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5 Luglio 2022

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Ambiente e Territorio

Cambiamenti climatici. Adriana Brownlee e la discesa infernale dalla vetta del Nanga. Il dramma in Marmolada

Adriana Browlee sulla vetta del Nanga Parbat all’alba. Foto: Gelje Sherpa

Brownlee: “La montagna era un fiume verticale … Rocce, grandi come persone, cadevano a più di 100 km/h. È stato spaventoso”

Lo scorso autunno, quando Adriana Brownlee raggiunse la vetta del Dhaulagiri in 32 ore di spinta dal Campo 2 al vertice e ritorno al Campo Base, pensava di essere sopravvissuta alla più dura esperienza in montagna della sua vita. Il Nanga Parbat ha cambiato le cose. La vetta è stata abbastanza semplice, ma la discesa è stata infernale.

Questa volta il problema non è stato un temporale, anzi, il contrario! Le alte temperature hanno causato continue cadute di massi di grandi dimensioni. L’acqua scorreva giù dalla montagna facendo allentare gli ancoraggi di neve sulle corde fisse. Senza ancore adeguate, le corde sono diventate troppo tese per consentire agli scalatori di calarsi in doppia.

“Ce l’abbiamo fatta!!!! Nanga Parbat Summit 2 luglio. Vetta numero 8. Questa è stata la più difficile finora – scrive Adriana – Probabilmente la cosa più pericolosa che abbia mai fatto. La montagna è un melting pot, un fiume verticale più o meno, ogni ancoraggio usciva e le corde fisse erano troppo tese per scendere. Le rocce, grandi come persone, cadevano a più di 100 km/h. È stato spaventoso. Ma Gelje ed io ci siamo riusciti ancora una volta. Senza di lui questo non sarebbe nemmeno pensabile.Grazie @sevensummitstreks e @gelje_sherpa”

C’è stato un tempo in cui gli scalatori desideravano giornate soleggiate e più calde. Ora, queste condizioni climatiche possono rivelarsi drammatiche.

La tragedia della Marmolada

Seracco di ghiaccio crolla sulla Marmolada nei pressi di Punta Rocca. Foto CNSAS

Gli effetti del cambiamento climatico incidono profondamente sui fragili ecosistemi montani. Gli alpinisti e gli scienziati  sempre più parlano di avvicinamento al “punto di non ritorno”. Ma le conseguenze sono già evidenti.

L’ultima tragedia,  è avvenuta domenica sulla cima della Marmolada, uno dei luoghi più frequentati delle Alpi italiane. La caduta di un seracco ha causati diversi morti, feriti e dispersi. Le ricerche continuano. “Il numero delle vittime potrebbe raddoppiare, anche triplicare”, ha detto ai media il procuratore distrettuale Sandro Raimondi. “Inoltre, sarà necessario un test del DNA per identificare le vittime recuperate finora”, ha aggiunto.

Il seracco è crollato  alle 14 di domenica 3 luglio e i detriti, principalmente pezzi di ghiaccio, acqua e rocce, hanno spazzato la via normale per  un fronte largo 300 m. Alcuni alpinisti stavano salendo, altri erano in discesa. I soccorritori sono impegnati sulla montagna ma c’è poca speranza di trovare altri superstiti.

Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico – CNSAS ha reso noto che l’intero massiccio della Marmolada è stato evacuato e l’accesso all’area è vietato per il rischio di ulteriori crolli.

“Fa troppo caldo”, ha dichiarato Reinhold Messner ai media. “Il permafrost sta scomparendo e l’acqua  forma veri e propri fiumi sotto i ghiacciai che, alla fine, scorrono verso il basso e spazzano via tutto”.