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14 Luglio 2022

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Resto del Mondo

I fratelli Pou e Micher Quito aprono la loro quarta via della stagione sulle Ande

One Push, nuova via sulle Ande aperta dai fratelli Pou e Micher Quito. Fonte: Fratelli Pou

In un’unica spinta da terra alla cima, gli spagnoli Iker e Eneko Pou, insieme al peruviano Micher Quito, aprono “One Push”, una nuova linea che attraversa la parete sud-ovest del Pumahuacanca, nella Cordillera Blanca. È lunga 1000 metri e presenta difficoltà di M7/85º/V

I fratelli Pou si ripetono e, con l’alpinista Micher Quito, aprono  la loro quarta via della stagione sulle Ande,  dopo “EMMOA”, “Hanan Pacha” e “Bizirik”. I Pou la definiscono la loro migliore via alpinistica fino ad oggi. L’itinerario si snoda lungo la parete sud-ovest del Pumahuacanca, una ripida e difficile vetta innevata di 5563 m che, data la sua complessità tecnica, conta solo una manciata di ascensioni sul suo versante più accessibile.

Il team ha completato l’apertura in un unica spinta da terra – da qui il nome della via: “One Push” , senza installare corde fisse, scalando per un totale di 12 ore e mezza consecutive fino alla vetta, affrontando difficoltà tecniche fino a M7 esposto in arrampicata mista, 85º su ghiaccio e Vº su roccia. Tenendo presente che la salita si è svolta in quota, con gli ultimi tiri a circa 5400m.

“Il Pumahuacanca è una montagna molto ripida su tutti i suoi versanti, il che rende la discesa difficile quanto la salita. Pensiamo sia la prima volta che riusciamo a fare qualcosa di così difficile con piccozza e ramponi”.

Dopo aver lasciato la tenda (montata a 4700 m) alle 5:15 del mattino, i tre hanno percorso i 1000 metri della via, affrontando roccia esposta, ghiaccio e tratti di misto, fino a raggiungere la vetta alle 17:45, solo 45 minuti prima del tramonto.

Micher Quito e i fratelli Pou aprono One Push, nuova linea che attraversa la parete sud-ovest del Pumahuacanca, nella Cordillera Blanca. ©HermanosPou

Ecco come hanno descritto la difficile discesa:

“In quel momento ci rendiamo conto che dobbiamo affrettarci e scegliere bene la nostra discesa. Abbiamo solo pochi minuti di luce e nessuna informazione preventiva su come scendere una montagna così grande che, nel cuore della notte, presenta molte insidie… Decidiamo di scegliere il versante opposto a quello che abbiamo salito… La prima parte è molto ripida e procediamo al meglio con piccozza e ramponi. La salvezza è lontana, quasi 1.500 metri più in basso, nei bei prati verdi della valle del Rurec. Ma non dobbiamo perdere la concentrazione, perché c’è ancora molta strada da fare prima di potersela godere… Il buio ci assale, mentre cambiamo gli scarponi da montagna con le scarpe da ginnastica, per poter scendere più comodamente quando la neve finirà. Le falesie diventano sempre più grandi, così che dopo l’arrampicata ci sono anche molte calate di fortuna. Perdere metri diventa un’impresa immane, e nel cuore della notte, e su una parete di oltre 1000 m, ci inventiamo una discesa che ci porti fuori pericolo… Ma non finisce mai…

Alle 3 del mattino, quando abbiamo esaurito l’energia delle nostre lampade frontali, il corpo ha già lavorato come un automa per diverse ore, e ci siamo lanciati più volte in pendii pericolosi e calate dubbie, decidiamo di fermarci (in quel momento eravamo attivi per 22 ore!) e di riposare sdraiati sull’erba. È un luogo con molta vegetazione, quindi siamo sicuri che il fondo della valle e quindi la salvezza è vicina, ma con la poca luce che abbiamo non riusciamo a continuare a risolvere il geroglifico… Le tre ore che passano prima dell’alba sono molto dure. Sdraiati su un pendio scosceso a cercare la protezione dell’erba senza altro riparo che i vestiti che abbiamo addosso (abbiamo indossato tutto per ore per combattere l’intenso freddo notturno) il vento gelido ci fa rabbrividire, al punto che nel silenzio della notte sentiamo solo il tintinnio dei denti di chi ci sta accanto.

Quando spunta l’alba ci rendiamo conto di essere a soli cinquanta metri dalla rampa che ci conduce alla sicurezza della valle.. Sono le 7:30 del mattino (26 ore e mezza dopo l’inizio dell’attività) quando arriviamo alla base della gola da cui due giorni prima avevamo iniziato la nostra ascesa al campo base. Ma le nostre tende si trovano a cinquecento metri di altezza e non abbiamo la forza di raggiungerle, così contattiamo il nostro cameraman e compagno Alex Estrada per fargli sapere che siamo vivi e per scendere con tutto dall’alto. È stata dura, ma la nostra avventura ha avuto un lieto fine”.