trasmettendo tale passione ai loro figli e alle comunità.

Nel 2006, Sophia Danenberg divenne la prima donna di colore e la prima afro-americana a salire sull’Everest. Fonte: facebook

Hai sperimentato personalmente discriminazioni sulla montagna? Se sì, cosa è successo?

È probabile, ma vista la  giovane età non me ne sono resa conto. Ti abitui a ignorare un sacco di cose. Ho avuto a che fare con discriminazioni più palesi nell’ambito della comunità dell’arrampicata quando  non ero in montagna, senza attrezzatura. La cosa più comune è il presupposto costante che io non sia un’alpinista… Solo dopo anni di arrampicata mi sono resa conto di essere stata discriminata. Se ne sono accorti anche i miei soci maschi bianchi, poichè vedevano la differenza del trattamento riservato a me rispetto a loro. Una volta  stavo insegnando al mio ragazzo a scalare, e tutti pensavano che fose lui ad insegnare a me, anche se io ero chiaramente in testa.

Come ti senti riguardo alle attuali proteste razziali, non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo? Pensi che avranno anche un impatto sugli sport di montagna?

E’ stato sorprendente. Negli Stati Uniti, sono cautamente ottimista su cambiamenti fondamentali. Penso che avrà un impatto sugli sport di montagna perché l’equità razziale è diventata una priorità per moltissime persone di ogni nazionalità, inevitabilmente molti di loro sono o diventeranno scalatori. Al momento ci sono anche molti giovani attivisti che stanno lavorando per trasformare le attività ricreative all’aperto in modo da renderle più inclusive.