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10 Marzo 2023

Alpinismo e Spedizioni · Hiking e Trekking · Vertical · Walking · Alpi Orientali · Aree Montane · Italia · Veneto

Soccorrere per vocazione

Massimo Brancaleone durante un’esercitazione. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Intervista a Massimo Brancaleone membro del Soccorso Alpino di Agordo. Di Vittorino Mason

In Mongolia vige una regola non scritta: quando uno si trova in difficoltà può sempre contare nell’aiuto o nell’ospitalità dell’altro. Questo perché in quegli spazi sconfinati, dove tutto è lontano e le comodità sono parola sconosciuta, il sentimento di solidarietà è un bene prezioso, sopravvivenza!

Ma chi glielo fa fare a un alpinista di scomodarsi e rischiare la vita per uno sconosciuto? Chi glielo fa fare a un uomo, che magari è a tavola con la sua famiglia, che è impegnato nelle sue faccende o sta dormendo, a mollare tutto e correre in montagna per cercare un disperso o per tentare di salvargli la vita mettendo a rischio la propria?

Senza chiamare in causa la parabola del buon samaritano, potremmo dire che in molti uomini è innato un sentimento di compassione e solidarietà, un senso di altruismo e di bontà che di fronte al bisogno li muove per portare aiuto. Se poi il concetto viene contestualizzato alla montagna possiamo dire che ogni frequentatore potrebbe incorrere in un incidente grave o trovarsi in una situazione nella quale, senza l’aiuto di qualcuno, non riuscirebbe a tirarsi fuori dai guai e salvarsi la vita. Chi allora dovrebbe intervenire?

Se si ha fortuna, molta, un passante, ma non siamo in una via di città ed è comunque difficile aiutare, spostare, portare una persona ferita o che sta molto male, in un luogo dove gli si possono prestare delle cure.

Esercitazione al Tamer. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Ecco perché, nel dicembre del 1954, il Club alpino italiano (CAI), istituì il Corpo di soccorso alpino, oggi CNSAS – Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico, ma la solidarietà in montagna è sempre andata di pari passo con l’alpinismo stesso, basti pensare che fin dai primi pionieri era regola comune mettere a repentaglio la propria vita per portare soccorso a chi era in difficoltà o alle vittime degli incidenti in quota.
Vicende drammatiche e gesta eroiche hanno spesso visto protagonisti i componenti delle squadre del soccorso alpino, uomini che senza esitazione sono saliti sulle montagne per portare aiuto a feriti, per recuperare corpi, per evitare l’aggravarsi di tragedie già consumate.

Pur non essendo l’unica, è emblematica la vicenda accorsa agli alpinisti Corti e Longhi nel 1957 all’Eiger, che vide in azione forse la più grande squadra di soccorso alpino internazionale mai formatasi. Di questo e di molto altro, racconta il libro di Roberto e Matteo Serafin “Soccorsi in Montagna”, che traccia la storia di un corpo, il CNSAS, forse ancora poco conosciuto.
Ma tornando alle motivazioni per le quali un alpinista, un uomo che ama la montagna, decide di dedicare parte del proprio tempo e della propria vita per soccorrere gli altri, ancora c’è da dire. Chiaro che le motivazioni di un individuo non possono essere quelle di un altro, ma un comune denominatore c’è senz’altro che poi investe e si estende in altre.
Forse non dovremmo neppure stare qui a chiederci quali siano le spinte emotive che portano qualcuno a donarsi per gli altri, ma solo essere riconoscenti, dirgli grazie ed essere contenti e rassicurati, almeno in parte, nel frequentare la montagna, ben sapendo che c’è sempre qualcuno disposto a venirci in soccorso.

Nonostante ciò potrebbe essere interessante ascoltare il racconto di un soccorritore, l’esperienza maturata all’interno del CNSAS in tanti anni di volontariato. Per questo motivo diventa prezioso il racconto di Massimo Brancaleone membro del Soccorso Alpino di Agordo.

L’intervista

Massimo Brancaleone sulla montagna di casa. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Quando sei entrato nel Soccorso Alpino?
Sono entrato a far parte del Soccorso Alpino di Agordo nel 1982 e tutt’oggi sono un componente attivo della squadra di soccorso che conta circa venticinque membri e opera ad Agordo e nei comuni confinanti, praticamente su tutte le montagne dell’Agordino. La nostra stazione fa parte della Delegazione Dolomiti Bellunesi, composta da diciannove stazioni del Soccorso Alpino, operanti all’interno del territorio della provincia di Belluno.

Quali sono state le motivazioni?
La motivazione principale è quella di aiutare, in caso di necessità, le persone che come me condividono la passione per la montagna con la possibilità di operare nell’ambiente che più mi piace e mi gratifica. Senza dimenticare la crescita personale nell’ambito delle conoscenze che riguardano il soccorso alpino, da quelle più tecniche alpinistiche a quelle mediche-psicologiche o al lavoro di squadra.

Hai dovuto superare delle prove?
No. Io ho 67 anni e ai miei tempi si veniva invitati a far parte della squadra di soccorso in base all’attività alpinistica svolta e il mio curriculum contava diverse vie di quarto, quinto e sesto grado, fatte principalmente in Dolomiti da primo di cordata o a tiri alternati e poi salite su ghiaccio e attività di sci alpinismo. Oggi invece i ragazzi che vogliono entrare nel soccorso alpino oltre al curriculum su roccia, ghiaccio e sci alpinismo, devono superare degli esami di ammissione nell’ambito di queste specialità.

Cosa significa e comporta essere un componente del Soccorso Alpino?
È una grossa responsabilità perché ti devi prendere cura delle persone operando in ambiente ostile e talvolta in condizioni estreme che possono mettere a rischio anche la tua incolumità o quella degli altri soccorritori. Personalmente poi lo considero anche un onore far parte di un sodalizio che svolge delle attività utili alla collettività.

Esercitazione in Moiazza. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Qual è la dote più importante per svolgere l’opera di soccorritore?
Sono diverse le caratteristiche che deve avere un buon soccorritore: la conoscenza del territorio, le capacità alpinistiche, la conoscenza delle tecniche di soccorso, le conoscenze mediche, la forma fisica, la disponibilità in caso di chiamata, essere predisposti al lavoro di squadra e avere un’ottima concentrazione, lucidità e sangue freddo durante l’operazione di soccorso.

Sicuramente la conoscenza della montagna!
Certo, la conoscenza della montagna è importante quando si pianifica un soccorso perché ti aiuta a prendere delle decisioni che sono fondamentali per la buona riuscita del soccorso stesso. Però ricordo che il soccorso alpino è chiamato a intervenire anche in caso di alluvioni, terremoti o calamità di altro tipo.

Si riesce a coniugare impegni lavorativi con la missione di volontario del soccorso alpino?
Dipende dal tipo di lavoro che fai; personalmente il mio lavoro mi permetteva di assentarmi in caso di chiamata ma ci sono stati dei periodi nella mia vita da soccorritore nei quali non ho potuto assecondare subito le chiamate di intervento. In questi casi mi rendevo disponibile ad intervenire, se ancora necessario, quando l’operazione di soccorso andava per le lunghe o durava più di una giornata. Considera che le chiamate di soccorso possono arrivare in qualsiasi ora del giorno o della notte per 365 giorni l’anno.

Esercitazione al Framont. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Naturalmente prestate la vostra opera a titolo gratuito…
Sì, gli operatori del soccorso alpino sono dei volontari e quindi svolgono l’attività gratuitamente. Eventualmente, se per svolgere un’operazione di soccorso dobbiamo assentarci dal posto di lavoro, ci viene rimborsata la giornata lavorativa; un po’ come avviene per i donatori del sangue.

Quando si è chiamati per un soccorso si può dire di no, rifiutare l’uscita?
Quando arriva la chiamata (al capo o vice capo stazione), la squadra “deve!” attivarsi subito. Su venticinque persone normalmente si riesce a trovarne almeno cinque disponibili immediatamente, che vuol dire recarsi in sede in circa 10-15 minuti per pianificare il soccorso. Naturalmente il soccorritore  non disponibile, perché in quel momento troppo lontano dal luogo di ritrovo oppure malato, dovrà rinunciare ad effettuare l’intervento. Nel periodo di maggiore attività e cioè i giorni festivi che vanno da giugno a tutto settembre, per essere più reattivi e veloci, facciamo dei turni di reperibilità presso la nostra sede, dalle otto del mattino alle otto di sera. La squadra di pronto intervento conta dai 3\4 soccorritori e ad ogni soccorritore toccano due turni al mese.

Ogni soccorritore è esperto in qualcosa o deve sapere fare qualsiasi tipo di intervento?
Tutti i soccorritori devono essere preparati ad intervenire in qualsiasi tipo di terreno e con ogni tipo di tecnica imparata durante i corsi e ripassata durante le esercitazioni periodiche. Alcuni soccorritori, in seguito a corsi specifici, portano come valore aggiunto una preparazione più approfondita, per esempio in campo medico piuttosto che nel campo forre o speleo, oppure nella ricerca delle persone scomparse o come unità cinofile o altro.

Esercitazione al Tamer. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

E l’elisoccorso come funziona?
Tutte le chiamate di soccorso nel territorio bellunese arrivano alla centrale operativa SUEM 118 di Pieve di Cadore e, nel caso si tratti di soccorso alpino, la telefonata viene girata all’operatore del soccorso alpino in quel momento di turno in centrale. Questo operatore sentendo anche gli interessati cercherà di capire se il soccorso può essere eseguito autonomamente dalle squadre di terra della stazione interessata oppure se è necessario anche l’intervento dell’elicottero. Nel secondo caso viene attivato l’elicottero del 118 di base a Pieve di Cadore, che dovrà mettersi in contatto con la stazione per pianificare il soccorso; in alcuni casi, se è bel tempo e il recupero è relativamente semplice, l’equipaggio dell’elicottero esegue il soccorso in autonomia, altrimenti si reca presso la piazzola di zona per recuperare le squadre di terra in aiuto all’elicottero. Nei mesi di maggior lavoro, luglio e agosto, è disponibile anche un secondo elicottero di base a Cortina, nel caso il primo sia già occupato. Da considerare che il primo elicottero non viene utilizzato solo per il soccorso alpino ma anche per altri interventi sanitari in provincia. Se entrambi gli elicotteri sono occupati è possibile che l’intervento venga eseguito utilizzando l’elicottero dell’Aiut Alpin Dolomites che ha base in Val Gardena.

Elisoccorso in azione in Marmolada. ©Vittorino Mason

L’elicottero permette di soccorrere i malcapitati in brevissimo tempo e in posti inaccessibili, il medico di somministrare tutti gli aiuti e di stabilizzare i feriti prima del trasporto all’ospedale, un binomio che ha significato la salvezza in centinaia di occasioni.
È chiaro che l’elicottero accorcia enormemente i tempi di soccorso e in alcuni casi è fondamentale per la sopravvivenza di un ferito, però in caso di maltempo o nebbia l’elicottero non può volare e quindi devono partire le squadre da terra per raggiungere a piedi la\le persona\e da soccorrere e portare a valle. Anche di notte l’uso dell’elicottero è molto limitato perché solo pochi hanno questa specializzazione e in ogni caso non riescono a fare le stesse manovre che si fanno di giorno, per questo motivo la maggior parte dei soccorsi notturni vengono effettuati ancora a piedi, anche con il maltempo.

Per non dimenticare poi il soccorso in caso di valanga…
Il soccorso in valanga è particolare perché si usano le unità cinofile e degli strumenti a supporto come i rilevatori ARTVA e RECCO e poi pala e Sonda per individuare i sepolti ed estrarli dalla neve. La gestione del soccorso è complessa e delicata perché richiede grande capacità da parte del direttore di valanga nel gestire le diverse squadre che devono lavorare sul sito valanghivo. Poi c’è da considerare che, secondo le statistiche, dopo trenta minuti abbiamo solo il 30% di probabilità di trovare ancora viva una persona travolta e quindi è fondamentale l’auto soccorso portato dai compagni del travolto che dovrebbero essere obbligatoriamente dotati di ARVA, pala e sonda. Elemento aggiuntosi in seguito e fondamentale nel caso di infortunati travolti da valanghe, è l’utilizzo dei cani da valanga che apportano altro valore a quello di fraternità di uomini al sevizio di altri uomini.

Soccorso valanga Pala Alta. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Esercitazione invernale nel canalone Agner.©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

C’è stato un episodio di salvataggio in cui hai rischiato la vita?
Sì, nel 1987, nella parte alta del Vallon delle Scandole che scende dall’Agner verso Col di Prà. Un escursionista emiliano, in discesa dalla cima dell’Agner, aveva erroneamente imboccato il canalone ghiacciato, scivolando poi e rimanendo in bilico sopra un grande salto di roccia con una contusione alla gamba.
Io e altri tre soccorritori siamo saliti con un elicottero privato e mentre ci sbarcavano in “overing”, l’elicottero urtò la parete con le pale; io ero già sceso assieme a un altro soccorritore e in quel momento l’elicottero sbandò verso di noi e la parete, virando subito dopo verso valle per andare ad atterrare a Col di Prà.  Io e il mio compagno ci siamo chiesti come mai non avesse sbarcato anche gli altri due soccorritori, ma poi ci siamo adoperati a recuperare l’infortunato che era un po’ distante da noi.  Abbiamo così portato il ferito in un punto dove si potesse imbarcare, ma purtroppo ci hanno avvisato che non potevano venirci a prendere perché l’elicottero era in avaria in quanto si erano rovinate le pale sbattendo contro la parete.

Abbiamo dovuto quindi aspettare un altro elicottero da Bolzano che ci ha recuperati e riportati a valle. Durante il soccorso non ho avuto tempo di pensare al rischio che abbiamo corso, ma quando ho messo i piedi a terra ho ringraziato la Madonna perché c’è mancato veramente poco.

Intervento di soccorso sull’Agner. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

 

Puoi raccontarci di un intervento che per qualche motivo ti è rimasto impresso?
Nel settembre del 1984, durante un forte temporale, sul vecchio tracciato della ferrata Tissi al Civetta,  cinque tedeschi erano in discesa dal rifugio Torrani. Uno di loro, dopo un volo di diversi metri, si ferì mortalmente rimanendo dentro il canale della ferrata.
Uno dei quattro superstiti scese quindi al rifugio Vazzoler per dare l’allarme (allora i telefonini non esistevano) mentre gli altri tre  rimasero con il compagno deceduto.  Noi siamo saliti a piedi fino al Van delle Sasse e poi su per la ferrata con il tempo in peggioramento e le cascate di acqua mista a sassi che scendevano dal canalone.
Una volta sul posto abbiamo trovato i quattro malcapitati completamente fradici, semiassiderati e con delle notevoli difficoltà di movimento. Una volta assicurato il corpo del defunto con dei chiodi, per evitare che l’acqua lo portasse in fondo al ghiaione, piano piano abbiamo condotto in salvo i superstiti al Rifugio Vazzoler. Il giorno dopo era una bella giornata, così siamo potuti salire con l’elicottero al Van delle Sasse per recuperare la salma. Durante la notte aveva nevicato abbondantemente e se il giorno prima, con molte difficoltà, non avessimo portato in salvo i compagni, li avremmo trovati tutti assiderati.

Intervento di soccorso sulla Via Andrich a Punta Civetta. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Per svolgere la vostra attività siete sottoposti a dei test, allenamenti o corsi di aggiornamento?
Ogni anno vengono pianificate delle esercitazioni per le varie specialità: roccia, ghiaccio, valanga, sci, sanitarie, ricerca e così via per tenerci sempre aggiornati. Da parte degli istruttori del soccorso alpino periodicamente veniamo anche sottoposti individualmente a delle verifiche nelle varie specialità. Il mantenimento della forma fisica è personale, ma necessario, altrimenti sarebbe difficile partecipare alle operazioni di soccorso.

Ci sono situazioni in cui il soccorritore a un certo punto può decidere che non vale più la pena andare oltre, mettendo a repentaglio la propria vita per salvare quella di un altro?
Può succedere che di fronte a dei pericoli oggettivi e a dei rischi troppo elevati, si cambi la strategia del soccorso, ma non succede mai che si ritorni a casa senza averlo concluso. Comunque si cerca sempre di superare le difficoltà; più di una volta è capitato di andare in cima al Civetta di notte, sotto a un diluvio, piuttosto che a una nevicata con 30/40 centimetri di neve, per attrezzare gli ancoraggi da utilizzare il giorno dopo, all’alba, per il recupero delle cordate in difficoltà sulla parete Nord-Ovest del Civetta. Ad esempio nel 2007 dalla Via Philipp Flamm e a settembre del 2010 dalla Via Andrich a Punta Civetta.

Quali sono le situazioni più difficili nella quale il soccorritore può trovarsi ad operare?
Per quanto mi riguarda sono quelle situazioni in cui ti rendi conto che la questione tempo è fondamentale per la vita dell’infortunato, ma che per le difficoltà e la complessità delle operazioni di soccorso capisci che è impossibile portarlo a termine in tempi brevi.

C’è un momento della tua vita di soccorritore che per qualche motivo ricordi piacevolmente?
Sicuramente quando senti la riconoscenza da parte delle persone che hai soccorso. Mi ricordo quella volta in cui un ragazzo di Treviso, da primo di cordata, a cento metri dall’uscita della via Tissi alla Torre Venezia, era volato procurandosi la rottura di una spalla, delle costole e altre contusioni.
Dalla cima della Torre Venezia, sulle nostre spalle, lo abbiamo calato di notte perché a causa della nebbia l’elicottero non si poteva avvicinare; comunque sia, alle tre e mezza del mattino abbiamo consegnato il ragazzo al pronto soccorso di Agordo. Circa un mese dopo, mentre salivo al Rifugio Carestiato, sento qualcuno che mi chiama e mi chiede “ti ricordi di me?”, era il ragazzo della Torre Venezia ancora con il busto e il braccio ingessato! Non la finiva più di ringraziare me e gli altri soccorritori e poi ha voluto per forza pagarmi da bere al rifugio.

Intervento di soccorso nel canalone della Torre Trieste. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Si può parlare di imprese, gesti estremi nel soccorso di un tempo? Penso a quando i soccorritori dovevano calarsi lungo le pareti per andare a recuperare gli alpinisti in difficoltà; bisognava essere coraggiosi perché si rischiava la vita! Ci si calava ma non si sapeva se si tornava su!
Una volta era così e i soccorsi duravano anche due o tre giorni di tremende fatiche, grandi sacrifici e incalcolabili rischi. Oggi, grazie ai mezzi moderni e alle attrezzature, i rischi e gli imprevisti sono notevolmente diminuiti. Il primo intervento ufficiale da parte della stazione di Agordo data 17-18 agosto 1959 e si riferisce al recupero della salma di un forte alpinista bellunese che assieme a Roberto Sorgato stava salendo la Via Solleder alla Cima del Civetta, ma successivamente ci sono stati molti altri interventi epici, quando solo la forza, le doti umane, il senso di abnegazione e di solidarietà riuscivano a sopperire alla carenza di mezzi e attrezzature.

Fare il volontario del Soccorso Alpino limita in qualche maniera l’attività di un alpinista?
È scontato che durante l’anno devi sacrificare alcune giornate per le esercitazioni, i corsi, i turni e gli eventuali interventi, ma se hai la passione non lo vedi come un sacrificio ma come un arricchimento personale anche dal punto di vista alpinistico. Se poi non si è disposti a sacrificare queste giornate è meglio rinunciare al ruolo di soccorritore.

Ti sei mai sentito impotente di fronte a una persona ferita o bisognosa d’aiuto che le situazioni contingenti non permettevano di prestare soccorso?
No, per fortuna non mi è mai successo.

Cosa si sperimenta, cosa si prova dopo aver concluso positivamente una missione di soccorso?
Credo sia soggettivo, ma per quanto mi riguarda ci possono essere dei sentimenti e delle reazioni contrastanti; sicuramente una grande soddisfazione quando a fine intervento si chiacchera e ci si rilassa assieme ai compagni davanti a una birra. Poi, specialmente se la persona soccorsa era in condizioni critiche, o peggio, è morta, nasce un senso di immedesimazione e cattivi pensieri cominciano a girare per la testa…, per fortuna dopo poco tempo passano.

Cambia l’approccio per un intervento di soccorso in parete e quello in un altro contesto, ad esempio in un bosco?
Sicuramente. Possono cambiare le manovre e anche certi materiali che si utilizzano, ma direi che ogni soccorso è a sé stante e quindi, prima di partire, è fondamentale raccogliere il maggior numero d’informazioni in modo da approcciare l’intervento nel miglior modo possibile. Comunque sia,  l’imperativo è sempre intervenire nel tempo più breve possibile perché ogni minuto può significare la vita o la morte di chi deve essere soccorso.

Alluvione Vaia del 2018. Intervento di soccorso nel canalone della Torre Trieste. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Esercitazione notturna Tamer. Esercitazione invernale nel canalone Agner.©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Quanti uomini si muovono alla chiamata di un intervento?
Dipende dal tipo d’intervento: ci sono quelli più facili, dove bastano solo due persone, e quelli più complessi dove possono partire in prima battuta dalle cinque alle dieci persone per poi aggiungerne altre nel caso il soccorso vada per le lunghe. Ci sono poi le ricerche delle persone scomparse che potrebbero protrarsi anche per una decina di giorni e siccome richiedono un gran numero di persone, solitamente si chiede l’aiuto anche delle altre stazioni della delegazione bellunese.

C’è una centrale operativa che coordina le chiamate e gli interventi da fare?
Sì, come dicevo prima, è la centrale operativa SUEM 118 di Pieve di Cadore che riceve le chiamate e le smista alle varie stazioni.

Le donne nel soccorso alpino sono poche; per quale motivo?
Oggi non c’è più alcuna preclusione alle donne. Nella nostra stazione ce ne sono tre.  Direi che sono meno solo perché nel bacino di raccolta tutt’oggi si trovano più ragazzi che ragazze.

Spesso, quando succede un incidente in montagna, giornali e tivù usano lo slogan “montagna assassina”; tu cosa ne pensi?
La montagna non è assassina; è un ambiente che può presentare dei pericoli e quindi dei rischi, come in tutte le attività umane, per questo va affrontata in modo consapevole e con preparazione, al fine di diminuire il più possibile il fattore rischio. Poi il rischio zero non esiste e un incidente può succedere anche alla persona più competente, così come a qualsiasi persona dentro o fuori di casa.

Intervento di soccorso nelle Pale San Lucano. ©Massimo Brancaleone e componenti del Soccorso alpino di Agordo

Intervento di soccorso a un escursionista caduto in un crepaccio della Marmolada. ©Vittorino Mason

E a questo proposito, ovvero che la montagna è potenzialmente pericolosa, e questo è un dato di fatto, non bisognerebbe dire che gli escursionisti spesso sono impreparati? Penso a come le montagne sono prese d’assalto da frotte di turisti, da persone che la invadono per moda più che per passione e che poi, senza allenamento e con vestiario inadatto, s’avventurano in percorsi che non sono in grado di affrontare mettendo in serio pericolo la propria vita.
Siamo nell’epoca di internet. I social, le mode, il consumismo,  portano le persone ad usare e abusare della montagna, anziché frequentarla con rispetto e riconoscenza, un esempio sono i grandi comprensori sciistici che hanno trasformato alcune montagne in enormi luna park per il divertimento di chiunque possa permetterselo.
Sui social si trova di tutto, dai giri in montagna più semplici, alle imprese alpinistiche più impegnative e la gente che non ha una adeguata consapevolezza della complessità della montagna tende a semplificare mettendo tutto sullo stesso piano, cosa che li porta ad emulare queste imprese senza un’adeguata preparazione fisica, senza una capacità tecnica e senza la conoscenza del territorio e dei pericoli (oggettivi e soggettivi) della montagna.  Spesso la conseguenza sono gli incidenti.
Poi ci sono le mode che incidono sulle statistiche degli interventi del soccorso alpino; infatti ultimamente sono di molto aumentati gli incidenti con la mountain bike a pedalata assistita, piuttosto che il parapendio o la tuta alare. La sicurezza in montagna è una delle finalità sia del CAI che del Soccorso Alpino che da anni promuovono e sostengono iniziative in questo campo, quindi il mio consiglio al neofita è quello di approfondire la propria conoscenza seguendo le attività di questi due sodalizi oppure di affidarsi a dei professionisti della montagna come le Guide Alpine. In ogni caso il consiglio base è quello di approcciarsi alla montagna con gradualità.

Vittorino Mason