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18 Maggio 2018

Ambiente e Territorio · Cultura · Resto del Mondo

Fotografare dalla cima del Cerro Copatanca

Vista dalla cima a 5.250 metri (clicca per ingrandire)

Il Cerro Copatanca è una montagna poco nota delle Ande cilene, vicino al confine con il Perù. Spesso non si trova segnata neppure sulle mappe, ma gli abitanti del piccolo villaggio di Putre la conoscono bene per i suoi colori spettacolari.

Con i suoi 5.250 metri certo non eccelle per altitudine, superata di gran lunga dai numerosi picchi della Cordillera che arrivano ben oltre i 6 mila metri, e raggiungerne la vetta è poco più di una passeggiata per un alpinista esperto dell’alta quota. Ma non per un fotografo come me abituato a respirare l’aria dei 2-3 mila metri delle Dolomiti!

L’acclimatamento delle settimane precedenti ha abituato il corpo alla diminuzione di ossigeno, che comincio a sperimentare fortemente oltre i 4 mila metri di quota. La salita lungo il pendio sassoso si fa sentire fin da subito, oltre ai soliti 10 kg di attrezzatura fotografica per l’occasione alleggerita al massimo.

Le gambe chiamano ossigeno che non c’è. Sono necessarie continue e periodiche soste per salire a zig zag lungo il ripido versante che dopo un tempo apparentemente lunghissimo ci porta all’attacco della punta rocciosa su cui arrampicarsi per giungere in vetta. Nulla di trascendentale per un alpinista, ma una piccola conquista per un fotografo che non lo è!

Il cuore colorato di un ex vulcano attivo (clicca per ingrandire)

Paesaggio lunare, in tutti i sensi (clicca per ingrandire)

L’emozione di guardare il mondo dall’alto si mescola con la forte sensazione di sentirsi in intima connessione con la natura ancora incontaminata di questi luoghi magici. A queste quote regna il silenzio, interrotto solo dal suono del vento. Le cime arrotondate dalla forte erosione si stagliano nel blu cobalto ed avvicinano la distanza tra terra e cielo.

La giornata è limpida, sono rare le nuvole in questa stagione (purtroppo, fotograficamente…!) e l’ostacolo maggiore risulta essere il vento che soffia fortissimo sulla cima. Il treppiede, pur ancorato, non regge le folate improvvise e mi trovo ad usarlo come semplice supporto da cui scattare a mano libera. L’occasione è unica e non posso permettermi di realizzare immagini poco nitide. La qualità non è mai un optional per un fotografo esigente e un po’ maniaco come me!

La natura qui si manifesta nella tavolozza di colori delle regioni vulcaniche, che s’innalzano da altopiani desertici d’alta quota, in condizioni climatiche di estrema aridità. Davanti a me, rossi e bianchi dipingono le rocce di un ex vulcano attivo che, eruzione dopo l’eruzione, ora mostra il suo cuore colorato principalmente costituito da ossidi di ferro, zolfo e gesso.

La discesa dalla cima avviene lanciandoci letteralmente lungo il pendio sabbioso dell’altro versante. Come uno sciatore senza sci ai piedi, scivolo verso valle circondato da polvere e colori. Ad un certo punto mi fermo e rivolgo lo sguardo a monte, una sorta di saluto e ringraziamento, quando mi accorgo del disco lunare che sta sorgendo nel blu del cielo, al di sopra della cresta della montagna.

Ancora l’infinita fantasia creativa di Madre Natura che si manifesta improvvisa e meravigliosa a chi si accosta in ascolto con cuore aperto.

alegruzza.com