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7 Dicembre 2022

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Cultura · Resto del Mondo · Narrativa

Simon Kehrer, Walter Nones

E’ la montagna che chiama

Undici giorni sul Nanga Parbat

Torna in libreria con nuovi contenuti e una nuova veste grafica il libro di Simon Kehrer e Walter Nones

Torna in libreria per i tipi di Ronzani Editore la nuova edizione del volume ‘È la montagna che chiama. Undici giorni sul Nanga Parbat’ scritto da Simon Kehrer e Walter Nones nel 2009, ora ripubblicato con una nuova veste grafica, nuove fotografie, le relazioni tecniche, un glossario ed un contributo inedito di Manuela Sparapani Nones.

Sotto forma di diario, i due alpinisti raccontano gli undici giorni trascorsi sul Nanga Parbat nel luglio del 2008, della morte del loro compagno, capo spedizione e amico, Karl Unterkircher, senza alcuna attenuante dei fatti, con il coraggio della verità, della difficoltà di prendere decisioni vitali, mettendo a nudo le loro anime, con una sincerità tale che non può non spiazzare il lettore e pure chi la tragedia la conosce bene.

Unterkircher morì inghiottito da un crepaccio sulla parete Rakhiot della nona vetta più alta del mondo ribattezzata dalla popolazione locale “la mangiauomini”. I tre alpinisti stavano aprendo, in stile alpino, una nuova via diretta, battezzata poi “Via Karl Unterkircher” realizzando un’impresa epica che segnerà profondamente i loro animi e che le pagine di questo libro – che è anche una riflessione sull’alpinismo estremo, sulla montagna al cui richiamo è difficile sottrarsi – riportano in superficie.

Fonte: Ronzani Editore

Scrive Kehrer: «E alla fine lo trovo. Karl è qui, sotto mezzo metro di neve, la spazzo via freneticamente, e scopro il suo viso. È bianco, freddo. Non ci sono ferite visibili, l’espressione è serena, non sofferente. Giace tra l’ombra e la luce, quasi come tra la vita e la morte. Cerco di scavare ancora per scoprirlo almeno fino al busto [ …] Niente non c’è battito. Non c’è più niente da fare. È inutile cercare di nasconderselo».

Sono pagine difficili da leggere nelle quali i sopravvissuti si trovano a ripercorrere tutte le ipotesi e le decisioni che in quei tragici momenti hanno dovuto prendere per poi proseguire.

Scrive Nones «Una cosa per lui la possiamo fare. Una piccola cosa.Vicino al punto in cui è caduto, piantiamo nella neve una sua piccozza che abbiamo riportato su e ci fissiamo il suo zaino – la nostra croce -. Farà da “ometto” di identificazione, utile quando si tratterà di tentare l’operazione di recupero che abbiamo in mente. Ma soprattutto sarà un simbolo, come l’elmetto appeso al fucile per i combattenti caduti sul campo».
Riprende Kehrer «Anche se in questo momento non sono abbastanza lucido per fare ragionamenti, qualsiasi alpinista sa che la risposta è una sola. Devi andare avanti».

Poi Walter Nones ricorda la prima conversazione avuta in quota tramite il telefono satellitare contenuto in un sacco lanciato da un elicottero: «gli spiego che siamo a quota 7300 e che, per quanto ci riguarda, è tutto a posto. Gli confermo la morte di Karl e gli annuncio che domani abbiamo in programma di fare un traverso per prendere la Buhl e poi scendere verso il campo base».

Il rientro in Italia di Kehrer e Nones fu accompagnato da risonanza mediatica e da grandi polemiche circa il loro recupero o, secondo alcuni, salvataggio. «Alle volte si dimentica che la verità va vista anche con gli occhi di chi la vicenda l’ha vissuta, all’oscuro di quanto gli girava intorno». E ancora: «Ci solleva un po’ la convinzione che Karl sia sepolto dove avrebbe desiderato; abbiamo saputo in seguito che la moglie non avrebbe tentato il recupero del corpo, conosce bene i pericoli e le leggi della montagna, e anche per lei è giusto che il marito rimanga là, in quello che era il suo mondo».

Tragicamente due anni dopo, nel 2010, Walter Nones ha perso la vita sul versante sud ovest del Cho Oyu in Nepal.

Autoscatto. Da sinistra a destra, in piedi Walter Nones e Karl Unterkircher, al centro Simon Kehrer. Fonte: Ronzani Editore

Manuela Sparapani, moglie di Nones, scrive in queste pagine a proposito del marito: «gli servì un po’ di tempo per superare gli eventi del Nanga Parbat. Le montagne di casa e la passione per la sua professione di guida alpina e istruttore lo aiutarono a ritrovare il feeling con l’alta quota e il desiderio di esplorazione. La successiva spedizione che intraprese fu quindi sul Cho Oyu, con l’obiettivo di aprire una nuova via sul versante Sud-Ovest, assieme a Giovanni Macaluso e Manuel Nocker. Il 2 ottobre 2010 i compagni di cordata si erano fermati al campo più basso perché avevano tempi diversi di acclimatazione: a quelle quote è giusto ascoltare il proprio corpo. Walter invece, essendo in condizioni fisiche migliori, aveva deciso di bivaccare più in alto da solo, per studiare più da vicino la linea che intendevano percorrere.
Non fu possibile verificare cosa accadde la mattina del 3 proprio perché era da solo. Sono state fatte alcune ipotesi, e causa dell’incidente mortale potrebbe essere stato il forte vento che si era alzato all’alba. Qualcuno pensa a una valanga anche se la parete in quei giorni era stata spazzata dal vento e la neve era compatta, a differenza del versante opposto che era carico di neve fresca. Scoprirne la causa non riporterà Walter a casa e alimenterebbe ulteriormente il dolore per la sua perdita. Io preferisco pensarlo che si appresta a salire, felice, con gli occhi sorridenti a rincorrere un sogno che purtroppo si è concluso lì».

Gli Autori

Simon Kehrer è un alpinista italiano. È nato a Brunico nel 1979, ed è cresciuto a Costamesana, una località di Pieve di Marebbe (Bz), dove ancora vive insieme alla moglie Marta e ai due figli, David e Lucia. Guida alpina dal 2004, dedica tutto il suo tempo alla montagna e dal 2009 è Istruttore Nazionale delle guide alpine. Ha scalato tutte le vette delle Dolomiti, molte delle quali in solitaria, aprendo diverse vie fino al VII/VIII grado, circa 40 Quattromila nelle Alpi, tra cui il Monte Bianco, il Grand Jorasses, il Cervino e la parete nord dell’Eiger, e le classiche pareti nord di Ortles, Gran Zebrù, Gran Pilastro, Großglockner, Canalone Neri, Collalto, e molte altre. Ha partecipato a varie spedizioni in tutto il mondo, e ha scalato tre Seimila in Perù e il Genyen (6.240 mt.) in Cina con Karl Unterkircher. Nel 2008 con e Karl Unterkircher ha scalato il Chongra Sud (6.450 mt.) e ha aperto con Walter Nones la “Via Karl Unterkircher” sulla parete Rakhiot del Nanga Parbat (8.125 mt.), dedicata al loro amico e capo spedizione, morto durante l’ascesa. Di sé stesso dice: «Trovo molto interessante aprire nuove vie in stile alpino, senza l’aiuto di portatori, il tutto con le proprie forze».

Walter Nones è stato un alpinista italiano. Cresce a Sover, piccola località della Val di Cembra in provincia di Trento ai piedi della Catena del Logorai. Si avvicina alla montagna fin da giovanissimo. Diventa Guida Alpina Civile e Istruttore scelto di Alpinismo e di sci nel Corpo speciale dell’Arma dei Carabinieri e soccorritore presso lo stesso Corpo. Pratica scialpinismo e partecipa alle principali competizioni fino al 2005. Conta innumerevoli salite sulle Alpi e sulle più importanti montagne Europee, in Argentina e in Alaska. Insieme a diversi compagni di cordata, apre nuove vie alpinistiche in dolomiti, Nepal, Cina, Pakistan. Nel 2004 raggiunge la vetta del K2, nel 2008 con Simon Kehrer ha aperto la “Via Karl Unterkircher” sulla parete Rakhiot del Nanga Parbat, dedicata al loro amico e capo spedizione. Tutte le ascensioni sono state compiute senza ausilio di ossigeno supplementare. Nel 2010 perde la vita, mentre sta salendo una nuova linea sul versante Sud Ovest del Cho Oyu. Con Manuela Sparapani, sua moglie e compagna di vita, ha avuto due figli, Erik e Patrik.


E’ la montagna che chiama

Autore: Simon Kehrer, Walter Nones

- Dueville (VI) - 2022

Pagine: 240

Prezzo di copertina: € 19


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