I due alpinisti recuperati a 8600 metri di quota
Poche settimane fa il nepalese Dawa Sange Sherpa e il suo cliente pakistano Abdul Jabbar Bhatti, un ex colonnello di 60 anni, hanno tentato l’Everest. Molto vicini alla vetta, lo Sherpa si è reso conto che era opportuno scendere, ma il suo cliente pakistano ha insistito per continuare. Dawa, che non ha voluto abbandonarlo ha rischiato di morire con lui. Dopo aver raggiunto la vetta, entrambi hanno perso conoscenza. Quando Dawa si è svegliato, non riusciva a muoversi e vedeva passare vicino a lui gruppi di alpinisti che non li soccorrevano, pensando che i due fossero morti.
Fortunatamente, alcuni amici hanno riconosciuto lo sherpa nepalese e si sono lanciati in un audace salvataggio a 8.600 metri di quota, conclusosi con successo. Il giovane, che si sta riprendendo in ospedale, come il suo cliente, ha spiegato sulla pagina di Facebook i dettagli della salita (e il successivo recupero), che si è svolto il 21 e 22 maggio.
Dawa non sarà più in grado di tornare a lavorare come guida alpina: il congelamento gli ha procurato la perdita delle dita delle mani.
Il racconto di Dawa
Nonostante l’insistenza dello sherpa, il cliente ha deciso di continuare, ha spiegato nel suo racconto, il giovane. Tuttavia, una volta giunti a 8.400 metri, il tempo è cambiato: il forte vento e la neve fitta impediva la visibilità. Lo Sherpa si è reso conto che continuare sarebbe stato molto pericoloso. Il suo cliente, tuttavia, era di un altro parere. Nonostante l’insistenza dello Sherpa, Bhatti ha deciso di procedere sostenendo quanto fossero vicini alla vetta e quanto fosse stato costoso il viaggio, dicendo che non aveva alcuna intenzione di tornare indietro senza aver raggiunto la cima dell’Everest.
Il giovane 20enne ha scritto: “Se avessi voluto, avrei potuto lasciarlo da solo. Ma non l’ho fatto. La sua vita era importante quanto la mia, così sono andato con lui in vetta per guidarlo e sostenerlo, nonostante avessimo potuto entrambi morire in un batter d’occhio “.
I due sono riusciti a raggiungere la cima, dove sono rimasti 5 minuti. “Ho fatto qualche foto al mio cliente… Dopo pochi minuti ho cominciato a sentirmi stordito, come ubriaco, e sono quasi caduto. Ho capito che era troppo rischioso rimanere lì più a lungo “.
Durante la discesa sono iniziati i problemi. Dawa era senza ossigeno e ha notato che il suo cliente lo stava usando … era molto lento in discesa. Ha deciso di fare una sosta al sopraggiungere del buio. “Quando ho guardato il mio cliente, l’ho visto disteso a pochi metri da me. L’ho chiamato diverse volte, ma non ha risposto. Era privo di sensi e troppo debole per camminare o parlare”. Lo sherpa, senza ossigeno, non in buone condizioni, si è addormentato esausto.
Si è svegliato il giorno dopo; sentiva il rumore di alcuni alpinisti che non si fermavano ad aiutarlo perché lo credevano morto. Lo Sherpa non era in grado di muovere le mani. “Stavo aspettando la morte. Il corpo era freddo come il ghiaccio, e il mio respiro e il battito cardiaco molto lenti. “
“In quel momento avevo bisogno di aiuto. E l’ho chiesto a Dio. Mi sono rivolto a lui e sono stato testimone di un miracolo.”
Quando i soccorritori, Nima Gyalzen Sherpa, Ang Tshering Lama, Jagbuy Sherpa, Pema Tsheri Sherpa e Mingma Chhiri Sherpa, si sono avvicinati e hanno scoperto che respiravano ancora, hanno dato loro ossigeno e cercato di contattare l’azienda per la quale lavorava lo Sherpa, ma non hanno ottenuto risposta. Così hanno deciso di soccorrere loro i due alpinisti portandoli via dalla cosiddetta “Zona della Morte” tentando una delle operazioni di salvataggio più rischiose in alta montagna. Ci sono volute diverse ore per riportare i due alpinisti al Colle Sud.
Bellissimo articoli, tristissimo che fa vedere come si gioca con la vita propria (e va bene) ma anche con quella del lavoratore che ora rimarrà invalido a 20 anni e non potrà più lavorare. Vergognoso !
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