AGGIORNAMENTO DI LUNEDI’ 25 AGOSTO
Contrariamente alle previsioni anche oggi è brutto tempo al Campo Base del Peak Pobeda. Le operazioni di soccorso sono state nuovamente annullate e la squadra di soccorso italiana è ripartita.
AGGIORNAMENTO DI DOMENICA 24 AGOSTO ore 23.14
C’è ancora una possibilità di salvare Natalia Nagovitsyna. Su suoi account social, Anna Piounova (Chief Editor di Mountain.ru)
informa che domani 25 agosto le previsioni danno meteo sereno e si tenterà un nuovo sorvolo di droni fino a 7.300 metri.
Se Natalia Nagovitsyna è ancora viva, un Eurocopter con pilota italiano cercherà di evacuarla.
AGGIORNAMENTO DI DOMENICA 24 AGOSTO
Le ricerche dell’alpinista russa Natalia Nagovitsyna sono state sospese oggi a tempo indeterminato a causa delle avverse condizioni meteorologiche. Lo hanno dichiarato le autorità del Paese dell’Asia centrale.
L’alpinista italiano Agostino da Polenza ha dichiarato a Sky TG24 che “La speranza è veramente un lumicino. Siamo a 7200 metri, lei ha una gamba rotta dal 12 agosto. Evidentemente viveri e gas erano limitati, perché era un’operazione che doveva concludersi a breve.”
Sabato “le condizioni meteorologiche sono peggiorate drasticamente, quindi tutte le operazioni di soccorso sono state sospese“, ha dichiarato all’agenzia di stampa russa Ria Novosti il portavoce del ministero delle Emergenze kirghiso, Adil Chargynov.
Dmitry Grekov, responsabile del campo base del Peak Pobeda, ha detto alla TASS: “Sappiamo dove si trova. Ma è impossibile arrivarci.” Aggiungendo che “nessuno è mai stato evacuato da una tale altitudine della montagna. E’ impossibile farlo manualmente, solo con l’elicottero, e in Kirghizistan non abbiamo elicotteri del genere“.
Chi era Luca Sinigaglia, l’alpinista morto sul Peak Pobeda
Un gruppo di tre soccorritori italiani di lunga esperienza, Manuel Munari, Mario Sottile e la guida e soccorritore alpino Michele Cucchi, è arrivato a Bikek, capitale del Kirghizistan, con l’obiettivo di recuperare l’alpinista russa Natalia Nagovitsyna, 47 anni, che dal 12 agosto è bloccata con una gamba fratturata a 7.100 metri sul Peak Pobeda (7.439 m), nel massiccio del Tien Shan al confine tra Kirghizistan e Cina, ma anche recuperare il corpo senza vita di Luca Sinigaglia.
L’alpinista lombardo di 49 anni è deceduto il 15 agosto a 6.800 metri a seguito di edema cerebrale dopo aver portato i primi aiuti a Natalia, amica e collega conosciuta nel 2021. Il piano prevede, in accordo con le autorità di soccorso locali, che oggi i soccorsi da terra, ridotti a quattro persone dopo l’incidente dell’elicottero di soccorso di alcuni giorni fa, raggiungano Natalia e individuano il corpo di Luca. E’ già disponibile un elicottero privato adatto al recupero in zone estremamente difficili ma manca ancora l’autorizzazione al volo che è attesa per il primo pomeriggio di oggi direttamente dalla presidenza del Kirghizistan. Domani l’elicottero dovrebbe, quindi, volare sul Pik Pobeda.
Il racconto della sorella Patrizia
Nel frattempo, la figura dell’alpinista italiano Luca Sinigaglia emerge dai racconti della sorella Patrizia. In una intervista con Repubblica racconta:
“lui non avrebbe mai lasciato indietro nessuno e a maggior ragione non Natalia, con cui aveva vissuto un’esperienza che li aveva legati molto: si erano conosciuti quattro anni fa sul Khan Tengri, in Kazakistan. Lei era con il marito Sergej e Luca li ha incontrati durante la scalata: li ha visti in difficoltà e quindi non ha proseguito l’ascesa, ma si è fermato per aiutarli – racconta Patrizia Sinigaglia – È riuscito a riportare al campo base solo Natalia, mentre suo marito purtroppo non ce l’ha fatta. Da allora si sentivano spesso e ogni tanto si mettevano d’accordo per incontrarsi su qualche vetta in giro per il mondo”.
Luca Sinigaglia aveva l’obiettivo di conquistare il premio “Snow Leopard”, assegnato a chi riesce a raggiungere la vetta di tutte le cinque montagne sopra i 7000 metri che si trovano sul territorio dell’ex Urss.
Continua la sorella:“Il Pobeda Peak era l’ultima che gli mancava e prima di morire è arrivato in cima, quindi ce l’ha fatta, anche se non potrà mai ricevere il riconoscimento a cui aspirava – continua la sorella – Era salito in solitaria, ma si era messo d’accordo con Natalia per ritrovarsi su quella montagna: lei ha iniziato l’ascesa poco dopo di lui. In tutto erano in quattro. Mentre Luca e un alpinista tedesco, Gunther, stavano scendendo per rientrare al campo base, sono stati raggiunti da Roman, un russo che li seguiva insieme a Natalia: è stato lui a informarli del fatto che lei si era rotta una gamba ed era quindi in gravissima difficoltà”.
Luca è risalito verso la vetta per portare all’amica del cibo, un fornello da campo, un sacco a pelo e una bombola di gas, ma poi le condizioni meteo critiche e la permanenza in carenza di ossigeno per troppo tempo hanno causato la sua morte mentre tentava di ridiscendere.
“La sua famiglia eravamo io, nostro fratello Fabio, i suoi cinque nipoti e nostro padre, che ha 86 anni e ora non riesce a darsi pace. Nostra madre invece è mancata sette anni fa. Lui era il fratello minore, il nostro fratellino avventuroso e generoso – spiega – Poi c’era la sua azienda, l’Axitea, dove lavorava come esperto di cyber security e si sentiva a casa: diceva che i colleghi erano la sua seconda famiglia. E non si può dimenticare l’altro suo grande amore, quello per la montagna”.
“La prima scalata è stata una ventina d’anni fa in Venezuela, insieme a una guida ma senza attrezzatura particolare. Da lì ha imparato tutto ciò che c’era da sapere ed è diventato uno scalatore esperto – garantisce Patrizia Sinigaglia – In questi giorni sto leggendo tante cattiverie sui social: persone che non lo conoscevano e si permettono di dargli dell’incosciente o dello sprovveduto. Non è affatto così: Luca pianificava attentamente ogni scalata. Per il Pobeda Peak si è preparato per un anno.”
Io sto sempre male quando leggo queste notizie……….giovani persone che amano la montagna e la sfida verso questi giganti………e altruismo puro che non esiste più, i commenti di certa gentaglia deve solo tenere la bocca chiusa