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14 Luglio 2022

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Resto del Mondo

Eberhard Jurgalski di 8.000’ers.com: “L’intera storia degli 8.000 deve essere riscritta..”

Eberhard Jurgalski. Fonte Facebook

Il cronista tedesco lancia una bomba sulla storia dell’alpinismo dopo 10 anni di ricerche

Eberhard Jurgalski, con il suo team di 8.000’ers.com,  rende noti i dati di una ricerca durata anni, che potrebbe cambiare la storia dell’alpinismo. In sostanza, Jurgalski afferma che solo tre persone avrebbero realmente scalato tutte le 14 vette di oltre 8.000 metri della Terra.

Nella sua nuova classifica, il primo della lista non è Reinhold Messner, ma l’americano Ed Viesturs. Sia lui che il secondo in classifica, il finlandese Veikka Gustafsson, hanno completato la sfida senza l’ausilio di ossigeno supplementare.

Al terzo posto, Nirmal Purja, che perde il record di velocità stabilito con il suo ‘Project Possible‘. Secondo Jurgalski, il nepalese non avrebbe raggiunto le vette del Manaslu e del Dhaulagiri nel 2019, ma solo le cime inferiori. Purja avrebbe completato le vere vette  solo successivamente, lo scorso autunno.

Jurgalski sostiene, inoltre, che Purja sapesse fin dall’inizio dove si trovassero esattamente le cime reali di quelle due montagne, perché ne avevano parlato mesi prima.

Dieci anni di lavoro

Del gruppo di lavoro di Jurgalski, fanno parte Rodolphe Popier, Tobias Pantel, Damien Gildea, Federico Bernardi, Bob Schelfhout e Thaneswar Guragai (di Seven Summit Treks).

Il team ha svolto una ricerca approfondita, esaminando soprattutto le montagne i cui vertici non sono facilmente identificabili. Negli ultimi anni, il team ha effettuato un lavoro notevole per identificare e descrivere tutte le caratteristiche delle aree sommitali di Broad Peak, Dhaulagiri, Annapurna e, naturalmente, Manaslu.

È possibile scaricare il download completo di Jurgalski e del suo team su  8000ers.com.

Ripetere alcune vette o far finta di nulla?

Jurgalski ha presentato per la prima volta i dati delle sue ricerche sul suo canale Facebook lo scorso 8 luglio, citando i grandi nomi dell’alpinismo che non avrebbero raggiunto i vertici delle montagne scalate.

Jurlaski spiega che alcuni di loro, come Purja, sono tornati su quelle montagne per “correggere l’errore”, altri rifiutano di ammettere lo sbaglio o semplicemente lo ignorano.

Jurlaski scrive su facebook:

“Quando nel 2012 ho scoperto che alcuni alpinisti si erano fermati a una certa distanza dalla vera cima dell’Annapurna I, ho chiesto a Rodolphe Popier di controllare le foto di vetta, poichè è molto puntiglioso nell’identificare tutte le caratteristiche delle aree sommitali. Sembra che riesca a riconoscere ogni roccia da tutte le direzioni. Ha confrontato e confrontato e avevamo bisogno di aiuto per confermare ciò che aveva scoperto. Il DLR ci ha aiutati con dati digitali dettagliati dell’intera cresta dell’Annapurna I. Poi ci siamo resi conto che molti pretendenti alla vetta in realtà si sono fermati ancora più lontano dal vertice reale di quanto pensassimo: circa 65 m a ovest e tra 80 e 190 m a est. Siamo rimasti scioccati: cosa potevamo fare? Abbiamo anche scoperto che Messner si è ovviamente fermato al bivio della cresta. Ok, nell’articolo del New York Times del maggio 2021 si era un po’ arrabbiato e aveva dichiarato: “… se qualcuno pensa che quello che ho fatto sia una stronzata, posso accettarlo. Se così fosse, sono solo 5 metri più in basso su questa lunga cresta….”. Non è affatto una stronzata, con tanti grandi successi alpinistici e spedizioni significative, rimane sicuramente uno dei migliori alpinisti di sempre, ma come  capita a tutti gli esseri umani, ha ovviamente commesso un errore. Sì, erano solo 5 metri di altitudine, ma 65 metri di distanza.”

“La maggior parte degli alpinisti non vuole accettare le correzioni, perché temono per la loro reputazione”, afferma Jurgalski.

Il cronista tedesco sottolinea che, in base a questi nuovi dati, si apre nuovamente la corsa ai 14×8.000 per le donne.  Le scalatrici che hanno già completato la collezione e che, in base a queste nuove scoperte, avrebbero  una o due cime in meno al loro attivo (come Edurne Pasaban e Gerlinde Kaltenbrunner), per Jurgalski potrebbero collaborazione  e ripetere il Manaslu.

“Se la signorina [Elizabeth] Hawley all’epoca avesse posseduto queste informazioni, non avrebbe riconosciuto [quelle vette]”, spiega Jurgalski, riferendosi all’arbitro storico delle vette dell’Himalaya. “Ora dobbiamo effettuare le correzioni come cronisti indipendenti e affidabili”.Tuttavia, c’è una differenza. La Hawley basò il suo giudizio su interviste approfondite realizzate con gli scalatori stessi. Il team di 8000ers.com ha contattato solo alcuni di loro, soprattutto per chiedere le foto di vetta, ma non ha parlato personalmente con gli altri. Molti di coloro a cui è stato abbassato in numero di vette conquistate,  non sono più in vita per obiettare o per fornire spiegazioni.

Oltre all’attenzione sui social media, Jurgalski ha attirato su di sè numerose critiche, soprattutto da parte dei fan degli scalatori detronizzati, da Jerzy Kukuczka a Erhard Loretan. Loretan ha “perso” la vetta del Dhaulagiri, nonostante abbia effettuato la scalata della parete est, finora l’unica, nell’inverno del 1985. Altri segnalano alcuni errori.

Malgrado ciò, Jurgalski difende il suo lavoro di anni. Ha lavorato su migliaia di casi, ma sono state le riprese  del drone di Jackson Groves sul Manaslu a spingerlo ad aggiornare gli elenchi e a condividere le informazioni raccolte.

La vetta del Manaslu ripresa da un drone. Foto: Jackson Groves, 2021

Il caso Urubko

Denis Urubko, rientra tra gli alpinisti non contattati. Jurgalski ha inserito le cime del Dhaulagiri e del Manaslu di Urubko nella sezione “nessuna prova”, e il Cho Oyu come “nessuna cima con prove o indizi”.

Urubko scalò il Cho Oyu nel 2009, insieme a  Boris Dedeshko, attraverso una nuova via effettuando una rischiosa salita in puro stile alpino del difficilissimo versante sud. I due furono premiati con il Piolet d’Or per quell’impresa.

Alla domanda sul perché quella cima sia stata messa in discussione e se avesse chiesto delucidazioni a Urubko, Jurgalski ha risposto: “Lo ha riferito a un’altra persona che non era sulla vera cima. Non avevamo bisogno di chiederglielo”. La salita non è stata messa in discussione dalla giuria del Piolet d’Or, da The Himalayan Database o dall’American Alpine Journal.

All’epoca, Dedeshko descrisse così la vetta del Cho Oyu: “Alle 20:10 abbiamo raggiunto il pianoro sommitale del Cho Oyu. La cresta si allargava, la pendenza diminuiva e potevamo scorgere il lato opposto, che scendeva in Tibet”. Sembra quindi che i due scalatori abbiano effettivamente attraversato l’altopiano sommitale.

Urubko si trova attualmente al Campo Base del Broad Peak e non è raggiungibile per una conversazione dettagliata.

Explorersweb ha  domandato a Rodolphe Popier, membro del team di 8000ers.com, cosa si intenda con “nessuna cima con prova o indizio”. Questa la spiegazione: “Abbiamo scelto di suddividere le salite in due categorie per semplificare le cose: NO SUMMIT è il risultato delle ascensioni per le quali i resoconti e/o le immagini della vetta hanno portato a indizi/prove negative; NO EVIDENCE è il risultato delle ascensioni per le quali non siamo stati in grado di accedere alle immagini di vetta o quando le immagini sono impossibili da analizzare (a causa dell’ora della notte, del maltempo, ecc.). Ma nessuna prova non significa nessuna cima!”.

Billi Bierling dell’Himalayan Database: “Non credo che potremo riscrivere la storia…”

Billi Bierling, dell’Himalayan Data Base, ha rilasciato la seguente dichiarazione a ExplorersWeb:

“Apprezzo molto il lavoro di Eberhard Jurgalski, che è molto preciso e, insieme ai suoi colleghi, ha definito nuovi parametri per l’alpinismo himalayano. Il team dell’Himalayan Database esaminerà la questione e discuterà le modifiche da apportare. Sarà molto difficile ottenere prove al 100% per le ascensioni del passato, poiché non abbiamo prove fotografiche per alcune salite o alcuni degli scalatori non sono più tra noi. Ma anche se non credo che potremo riscrivere la storia, potremo fare qualche aggiustamento in futuro.”

Vacante il trono femminile sugli Ottomila

Secondo Jurgalski, nessuna donna avrebbe finora scalato tutti e 14 gli 8.000. Il giornalista ha, infatti, tolto le cime del Dhaulagiri e del Manaslu a Edurne Pasaban e Gerlinde Kaltenbrunner.

Al loro posto, le candidate più quotate sono la cinese Dong Hong-Juan e l’italiana Nives Meroi. Entrambe hanno effettuato alcune ripetizioni dopo aver scoperto di non aver raggiunto dei vertici e, a ciascuna di loro resta solo una ripetizione.

Insieme al marito Romano Benet, Meroi ha ripetuto sia lo Shisha Pangma che il Dhaulagiri, dopo aver scoperto di non aver raggiunto il punto più alto. A Nives manca solo la ripetizione del Manaslu per diventare la nuova regina degli Ottomila, in base alla nuova lista stilata da Jurgalski. L’italiana non ha mai utilizzato O2 supplementare nelle sue scalate.

A Dong, dopo la conquista del Dhaulagiri la scorsa primavera, manca solo lo Shisha Pangma per concludere il progetto.

I commenti di Edurne Pasaban e Nives Meroi raccolti da ExWeb

Edurne Pasaban si è così espressa dopo essere stata contattata da Explorersweb:

“Quando abbiamo scalato, siamo saliti su quella che consideravamo la vetta, il punto più alto possibile, per quanto ne sapevamo. Eravamo un piccolo gruppo di amici, ci conoscevamo tutti, abbiamo condiviso il Campo Base, i momenti belli e brutti, le vette e tutte le informazioni disponibili. Ognuno di noi ha scalato secondo le proprie preferenze e il proprio stile, e ci siamo rispettati a vicenda”.

“Conosco personalmente quasi tutti gli alpinisti le cui vette sono state messe in discussione. Nel mio caso, ciò è avvenuto 15 anni dopo aver concluso il mio progetto sui 14×8.000. Siamo tutti alpinisti con una lunga carriera alle spalle. Abbiamo scalato per passione queste montagne. Tutti noi abbiamo un curriculum trasparente e  spedizioni ben documentate. Se qualcuno contesta i nostri risultati, è una sua opinione. Ma io credo onestamente, e sono sicura che gli altri saranno d’accordo con me, di aver completato tutti e 14 gli 8.000”.

Nives Meroi, K2 (Nord). Fonte: N. Meroi/sito

Nives Meroi sottolinea un fatto ovvio ma importante: logicamente, Jurgalski ha ragione. La vetta è un punto geografico preciso e indiscutibile, e il suo lavoro riguarda solo questo. Non si tratta di una valutazione etica delle scalate, di come si è arrivati in cima e di quali mezzi si sono usati. L’unico parametro misurato è se qualcuno ha raggiunto o meno la cima, non come ci è arrivato.

“Ma poi, certo, mettere Messner, Lorethan e simili allo stesso livello degli attuali scalatori (del 95% di loro), suona come una bestemmia”, afferma Nives. Meroi ritiene che il lavoro da fare sia lungo e difficile.

“Quando Romano e io abbiamo visto l’immagine del drone, abbiamo capito che non avevamo raggiunto la vera cima del Manaslu, ma solo il punto immediatamente precedente”, ha spiegato Nives. “Se ce ne fossimo accorti quel giorno, saremmo saliti fino in cima. Sicuramente non sarebbe stato un problema per noi affrontare quel tratto, ma purtroppo, in buona fede, ci siamo sbagliati”.

“E sì, abbiamo anche pensato che sarebbe stato bello tornare per tentare di scalare quegli ultimi metri per soddisfazione personale, ma pensare di tornarci, con il circo che c’è oggi su quelle montagne… onestamente, ci fa star male. E ahimè, provarci in inverno è troppo costoso per noi”.

La conclusione di Jurgalski

“L’intera storia degli 8.000 deve essere riscritta – afferma Jurgalski – Non è colpa nostra, ma il vero è vero e il falso è falso, sia per intenzione che per caso”.